martedì 31 marzo 2009

G r a n T o r i n o


Vado al cinema con mamma. È una grigia domenica pomeriggio qui a Terni. Il pubblico di mezza età sfrigola commenti, ma io sono al sicuro, con la testa appoggiata alla sua spalla.


“Sai almeno contare?” – domanda con ieratica ironia il vecchio Walt Kowalski al giovane imbranato Thao. Ha tentato di rubare la sua adorata Ford Gran Torino del ’72 e ora deve rimediare aiutandolo in casa. Presto il suo cinismo rugoso si scioglierà. Possibile che si senta più vicino a dei “musi gialli” che ai propri figli? La guerra ha reso Walt un estraneo. L’acerbo padre Janovich gli offre parole di salvazione. Walt le accartoccia come lattine di birra vuote, ma forse ne assorbe le esalazioni. Se la vita continua dopo la morte, la morte può iniziare anche prima che finisca la vita? Clint Eastwood ci confessa di si.

domenica 29 marzo 2009

f o o D w o r k 2

Ho speso un po di soldini per rifarmi il pc. Ora fooDwork può ripartire!
Gustatevi questa seconda puntata dedicata al cypher.



Nel 1972 alcuni ragazzi capeggiati dall’appena diciannovenne Kool Herc, si riunivano prima in casa poi in strada in quel fenomeno “big bang” che darà vita al movimento Hip Hop: il block party. In questo humus creativo erano in gestazione tutte le discipline collegate al fattore musicale: dj’ing, mc’ing e breaking. Quest’ultima, prendeva piede in maniera del tutto spontanea, esplodeva alla ripetizione dei “breaks” di Herc: loop di percussioni, pubblico in delirio. Semplice, come la geometria di un cerchio.

E dal cerchio, come luogo geometrico si passa al cypher come luogo plurisignificante. Nel cypher si condensano come un ossimoro due funzioni: quella sociale e quella estetica, quella d’aggregazione e quella d’espressione, stomaco e cuore, vita e arte a cui già altri movimenti e teorie artistiche volgevano lo sguardo (penso a Fluxus e gli happening). Il cypher, weltanschauung della danza hip hop, supera le precedenti ideologie dell’arte proprio per la sua natura spontanea e non accademica. Il Bronx, “pop-discarica” della bella Manhattan, è l’habitat naturale dei teenagers afroa-latino-americani, i quali, reinterpretano antichi riti collettivi della propria cultura d’origine in chiave del tutto originale. Lo fanno, senza teorizzazioni a priori e formalmente condizionati dai modelli mediatici che in quel tempo si chiamavano James Brown o Bruce Lee: icone rappresentate poi sull’asfalto.

Così il cypher si auto-coagula in un “qui ed ora”. Fisicamente rimane il cerchio, che delimita, tuttavia senza marcarlo mai, il confine fra spazio estetico e spazio sociale (la cui unione potrebbe chiamarsi “spazio hip hop”). Le persone, attori-spettatori, sono i globuli rossi di questo organismo: insieme formano un flusso, singolarmente sono portatori di vita. E la propria esperienza di vita si materializza in uno stile (per chi balla) e in gesti, grida, espressioni (per chi osserva). Ma nel cerchio ogni ruolo è intercambiabile, e come in un ipertesto, un elemento può essere contemporaneamente un testo e un link, un significato e un significante. E non finisce qui, perché come un incenso spirituale, troviamo la musica, arte maestosa e ambigua, che aggiunge un altro moto al sistema. Il dj, quello Hip Hop, è il demiurgo delle selezioni: da un insieme finito di breaks crea un sistema infinito di choc, che come un’onda d’urto si diffondono fra la gente. Dal vinile al Serato, l’inconfondibile presenza della macchina-oggetto è stata l’interfaccia del dj, sciamano urbano, tecnocrate dell’istinto.

Non c’è giudizio che tenga, si procede per emozioni e il cerchio si allarga o si stringe come muore o cresce una colonia d’insetti. Si noti bene la proporzione: stringe/allarga = cresce/muore. Quando il cerchio si fa piccolo e si sgomita per entrare, è segno che il limite fra chi guarda e chi balla, vacilla. Paradossalmente, il miglior cerchio, sarebbe il non-cerchio: "Spazio Hip Hop" assoluto.

In questa continua alchimia, il termine “ballare” può sembrare riduttivo ma è importante notare che dietro a questo fenomeno c’è una pratica quotidiana. Ho detto pratica come sono pratici e pragmatici gli ostacoli della vita. In questa pratica giornaliera al breaking, i b-boy parlano sempre di “allenamento” e mai di “studio”. La tecnica, che esiste e va interiorizzata alla perfezione, è il passaporto formale per lasciarsi andare una volta entrati nel cerchio. Siamo di fronte ad una disciplina del corpo che pone dei “muri tecnici” non come ostacoli bensì come punti di riferimento per riflettere le onde radar della nostra espressione. Il cypher è veramente una reinterpretazione contemporanea del cerchio rituale delle tribù africane, proprio integrando una forma a priori (la preparazione del rituale nelle tribù, imparare la tecnica nei b-boy) con un effetto a posteriori (l’aiuto della divinità, l’espressione personale condivisa).

