domenica 28 marzo 2010

Slavoj Žižek "Come leggo Marx, come leggo Lacan"


Di fronte al filosofo che definisce la necessità come l’interpretazione retroattiva di un evento puramente contingente, non so proprio chi ringraziare per “la contingenza” degli eventi che ha reso possibile il mio incontro con lui. Si perché, parafrasando Lacan, mi sono trovato in una di quelle situazioni “più assurde dell’assurdo”, così vere da sembrare finte. Senza biglietto, senza un aggancio per entrare, senza un bel visino la sfoggiare all’usciere, ero ormeggiato nel limbo dell’atrio nella vana speranza che qualcuno rinunciasse al proprio posto. Sarei stato probabilmente il più autorevole conoscitore di zizekologia della sala e non potevo accedervi. E mentre recitavo il mea culpa all’uscita del bagno dell’auditorium una voce, come sulla via di damasco, mi folgorava:”Ma tu sei Nexus?”. La mia nuova felpa ricamata “Urban Force” aveva svolto il suo dovere simbolico e quell’usciere aveva visto quel che c’è “in me più di me”. Entravo entravo entravo!



Roma, 27/03/2010 - Una maglia a “v” semi-sgualcita, la lingua “alla Fantozzi” e un continuo toccarsi il naso. Slavoj Zizek conquista subito il pubblico eterogeneo del Teatro Studio, che in occasione dell'evento Libri Come, ha fatto il tutto esaurito. Avrebbe dovuto parlare di Marx e Lacan, ma non lo fa o meglio non dice di farlo. Il vero interlocutore mancante è il cinema a favore di un approccio sprezzante alla politica contemporanea, suffragato dall’uscita del suo nuovo libro Dalla tragedia alla farsa. Ideologia della crisi e superamento del capitalismo. (Ponte alle grazie ed.) “Provengo da un piccolo paese della Slovenia” – esordisce – “e mi permette di vedere le cose nella loro posizione contingente”. Ironizzando, parla della saggezza slava e di come nel suo paese tutti sappiano il significato del misterioso sorriso della Mona Lisa. Le sue lips (labbra) sorridono a causa di un lick (leccata). La battuta oscena è confezionata, tutti ridono. Poi inizia sul serio: ”Se Dio non esiste, allora tutto è permesso”. Questa frase tratta da I Fratelli Karamazof di Dostoevskj è ancora oggi utilizzata dall’ala conservatrice per legittimare il valore di un’autorità trascendentale in grado di regolare, e quindi salvaguardare, le nostre vite dal baratro dell’edonismo egotistico. Al contrario per Zizek, che riprende il Seminario XI di Jacques Lacan:”Se Dio non esiste, allora tutto è proibito”. Infatti la vita dell’ateo liberal-edonista è più complicata che mai. Lungi dall’essere libero dalle proibizioni religiose, egli ha bisogno di auto-limitarsi per assicurare la prosecuzione del proprio benessere e non intralciare quello degli altri. Diete, fitness, astinenze ma anche sguardi bassi e formalismi, non sono altro che prescrizioni di un Super-Io (quell’agente osceno che ci bombarda di richieste impossibili) che regola il godimento del soggetto al fine di non disturbare il godimento dell’altro. A proposito di questa inversione oppositiva, Zizek cita l’incontro avvenuto negli anni ’90 a Belgrado con dei fondamentalisti religiosi che al grido “Fuck the modern!” si servivano del loro ruolo di “strumenti di Dio” per perpetrare tutta una serie di crimini contro altri uomini. Secondo Zizek ci troviamo di fronte a ciò che Kierkegaard chiamava “sospensione religiosa dell’etica”. Le religioni come le grandi ideologie (es. lo Stalinismo, ampiamente analizzato nei suoi libri) sono una sorta di anestetico emotivo che permette agli uomini di eseguire gli atti più atroci in nome di una causa. Allo stesso modo, parafrasando Adorno, agire per un ideale (il volere di Dio, il progresso della Storia) conferisce al soggetto una certa dose di godimento, nonostante riconosca l’obiettiva crudeltà dei suoi atti.


