mercoledì 23 febbraio 2011

Shameless US - First Look

Shameless US
Showtime, 2011
di: Paul Abbot
con: William H. Macy

Leggi qui la mia recensione






Che dire di Shameless? Beh, che è la copia venuta bene della serie originale made in UK del 2004. O che, sesso famiglia & alcolismo non si sono mai sposati così bene. O semplicemente che una serie "di strada" con 10 personaggi protagonisti è un sogno che si realizza. Sporchi, duri, arroganti, cinici, schizofrenici, eroici, disinibiti, insomma: shameless! - senza vergogna. Consigliato a tutti quelli che pensano che la propria famiglia sia una frana.

sabato 12 febbraio 2011

Left 4 Dead - Hitchock sarebbe un NERD

Dopo essermi sparato in vena il recente cult planetario The Walking Dead, l'ammazzazombie che è in me si è spinto oltre, inaugurando la mia nuova postepay con Left 4 Dead. Questo videogame sparatutto  prodotto da Valve e distribuito sulla piattaforma online Steam, è ormai il Resident Evil degli anni 2000. La storia è sempre la stessa: "curare gli zombie...una pallottola alla volta." A compiere l'impresa quattro sfigati della middle-class americana: un meccanico, un giornalista, un coach di football...insomma, gente di strada come piace a noi. Personaggi abbastanza bruttini, ma estremamente cool. Perchè in uno sparatutto standard si tende a prendere l'arma più potente e precisa ma in Left 4 Dead il gusto di sterminare gli zombie con una padella da cucina o con la katana di Bruce Willies, o il machete di Danny Trejo, è impareggiabile. Non c'è realismo, salvo quello cinematografico degli slasher e dei grindhouse di tarantiniana rievocazione. Ed è qui il primo indizio ideologico del gioco: se non si colgono questi riferimenti alla cultura cinematografica postmoderna, si è fuori (dal vero gioco, intendo).  Ogni campagna è divisa in tempi, come al cinema, ed introdotta da una locandina in stile action movie hollywoodiano con tanto di sottotitolo. C'è Swamp Fever (Febbre di Palude) dove "l'unica cura è morire", oppure il Centro di Morte in cui "Prices aren't the only things getting slashed" (i prezzi non saranno le uniche cose ad essere tagliate). E poi c'è "Director", l'intelligenza artificiale che si occupa di creare un'effetto di "procedural narrative". Si tratta di un nuovo sistema in rapida diffusione nei giochi in cui l'A.I. analizza lo stress dei players (punti vita, equipaggiamento, punteggio ecc.) e aggiunge/diminuisce oggetti e mostri per migliorare la suspance e i colpi di scena della partita. Hitchcock sarebbe un NERD.

Secondo: gli zombie. Sono passati quasi 200 anni da quando Mary Shelley concepì l'idea di Frankenstein dopo una notte nella villa dell'amato Lord Byron a Ginevra. Frankenstein, il morto che cammina. Poi Dracula il morto che si nutre e infine, tocco poetico, "l'orrore" di Kurtz in Cuore di Tenebra, dove gli indigeni della giungla erano...beh, lasciamo parlare direttamente Conrad:

"La terra qui sembrava ultraterrena. Noi siamo abituati a vedere la forma incatenata di un mostro sopraffatto, ma lì - lì potevi vedere qualcosa di mostruoso e di libero. Era terrificante e gli uomoni erano... No, non erano inumani. Bè voi sapete che è proprio questo il lato peggiore della cosa - il sospetto che non fossero inumani si affacciava a poco a poco."

Risiede qui il fascino degli zombie: non tanto il sentimento sublime di scontrarsi con qualcosa di incontrollato e misterioso, quanto il sospetto che fra noi e loro ci sia un'oscuro legame genetico. Come fa notare Zizek nel suo ultimo libro Living in the end of the Times (2010), è forse il caso di pervertire la nostra interpretazione delle storie di zombie seguendo l'indicazione del romanzo originale di Io sono leggenda (Richard Matheson, 1954). Nella versione cinematografica Will Smith "diventa leggenda" poichè sacrifica la sua vita per consegnare l'antidoto dell'epidemia alla colonia di superstiti e rilanciare così un new cursus dell'umanità (come un certo tizio con la barba 2011 anni fà). Lo stesso titolo, nel romanzo originale, acquista un significato completamente diverso: il protagonista Neville, "diventa leggenda" non per gli umani (è l'unico uomo superstite) bensì per la nuova razza di vampiri che hanno preso il posto dell'umanità dopo l'ultimo conflitto mondiale. Per loro, noi umani siamo "la leggenda", esseri straordinari da annientare per garantire la sopravvivenza della specie. Anche in Left 4 Dead la catarsi cinematografica e la parziale identificazione con gli eroi, ci  fa scordare che in effetti sono gli zombie la maggioranza etnica. 