Quando il cerchio si spegne, probabilmente portiamo a casa una t-shirt sudata e un ricordo da sfogliare come una raccolta: ogni entrata è stata una poesia, un componimento libero; un riflesso di ciò che eravamo, un oracolo per ciò che saremo.

mercoledì 18 marzo 2009

W a t c h m e n


"Il comico è morto” –L’irriverenza del supereroe di fronte ai mali della società è ormai un ricordo, un’istantanea. Watchmen si sfoglia più come un album fotografico piuttosto che come il fumetto di Alan Moore. La misteriosa uccisione di un supereroe innesca la reazione dei suoi ex-compagni di lotta, ora divisi fra clandestinità e servizio statale.

E’ l’occhio fotografico degli snapshot scattati ai protagonisti che attesta la verosimiglianza di una storia americana popolata di vigilanti mascherati, ma che irrimediabilmente guarda al passato. Un passato vergognoso, decifrabile solo attraverso il flusso di ricordi innescato proprio dalle foto. Il presente è una scolatura che solca le rughe dei volti in primo piano, bagnando indistintamente giusti e ingiusti, come la pioggia incessante della prima parte.

Coccolati da una colonna sonora retrò e ormai disillusi, gli eroi si ri-specchiano in due dimensioni: quella dell’estrema razionalità, del plausibile, dell’efficacia e quella dell’estrema animalità, del compromesso-zero, dell’erotismo. Dr. Manhattan, Veidt e il Comico da un lato; Il Gufo, Rorschach e Spettro di Seta dall’altro. Per salvare l’umanità non basta guardare, occorre guardarsi.

sabato 14 marzo 2009

6 : 5 4

Voglio guardarmi guardare. Voglio fotografarmi fotografare.
Voglio una traccia del 13/14 Marzo 2009.

martedì 10 marzo 2009

G u s t a n d o P o e O n e

Sono in netto ritardo con la registrazione della seconda puntata di fooDwork, la video rubrica dedicata all'estetica del b-boying. Chiedo scusa ai "quattro gattti" che nutrono serie aspettative sul mio lavoro: pazientate con disinvoltura.
Per farla breve, trasformo le mie scuse in praxis offrendovi la mia intervista esclusiva a Poe One (presto subbata in italiano!). Girata nel mese di Maggio dello scorso anno, questo documento è di fondementale importanza per chi voglia capire e approfondire alcuni aspetti essenziali del Breaking.
E' un denso e cremoso malloppo di 40 minuti, al termine del quale non sarete più gli stessi b-boy (o le stesse b-girl).

Ecco il menù che vi ho preparato, buon appetito!

1. What's the b-boy attitude? (0:18)
2. B-boying: express or impress (1:42)
3. When to be aggressive in a dance session? (06:22)
4. What do you think about Urban Force Anniversary and Circle Kingz concept of battle? (12:28)
5. B-boying on the street or on the stage: different culture or different way? (16:42)
6. What's the difference between Breaking and the other Hip Hop dances? (25:58)
7. Give some advice to the italian Zulu Nation Chapter (Omega Zulu Maasai). (29:45)



Thanks to Poe One (friend, guide and ispiration).
Peace Ahki!

lunedì 2 marzo 2009

V e r i f i c h e

In questo libro, Ugo Mulas prende di petto la materia analogica della Fotografia per filtrarne l'essenza concettuale. Dalla pellicola (omaggio a Niepce) alla pelle, quella del corpo, per capire che il mondo e la sua traccia condividono una stessa ambiguità: l'Io.

"Tra il fotografo e 1'oggetto la macchina si anima, è un baluardo, ma non è più il comodo baluardo alia neutralita del fotografo, ne e un ostacolo al suo desiderio di intervenire. Ciò che mi prese allora fu proprio la constatazione di come il fotografo si lasci portare dalla macchina, e viceversa, di come la macchina porta il fotografo, con una scioltezza veramente insolita."

E penso a un Barthes sornione uscire dal cinema, a un Serafino Gubbio terminare l'ultimo giro di manovella.

Il mio è un "amore fotografico" per la vita.
Sono un meta-vouyeur che:
1. fotografa (traccia)
2. vede (interpreta)
3. osserva. (trascende)
Scelgo una lente, poi un'altra, zoommo, cambio focale, aumento l'esposizione, inquadro di nuovo.
Vi sembro così distante, per questo vi sento così dentro.
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