Lungi dall’essere nell’era post-idelogica, Zizek fornisce alcuni esempi di agenti super-egogici che fanno da base alle nuove ideologie. Primo fra tutti è il movimento ecologista. Pur riconoscendo la gravità della crisi ecologica, Zizek critica fortemente questo movimento come nuovo “oppio del popolo”. Predicando la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse energetiche, apparentemente l’ecologismo pone dei limiti per un fine etico: il bene di tutta l’umanità. Il fatto però che la recente crisi mondiale del sistema bancario (capitalista) abbia scalzato l’attenzione sulla risoluzione dei problemi ecologici (vedi la fallimentare conferenza di Copenhagen 2009) offre la possibilità per un’ulteriore ribaltamento oppositivo. Gli stati che hanno rifiutato di limitare il sistema economico in favore della “sopravvivenza”, hanno testimoniato la loro dedizione etica al Capitalismo. L’egotismo del capitalista diventa dedizione etica alla riproduzione del sistema e viceversa l’impegno etico dell’attivista ecologista è mero senso di sopravvivenza.

Sempre sulla borderline del fraintendimento, Zizek fa una digressione sul ruolo del poeta nei sistemi totalitari. Lontani dalla rappresentazione di naturale innocenza che ne danno i profili storici, i poeti hanno molto spesso offerto il supporto emotivo per giustificare terribili crimini ideologici (vedi. Vladic e Karazic nella dittatura Milosevic). Ovviamente è stupido pensare di liquidare il lavoro dei poeti in questi termini, ma Zizek insiste sul fatto che oltre ad una forza militare esiste anche una “poetica militare” in grado di condizionare altrettanto efficacemente i comportamenti delle persone. “State attenti” – esorta – “dietro la perpetrazione di genocidi ci sono sempre alcuni poeti”.


Infine, come se non bastasse, arriva il momento di occuparsi del Cristianesimo. Zizek, già autore del controverso The Puppet and the Dwarf (Il Cuore perverso del cristianesimo, 2003), espone la sua tesi secondo cui Dio stesso non sia credente. Nel grido d’aiuto di Gesù crocifisso "eloi eloi lama sabachthani” (dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato), Dio capisce che non può farcela senza di noi e che non si fida di se stesso. In accordo con Chesterton, Zizek si allontana dall’interpretazione di stampo pagano che vede Gesù sacrificarsi per i nostri peccati. Altresì evoca l’immagine di Cristo risorto come “holy ghost” (fantasma sacro), metafora della comunità cristiana. Nonostante il suo ateismo, e sta qui la genuinità dell’interpretazione zizekiana, egli è un lucido sostenitore delle radici cristiane europee. In tema di immigrazione e accettazione dell’altro, il messaggio cristiano di “amare il prossimo” è più che mai attuale. Accettare, ammonisce Zizek, non significa però gettare la maschera, bensì accettare di trovare una maschera aldilà della maschera. Ricollegandosi al concetto della de-sostanzializzazione dei prodotti (caffè senza caffeina, carne senza grassi, cioccolato senza cacao), la cultura liberale vorrebbe accettare l’Altro ma senza la sua alterità (“decaffeinato”). Zizek, prendendo come esempio le controversie francesi sull’adozione pubblica del burka, ricorda che l’ansia non risiede nel non poter vedere ciò che c’è aldilà della maschera, ma bensì vedere la superficie inumana che ci guarda senza mostrare gli occhi. Insomma per Zizek la soluzione ai conflitti di immigrazione non è quella di aprire le frontiere in maniera illimitata ma risolvere il problema there (là), accettando l’alterità, la “cosa” (Das Ding freudiana) senza ingannarci ponendo metaforicamente una faccia (menzognera) sopra al burka.


