martedì 5 marzo 2013

Memoria indecorosa: quando il decoro urbano cancellò Scialabba

Vandali o vandaQui? È il dilemma paronimico che mi sono posto all'indomani della scoperta di un sito di feticisti del decoro urbano capitolino. A suggerirmi la dritta è stato Gojo, uno dei primi b-boy che ho consciuto quando mi affacciai sulla scena hip hop romana. Iperegogico e senza peli sulla lingua, sintetizzai la sua attitude in questo breve cameo del mio corto. Il writing come il breaking è una disciplina nomade e situata. Breaker e writer convivono con lo stesso fantasma: la loro arte è destinata a sparire nell'immediato futuro e ogni tentativo di fissarla su un supporto (foto/video) ne stantura completamente l'efficacia. Per questo motivo siamo spronati a reinventarci continuamente: con nuovi passi, altri lettering. Ma cosa accade quando questa strategia espressiva si incontra con la memoria collettiva da un lato, e le sovrastrutture sociali dall'altra?

Il caso: il X municipio di Cinecittà, autorizza la realizzazione di un pezzo in memoria di Roberto Scialabba, un militante di Lotta Continua ucciso dai NAR nel 1978, sul muro perimetrale di un istituto compresivo in via Giovanni Bosco. Il giorno dopo, su richiesta di un genitore della scuola, l'ufficio per il decoro urbano, provvede alla completa cancellazione del pezzo. A dare scandalo è stata sia la presenza di simboli politici (pugno chiuso/falce&martello), sia che il suddetto muro fosse stato recentemento ripulito da "800 metri di graffiti", come riporta il Tempo. D'altro canto, come rileva puntalmente il collettivo Militant, la presenza di personale comunale legato all'estremismo di destra, fra cui Mirko Giannotta (dirigente del decoro urbano) e Francesco Bianco (autista della banda che uccise lo stesso Scialabba!), smentisce ogni criterio di "imparzialità" in operazioni come queste.

Prima di muoverci sul difficile piano della memoria politica di questo paese, è bene chiedersi:
cos'è il decoro urbano?

Decorus in latino significa "bello, elegante" e rinvia a due significati: quello di dignità dell'aspetto (decorazione) e per estensione, a quello di dignità civile ("decorare" signifca anche assegnare un titolo prestigioso). In questa doppia accezione, il decoro urbano diventa un concetto basato sulla sostanziale omogeneità fra l'aspetto (esterno) di una città e la morale (interna) della società che la popola. Per il decoro urbano, i muri di una città sono lo "specchio della coscienza" dei suoi abitanti.

Proprio per questo i graffiti sono stati da sempre al centro di un forte dibattito: c'è chi li vede come espressione del disagio giovanile (sintomo), chi come atto di sopruso vandalico (feticcio), chi come pratica da inserire nel circuito artistico (visione liberista), chi come stile di vita contro-culturale (visione radicale). Di fatto, ora che il Writing è stato inglobato dall'ormai politically correct mondo della Street Art (Obey, Banksy, Sten&Lex solo per citarne i più vicini), tutta l'attenzione si è spostata sulle nuove forme di interazione e colloquio fra street-artist (veri e propri artisti di mestiere) e istituzioni (agenti pubblici/privati che sovvenzionano o danno visibilità alle varie operazioni).


E il writer chisseo'ncula? Principalmente polizia e magistratura. Negli anni della nomination all'Oscar di Exit Through The Gift Shop, le pene per chi "imbratta i muri" si sono inasprite. Sì perchè mentre molti writer si sono stati "decorati" col titolo di street artist, gli altri (e le nuove generazioni di writer) continuano a coltivare l'antica arte del bombing o del whole-train senza la prospettiva dell'inserimento nella Street Art Industry. Da Wild Style (1983), dove i graffiti erano la metafora visuale di un possibile (e paraculo) allineamento del giovane black/latino nella società occidentale, oggi il fenomeno, legalmente ma anche visivamente, è equiparato a puro vandalismo. Ripulire un muro da "800 metri di graffiti" significa renderlo decoroso: punto e basta. Non importa se su quel muro è raffigurato un pisello, una falce&martello o il lettering di un old school newyorkese. Fra materia e memoria si sceglie la materia, nell'accezione più becera. Infatti, oltre ai simboli politici (esistono simboli non-politici?!), ad essere cancellata è stata anche la faccia di Roberto, che Gojo aveva messo in primo piano al fianco al motto "Ogni giorno coltiviamo voglia di libertà". Che faccia tosta.

Paradossalmente, nei casi di ri-decoraggio coatto come questi (o nel caso di una famosa murata dedicata a Crash Kid, di cui non si è nemmeno scritto nulla!), a farne le spese è proprio la tanto protetta morale interna cittadina. Avallando operazioni del genere si perde memoria, e un'identità senza memoria è condannata a ripetere gli stessi errori, perdendo l'identità stessa.

Vedere i graffiti come melassa vandalica o al contrario, accusarli di "essere politicizzati", risponde al medesimo vecchio bisogno di mettere la merda sotto al tappeto.
Nasconderla, o al massimo profumarla, insomma:
decorarla.

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