lunedì 27 aprile 2020

Allarghiamo il cerchio: come danzare fra le strade della Fase 2

Mentre l’emergenza Covid-19 ha scoperchiato un vaso di pandora fatto di precarietà, disuguaglianza e vuoto politico, molte/i street dancer come noi hanno continuato a ballare in tha house, condividendo mosse, musica e knowledge sull’unico spazio d’incontro possibile: il web. Spostavamo il divano per ballare, e ci risaltavamo sopra per visualizzare, condividere, commentare e - perché no! - svolgere qualche lezione on-line per arrangiarci in qualche modo di fronte a questa inaspettata fase storica. Bene, direi. Ma non benissimo. 
Ce lo dice la nostra memoria muscolare. Durante il sonno ci agitiamo, convinti di rivivere quelle spericolate notti di festa, quando si ballava pressati l’un con l’altro e una voce gridava «Allargate il cerchio!». Un anatema per molti breaker, a proprio agio negli spazi angusti, ma anche il segnale per lanciare il giubbino a terra, disinnescare i pudori, sudare e danzare fino allo sfinimento. Destati dal sonnambulismo, ora che le misure restrittive sembrano allentarsi, "allarghiamo il cerchio" potrebbe essere lo slogan per immaginare nuove forme di ballo, festa e sfida, all’interno di una scena che deve necessariamente riaprire le porte allo spazio pubblico, ma anche abbattere le sue muraglie immaginarie verso il pubblico. Che effetti ha avuto la quarantena sulla nostra voglia di fare cerchio? Cosa ci spaventa? Ballare in sala o per strada?
La strada.
Ve la ricordate, sì?

In strada scoprimmo un nuovo modo di ballare, incontrarsi e crescere. Qualcuno c’è arrivato dopo, altri non sono più riusciti a farne a meno. Parchi, gallerie, sottovia e lastricati in marmo, in centro come in periferia, ora più che mai c’è bisogno di tornare a trasformare quei luoghi in meraviglioso campo di gioco artistico e politico. In questo siamo brave e bravi: ce l’ha insegnato la prima generazione hip-hop del Bronx, ma anche le migliaia di drag-performer, street & house dancer sparse nei luoghi di conflitto in tutto il mondo. In Iran (dove è vietato alle donne ballare in pubblico) o a Gaza (sotto alle bombe israeliane), dove fare cerchio è un atto di insubordinazione alle logiche sessiste e guerrafondaie che imporrebbero a certe persone un isolamento senza fine. Altro che “yo yo”! In quei luoghi, scegliere di ballare per strada ha innescato un movimento di rinascita collettiva, oltre che di espressione individuale.

Ballando Tehran, documentario che racconta il fenomeno delle "danze virali" scatenate in Iran dopo l'arresto di una ragazza accusata di aver «ballato su Instagram». #dancingisnotacrime
Ora, in condizioni diverse ma comuni, anche per noi è giunto il momento di allargare gli orizzonti e ripensare al senso profondo delle nostre danze. Perché se i social sono stati fin’ora il mezzo, quale sarà il fine? Se non troveremo uno scopo urgente e alternativo al puro sfoggio di stile, le nostre performance potrebbero trasformarsi in un languido canto del cigno. Ben altra cosa rispetto alla dura realtà, che ti grida «Smetti di cazzeggiare e trovati un lavoro!», ma che in questa sede, vi invito a mettere per un momento fra parentesi.
A 36 anni suonati, come b-boy, intravedo nel dramma di questa crisi l’opportunità per riscoprire insieme un nuovo senso sociale, culturale e politico del “danzare in strada”. “Sociale”, perché ci allena a rimanere uniti attraverso le diversità (risolverla nel cerchio, piuttosto che sulla tastiera, è sempre stato meglio!); “culturale”, perché è un linguaggio che si alimenta dal basso ed è orizzontale («Each one, teach one!»); “politico”, perché ci insegna a reagire a tempi e spazi imposti dall'alto (quelli del ghetto prima, quelli dell'emergenza ora). Basta una cassa stereo e un paio di sneaker: tutta la danza, non solo quella urbana, nasce così: come arte povera e di comunità. Non a caso, da due decenni si parla dei bei tempi andati della cultura di strada che mai e poi mai ritorneranno. «Bene!», rispondo ora ai nostalgici, «se non ora, quando?».
«Fare o non fare: non c'è provare!»
Mc Yoda from Star Wars crew ;-)
Sì, ma come? Le feste che erano il cuore della nostra comunità, saranno off limits per mesi, se non anni. Si potrà ballare da soli, ma non in gruppo. Il pavimento, caro ai breaker, forse rimarrà veicolo di contagio e il semplice sfiorarsi potrebbe essere considerato fuorilegge! «Fare o non fare», insegna il maestro Yoda, «non c’è provare!». Ci aspetta un futuro di regolamenti fluidi perciò occorrerà muoversi con buon senso e intelligenza sul crinale delle norme, interpretandole “creativamente” (chi vi scrive riconosce la necessità di adottare misure preventive secondo le disposizioni) per tutelare la salute di tutte e tutti, ma anche per scongiurare autoritarismi e abusi di potere. Il cerchio allargato (un circolo di persone ben distanziate che si alternano al suo interno) potrebbe essere la migliore strategia per tenersi in forma, riattivare spazi comuni e riallacciare legami. Per capire se funzionerà, bisognerà iniziare a farlo. E farlo insieme non da soli. In strada, non a casa. Perché è lì, fra gli snodi dello spazio aperto, che nascono e si nutrono le comunità. Non ballare per i social, socializza per ballare!

Riscoprire e praticare le radici sociali della danza di strada all'interno delle normative, sarà la sfida dei prossimi mesi, ma non saremo i soli. Nel mondo, esperimenti di solidarietà e cittadinanza attiva che, pur nelle norme, provano a disinnescare i meccanismi discriminanti e incoerenti delle misure emergenziali. Una serie di provvedimenti che, ricordiamolo, deve “servirci” non “asservirci”.

Srotolare il linoleum: non è la soluzione al tutto, ma un'alternativa al niente.
E come ogni “serie” che ci cattura, è normale chiedersi come andrà a finire. Purtroppo gli episodi sono ancora lunghi, e il finale, come spesso accade, lo si scrive anche in base al gradimento del pubblico. Certo, se rimarremo sul divano, la «Netflix della cultura» farà un balzo in avanti verso l’aumento delle disuguaglianze, se invece riusciremo a far danzare le strade, forse sarà l’occasione per spazzarle definitivamente via. E chissà, da una nuova scena potrebbero spalancarsi nuovi scenari.


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