Terminata la conferenza mi fiondo verso Zizek assieme ad una sparuta masnada di fan. Continua a parlare, insaziabile di domande. Una donna gli chiede una consulenza psicanalitica. “Signora” – risponde – “ma mi ha visto? Se vuole farsi psicanalizzare da un uomo con tutti questi tic, è la prova definitiva che lei è pazza!”. Mi faccio spazio e riesco a farmi autografare un suo libro. “Mr. Zizek, sono uno studente di Cinema. Sto scrivendo la tesi sulla sua filosofia”. Zizek mi guarda perplesso e farfuglia qualcosa come per dire: “Tanti auguri!”. Poi s’illumina e mi chiede:”Conosce la mia interpretazione dei film di Rossellini?”. “Certo” - rispondo orgoglioso. “E’ qual è la verità sui film di Rossellini?”. Io tento di spiegarlo in inglese ma lui mi interrompe subito:”No, la verità è che io non mai visto nessuno film di Rossellini! Sono terribili!”. Una degna chiusura.

venerdì 26 marzo 2010

Zizek a Roma!

Ho appena saputo che l'autore protagonista della mia prossima tesi di laurea sarà domani all'Auditorium Parco della Musica per tenere una conferenza.Slavoj Žižek in Italia è come Alice nel Paese delle Meraviglie! Consigliato assolutamente a tutti gli amanti del cinema!!!
Ecco riportata l'introduzione alla conferenza sul sito dell'auditorium.


Slavoj Žižek: "Come leggo Marx, come leggo Lacan"
introduce
Antonio Gnoli




Bulimico, citazionista, provocatorio. Uno spettro, molto alto, s’aggira per l’Europa (e l’America) è il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek. Il performer del pensiero forte che cortocircuita pensatori, vissuti quando non c’era neppure la fotografia, con l’immaginario del cinema hollywoodiano. L’esegeta massimo delle scelte del Neo di Matrix, il pensatore che vede il nostro tempo presente racchiuso tra KungFuPanda e Il cavaliere oscuro (Batman, ovviamente), che ha appena letto Avatar come “perfetto esempio di marxismo Hollywoodiano” e giudicato il marine protagonista del film con le categorie che Lacan applicava al marchese de Sade, ci spiegherà che “anche se è più reale della fantasia, la realtà ha bisogno della fantasia”. Come leggendo Marx e Lacan dentro il cinema americano, dentro il fallimento della politica e dell’economia, conosciamo meglio i limiti del reale. Tutto questo e forse (molto) altro ancora. (vai alla pagina)


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Slavoj Žižek: "Come leggo Marx, come leggo Lacan"
Sabato 27/03/2010
Teatro Studio, ore 21
Un evento di
Libri come. Festa del Libro e della Lettura

Biglietti:
Posto unico: 2.00 euro
Biglietteria 892982

mercoledì 24 marzo 2010

The Pacific - First Look

Se ancora non lo sapete ho iniziato a collaborare come redattore per un grande network italiano che si chiama Everyeye. Mi occuperò di recensire e criticare serie televisive italiane e straniere assieme ad un brillante team di giovani giornalisti. Non potendo copiare i miei testi sul blog per motivi di copyright mi limiterò a linkarli in modo che possiate accedere anche da qui ai contenuti e magari dare un'occhiata in giro per il sito.


lunedì 22 marzo 2010

Digital Life

In un sabato sera che paventa primavera, mi sono recato con un eterogenea combriccola di amici presso l'ex mattatoio dove è allestita la mostra Digital Life promossa dalla fondazione Romaeuropa.

Enpower your senses - recita lo slogan di sottotitolo di questa esposizione d'arte conteporanea dedicata interamente al digitale. Ambienti stereoscopici fra i resti (un pò inquietanti) delle attrezzature dell'ex mattatoio su cui sorge il centro espositivo La Pelanda. Dall'Italia, all'Europa, all'estremo Oriente, Digital Life, convoglia diverse location artistiche che hanno in comune il mezzo audiovisivo digitale quale strumento privilegiato per la riflessione sul contemporaneo.

