L'aspetto “pro-capitalista” di Deleuze e Guattari è stato ampiamente sviluppato da Aleander Bard e Jan Soderqvist nel loro Netocracy, l'esempio supremo di ciò che si è tentati di chiamare – non cyber-comunismo – bensì cyber-Stalinismo. Mentre rigetta crudelmente il marxismo come obsoleto, parte di una vecchia società industriale, esso si appropria dal marxismo Stalinista tutta una serie di caratteristiche fondamentali, dal determinismo economico primitivo e l'evoluzionismo storico lineare (lo sviluppo delle forze di produzione – lo spostamento di accento dall'industria al management dell'informazione – necessità di nuove relazioni sociali, il rimpiazzo dell'antagonismo di classe fra capitalisti e proletari con le nuove classi antagoniste dei “netocrati” e dei “consumetari”) fino alla nozione estremamente rozza di ideologia (nell'accezione più ingenuamente Illuminista, l'ideologia, dalla religione tradizionale all'umanismo borghese, è rapidamente respinta come lo strumento della classe egemone e degli intellettuali a suo servizio, destinata a tenere in scacco il ceto basso). Qui, allora, si trova la visione base di “netocrazia” come nuovo modello di produzione (il termine è inadeguato perchè, in esso, la produzione perde precisamente il suo ruolo chiave). Mentre nel feudalesimo la chiave del potere sociale era il possedimento della terra (legittimata dall'ideologia religiosa) e nel capitalismo la chiave del potere è la possessione del capitale (con il denaro quale misuratore dello status sociale), con la proprietà privata come categoria legale fondamentale e il mercato come il campo dominante degli scambi sociali (tutto questo legittimato dall'ideologia umanista dell'Uomo come agente libero e autonomo), nella nuova emergente “netocrazia” la misura del potere e dello status sociale è l'accesso all'informazione chiave. Denaro e possedimenti materiali sono relegati ad un ruolo secondario. La classe dominata non è più la classe dei lavoratori ma la classe dei consumatori (“consumatari”), coloro i quali sono condannati a consumare le informazioni preparate e manipolate dall'elite netocratica. Questo spostamento del potere genera interamente una nuova logica sociale e ideologica. Finchè l'informazione circola e cambia continuamente, non c'è più una gerarchia stabile e a lungo termine ma una permanente rete variabile di relazioni di potere. Gli individui sono “nomadi”, “dividuali”, reinventano se stessi costantemente, adottano ruoli differenti; la società stessa non è più un Tutto gerarchico ma una complessa rete di reti.
La Netocrazia presenta i gruppi locali della nuova elite dell'informazione quasi come isole di comunità nonalienate, utopiche. Essa descrive la vita della nuova “classe simbolica”, per la quale lo stile di vita, l'accesso all'informazione esclusiva, e le cerchie sociali contano più del denaro (grandi accademici, giornalisti, designer, programmatori ecc. vivono al contrario nell'altra maniera). Il primo problema è quello del riconoscimento: ai netocrati realmente non interessano gli altri, oppure la loro ignoranza è finta ed è solo un modo per asserire il loro elitarismo agli occhi degli altri? (Ovviamente non lo fanno per i soldi, perchè ne hanno abbastanza.) In più, fino a che punto e in quale precisa accezione sono “in potere”, indipendentemente dal loro benessere? Gli autori di Netocrazia sono completamente coscienti dell'ironia finale della loro nozione di soggetto e pensiero “nomade” come opposto al pensiero tradizionale e gerarchico? Ciò che stanno affermando è che i netocrati, l'elite di oggi, realizzano il sogno dei filosofi e degli artisti emarginati di ieri (da Spinoza a Nietzsche e Deleuze). In breve, e dichiarato più apertamente,[per gli autori di Netocracy] il pensiero di Foucault, Deleuze, e Guattari, gli ultimi filosofi della resistenza, delle posizioni marginali che si sono scontrate con la rete del potere gerarchico, è effettivamente l'ideologia della nuova classe dominante emergente.
Il problema di Netocrazia è che si muove simultaneamente troppo veloce e non abbastanza veloce. Come tale, esso condivide l'errore di tutti coloro che troppo velocemente elevano una nuova entità come successore del capitalismo e degli altri candidati: la società postindustriale, la società informazionale. Contro questa tentazione, bisognerebbe insistere che la “società informazionale” semplicemente non è un concetto allo stesso livello del “feudalesimo” o del “capitalismo”. L'immagine della raggiunta regola della netocrazia è perciò, a dispetto dell'impegno degli autori verso un nuovo antagonismo, un Utopia: un composto inconsistente che non può sopravvivere e riprodursi nei suoi stessi termini. Tutte le maggiori caratteristiche della nuova classe netocratica sono sostenibili solo all'interno del regime capitalista. È qui che risiede la debolezza di Netocrazia: seguendo la logica elementare della mistificazione ideologica, esso rigetta come “scarto del passato (capitalista e statale)” ciò che, effettivamente, sono condizioni positive per il funzionamento della società infromazionale.
Il problema chiave è quello del capitalismo, il modo in cui la “netocrazia” è collegata al capitalismo. Da un lato, abbiamo brevetti, copyright, e così via – tutte diverse modalità con cui l'informazione stessa è offerta e venduta nel mercato come “proprietà intellettuale”, cioè come un'altra merce.(E quando gli autori affermano che la vera elite della netocrazia è oltre i brevetti, e così via, perchè i loro privilegi non sono più basati sul possesso delle informazioni ma nell'essere capaci di discernere, tra la massa confusa di informazioni, il materiale rilevante, essi mancano fortemente il punto: perchè questa abilità di discernere ciò che realmente conta, l'abilità di scartare la zavorra irrilevante, non dovrebbe essere un'altra – forse cruciale – informazione da essere venduta? In altre parole, sembrano dimenticare la lezione base delle scienze cognitive di oggi, ossia che, già al livello più elementare della coscienza, l'informazione consiste nell'abilità di “estrarre”, di discernere gli aspetti rilevanti fra la confusa moltitudine in cui siamo costantemente bombardati). Dall'altro lato, c'è la prospettiva dello scambio dell'informazione oltre le relazioni proprie che caratterizzano il capitalismo. L'antagonismo interno è realizzato nella tensione di base all'interno della nuova classe netocratica, fra procapitalisti (tipi alla Bill Gates) e chi sostiene un'utopia postcapitalista (e, gli autori hanno ragione nel sottolineare che la futura “lotta di classe” sarà decisa riguardo alla possibile coalizione fra i netocrati procapitalisti e gli svantaggiati “consumetari”). Senza questa coalizione e il supporto all'interno della netocrazia, il solo “consumetario” può articolare la propria protesta solo in azioni violente e negative, mancanti di ogni programma positivo e orientato al futuro. Il punto chiave è che non esiste alcuna netocrazia “neutrale”: non c'è nè una netocrazia procapitalisa, appartenente in sé al tardo capitalismo, né una postcapitalista, appartenente a un differente modo di produzione. Per complicare ancora le cose, questa prospettiva postcapitalista è, in sé, ambigua: più significare una sistema “democratico” più aperto o l'emergenza di una nuova gerarchia, una sorta di neofeudalesimo infromazionale/biogenetico.
Tratto da:
Slavoj Žižek, Organs Without Bodies. On Deleuze and Consequences, London and New York, Routledge, 2004-2008, pp.171-173. (Traduzione a cura di Nexus)
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