In chiave parapsicologica, entriamo nel campo dell'Altro. Così, nel celebre saggio di Lacan "Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'io", lo psicanalista francese indica che per percepire noi stessi come "io" dobbiamo confrontarci con l'altro-io che vediamo riflesso nello specchio. Solo così possiamo "alienarci in noi stessi", e dare vita all'immaginario, al simbolico, e al reale. Termini un pò astrusi per i non-lacaniani, ma efficaci per interpretare il nostro sparatutto tarantinesco. Cos'è lo zombie se non il nostro doppio specchiato nel riflesso della morte, del non-essere? Una dimensione, quella del non-morto, che è completamente diversa dal "resuscitato": questi non sono morti che tornano in vita (da cui potrebbe scaturire un'interpretazione para-religiosa della storia) ma i così detti morti-viventi, coloro i quali vivono pur conservando il loro status di morti. E non ci vuole un sociologo per capire che i nostri zombie, quelli della vita quotidiana, sono diventati gli immigrati, gli stranieri e perchè no, anche i "fondamentalisti". Non ci vuole nemmeno un politologo per capire quanto il motto del videogame ("kill them all"), ricordi l'appunto finale di Kurtz ("nuke them all" ) in Apocalypse Now (trasposizione cinematografica di Cuore di Tenebra). L'ideologia vigente (di stampo liberal-populista) è che di fronte all'Altro (ormai in maggioranza) l'unica cosa da fare è sopravvivere, barricarsi e sfuggire ad ogni tipo di contatto. Eppure quelli, gli zombi, gli altri, erano come noi o forse, ancora peggio, noi eravamo come loro. La proposta politica di Zizek è quella di abbracciare e accettare l'alterità assoluta e da lì partire per una vera politica multiculturale, che non sfrutti questa definizione per rivendicare il privilegio di chiudersi ognuno nella propria isola felice (isola immaginaria e mai veramente isolata: leggere La mascherata della morte rossa di E. Allan Poe per credere).

La provocazione finale del filosofo sloveno è dire "si" al burqua. Tentare di toglierlo, non significa difendere i diritti civili delle donne islamiche coercizzate dall'ideologia maschilista, bensì, in termini psicanalitici, voler spogliare l'Altro della propria diversità, assoggettarlo alla nostra. Il vero incontro con l'altro - dice Zizek - sarà quando inizieremo a raccontarci con lui le barzellette sporche.

Lo so, sto trascurando il blog. Lo so, cambio spesso argomento. Lo so, dovrei parlare più di b-boying e meno di info-media-serial-stronzate. Eppure...

sabato 5 febbraio 2011

Vallanzasca - Gli Angeli del Male

Vallanzasca
Regia: Michele Placido
Con: Kim Rossi Stuart, Valeria Solarino, 
Filippo Timi










Quanto ci piace il crime! Ci piace così tanto che ne seguiamo la scia di sangue fino in parlamento (sangue mestruale, probabilmente, ma pure sempre sangue). "Pane, Politica e Fantasia" sarebbe un titolo azzeccato per lanciare un nuovo neoreoalismo che prende a cuore le vicende dell'Onorevole medio alle prese con la lotta per conservare "il posto" (in poltrona) e farcire il pane quotidiano di scandali, smentite, sproloqui, videolettere. In questo put purries di tutto e niente, il cui unico scòpo sembra quello di omologare l'eccezione, moltiplicare le colpe per sfamare i corruttori, si sente quasi la mancanza del vecchio crimine all'italiana.

Quello "pasta e ceci" della banda del buco di Monicelli, quello con la zeppola di Bombolo, e per ultimo, quello epico e brutalmente tragico di Romanzo Criminale, dove, dal cinema alla tv, ha messo in scena filo rosso che legava la borgata con il palazzo. Michele Placido torna ad affrontare questo hot spot con Vallanzasca: il Romanzo Criminale alla milanese. Accolto bene al festival di Venezia, la storia di Renato Vallanzasca è quella che Barthes chiamerebbe "un mito d'oggi". Il mito del cattivo "umano troppo umano", del fashion villain, del mostro umanizzato. Il rischio, come sempre, è quello di giustificare gli orrori della guerra (in questo caso, guerra contro la polizia) attraverso un ritratto personale e intimistico del soggetto criminale. Il rischio c'è, ma in Italia è stato abbondantemente "aggirato" con la politica del "ma anche".

In queste settimane di "Rubygate", stiamo assistendo a come si può essere "legalmente innocenti" - ma anche - "moralmente colpevoli". Crisi, in greco crisi significa "scelta". La crisi di oggi è una crisi della scelta, perchè scegliendo sappiamo di contribuire a quella formula a "somma zero" che sta contrapponendo il buono dal cattivo, il morale dall'immorale, l'illegale dal legale. Bisognerebbe, e Vallanzasca ne parla a lungo, accantonare la presunzione di credersi super-partes, di accettare l'atteggiamento anti-dysneiano che il "cattivo", il lato oscuro "un pò più pronunciato degli altri" (citando la battuta di Kim Rossi Stuart) ci piace. Ci piace, ma non per questo dobbiamo farci sopraffare, non per questo dobbiamo giustificare chi sfrutta questa nostra debolezza per fare propaganda e, cosa ben più grave, assolversi dalle proprie resposabilità verso la comunità tutta. Renato Vallanzasca ha ucciso e sta pagando per i suoi reati (e anche per quelli di altri della sua banda). Ora, Fabrizio Corona è il suo alter-ego incartapecorito: un villain villano che ha lavorato per consegnare al mainstream un lato oscuro impomatato per sprecare inchiostro e pomeriggi catodici. Ma l'ombra non si vive in questo modo, non è cosa da esibire, e quando lo si fa, essa svanisce (almeno agli occhi di chi non è un idorcefalo). Vallanzasca per questo è realistico, e non apologetico.
Conclusione per tutti i bboy: andate a vedervi Vallanzasca.
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