Non basta però qualche citazione a Deleuze (X-Scape 08 di Martux_M) o all'11 Settembre (Exploding Camera_2007 di Julien Marie) per connotare un'orizzonte di autorialità, e quindi di valore, a delle opere che rimangono piuttosto superflue. In un contesto in cui l'innovazione tecnologica permette con facilità e pochi "spiccioli" di realizzare progetti d'interattività autore-spettatore, Digital Life ci sembra stare un passo indietro. E' la differenza fra plurimedialità e multimedialità, termine quest'ultimo, ab-usato per indicare in generale tutti quei medium che racchiudono diversi codici (visuale, scritto, plastico). La sostanziale differenza però sta nel fatto che per "multimediale" si intende un sistema interattivo, in grado di reagire ad una risposta, un feedback del fruitore (caratteristica in mancanza della quale ci troviamo di fronte ad un mezzo solamente "plurimediale").

Nonstante alcune opere che puntano sulla pura fascinazione estetica sfruttando l'esotismo del digitale, c'è da segnalare l'interessante lavoro di Christian Partos (Svezia) che con M.O.M. (Multi Oriented Mirror) riproduce il ritratto di sua madre attraverso un mosaico di tasselli-specchio, appositamente inclinati per creare l'effetto di chiaro-scuro in funzione del riflesso luminoso. Ne scaturisce una sorprendente pixelizzazione dell'immagine attraverso un processo analogico e non digitale. Come per dire: digitale o non, è sempre l'occhio "la reginetta del ballo". Di suggestiva rilevanza anche Ondulation_2000 (Canada/Germania/Finlandia) che ribalta l'usuale rapporto di dipendenza del suono dall'immagine attraverso un ipnotico gioco d'acqua e Life di Ryuchi Sakamoto e Shiro Takatani: esistenziale, multipervasivo, platonico.

Prima di uscire sfogliamo diveriti l'albo delle firme:"Legalize it", "Bisogna fasse na canna per capire questa mostra" e molti altri di medesimo orientamento. Io mi limito a frimare un "Nexus" a cui tu aggiungi "Laura". Il sabato sera continua...

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Digital Life - Enpower your senses.
3 Marzo - 2 Maggio 2010
La Pelanda (Ex-Mattatoio di Testaccio)
Piazza O. Giustiniani, 4 - Roma
Ingresso: 6 euro (ridotto 4 €)
Da martedì a venerdì h16/24 - Sabato e domenica h12/24
Infoline: 060608

lunedì 8 marzo 2010

The Hurt Locker

Appena finito di vedere The Hurt Locker si rimane con la gola secca. Vorremmo dire qualcosa, aggiungere un tassello al mosaico dell'esperienza, ma non possiamo: in guerra non ci siamo mai andati, e forse mai ci andremo. Ogni parola sembra arida, ogni lieto fine superficiale. War is a drug - leggiamo all'inizio del film - perchè è nello sguardo paranoico dei drogati che stiamo per essere catapultati.

A Baghdad mancano 38 giorni al cambio del trio che compone il team di artificieri "bravo" dell'esercito USA : lo specialista Owen James, ormai sotto controllo psichiatrico; il sergente Sanborn, indeciso sul da farsi una volta aldilà del "tunnel"; e il neo-comandate di squadra, William James, che dopo 873 bombe disarmate, sembra convivere felicemente con la sua disinnesco-dipendenza. Il count-down pe tornare a casa è iniziato: di giorno il peso soffocante della tuta anti-esplosione, di notte quello ancora più opprimente della coscienza.
Kathryn Bigelow (nel giorno della donna, prima donna a vincere un Oscar alla regia con quest'opera) ci mostra una guerra "sotto botta". Grazie a una fotografia acqua e sapone e una fedele camera a mano, condividiamo l'occhio paranoico di chi si sente osservato. L'occhio vouyeristico dei soldati di Full Metal Jacket, viene qui dato in pasto allo sguardo carnivoro degli altri. "Ha una telecamera, è pronto a mettere il video su Youtube" - è questa il terrore più grande di Owen durante un'operazione di disinnesco. La paura che nel mondo reale, possa arrivare la propria immagine vista dal "di fuori". Quello che fanno gli artificieri è scovare il filo, appena sotto terra, che conduce alla bomba, pronta ad esplodere.
Ma invece di trovare risposte al termine del filo, essi le disinnescano, innescando invece una nuova missione, una nuova dose di limbo esistenziale. Si perchè è solo nei momenti in cui la bomba esplode, che l'effetto della droga scompare per qualche istante e le risposte vanno a segno.

lunedì 1 marzo 2010

Viola addobbo funebre?

E' un caldo pomeriggio invernale e i tuoi occhi assumono una sfumatura vermiglia che mi rende speranzoso. L'aria è leggera, le narici si dilatano. Una sorta di "panismo urbano" prende il sopravvento e sono felice e sono fiero. Oggi si manifesta per dire: basta!


Roma - 27 febbraio 2010. Piazza del popolo viola. Ragazzi, ragazzoni e anziani invadono il centro romano in cerca di risposte. Anzi, cercando di rispondersi. Si perchè il governo, lo stato, il sistema, colloquia solo sui canali unidirezionali della tv, e del feedback della rete non tiene conto (o meglio, ne tiene conto distogliendo lo sguardo mentre tenta di imbavagliarlo). Una manifestazione organizzata e promossa su Facebook, ha raccolto oggi decine di migliaia di adesioni ed il giorno seguente avrà una misera manciata di titoli nei quotidiani. Gli interventi sul palco si susseguono agili e puntuali, senza mai scadere nella retorica, senza piagnistei nostalgici. Flores D'arcais, Gioacchino Genchi, Oliviero Bea fra i migliori.


Poi trasalisco quando vedo sul palco il maestro Mario Monicelli che a 92 anni suonati invita a "spazzare via la classe dirigente" e prendere il loro posto: giovani e vecchi. Penso al Sordi di Un eroe dei nostri tempi (1955) e al Gassman de I Soliti Ignoti (1958), che nel '59 si incontrano in quella vibrante pellicola che segna il giro di boa della commedia all'italiana: La Grande Guerra. Mi piace pensare che i due personaggi/attori dei film precedenti, continuino la loro storia in questa opera: entrambi "condannati" a lavorare al termine delle rispettive avventure cinematografiche (Sordi in polizia, Gassman in un cantiere), si ritrovano a servire la patria durante la guerra del 15-18. L'arte di arrangiarsi, così utile per sviare le leggi della società civile, si rivela insufficiente per evitare la morte, che diventa poi martirio, sacrificio patriottico. Dopo tragicomiche avventure (memorabile questa scena di Sordi che usa la padella come bersaglio er ricavare i buchi necessari alla cottura delle castagne!) i due personaggi muoiono fucilati, lasciandoci con l'amaro in bocca.



Cinquant'anni dopo l'amaro è diventato agrodolce. Ci piace. Ci piace gustare e ridere a denti stretti del nostro lugubre presente. La lezione monicelliana non ha attecchito e percepisco ancora la convinzione che basti ridersi addosso per debellare le contraddizioni dello status quo. Ebbene non basta l'irriverenza della satira, se non è accompagnata all'efficacia delle azioni, al passage a l'acte dei nostri avatar. In fondo piazza del popolo viola ricordava vagamente il pianeta pandora del film di Cameron. E' stata l'occasione per intessere quei collegamenti interpesonali, che affiancati a quelli virtuali (altrettanto importanti!), permetteranno di creare quello spostamento dell'asse politico (dai partiti al popolo) che oggi è ben lontano dall'essere attuato.


La giornata si spegne in un blu elettrico. Occhi scintillanti, cupi ma profondi.
Domani, domani è Domenica.
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