martedì 5 giugno 2012

Timira e la Soggettiva Libera Inidiretta


Non mettevo piede allo Strike dallo scorso autunno, quando un memorabile concerto dei Funkallisto chiudeva i festeggiamenti per i 9 anni di occupazione, sugellando la settimana calda del #15ott con la cover di Super Bad di James Brown. Poi a Marzo l'assalto di Casapound al circolo futurista: guerriglia in pieno giorno, rossi contro neri, anni '70. Casalbertone è stato il quartiere di partenza della mia epopea romana. Scendi a Tiburtina, prendi il 409, compri un pezzo di pizza da Franco, fai le scorte da Auchan o all'In's e alle 20 rimonti sul 409. La routine di un anno e mezzo.

Note di regia:

Approdo allo Strike da lettore-profugo: ho il libro da 15 giorni, ne ho letto il 70%. Il romanzo si chiama Timira ed è meticcio. A scriverlo, Wu Ming 2 (bianco), Anthar Mohamed (nero) e Isabella Marincola (caffelatte). Isabella Marincola in arte Timira Hassan è stata un "italiana dalla pelle nera", figlia di un militare italiano e una donna somala, ai tempi dell'occupazione fascista. Nata a Mogadiscio e formatasi artisticamente in Italia, Isabella è tornata poi in Somalia nel '56 per rimanerci sino al 1991 quando il paese fù sconvolto dalla guerra civile che detronizzò il dittatore Siad Barre.


Da questo episodio parte la narrazione di due strani soggetti, che si presentano vicendevolmente come Wu Ming 2 - "un cantastorie dal nome cinese" e Antar Mohamed - "un italiano col nome africano e quattro lauree". Antar è il figlio di Isabella e dieci anni fa porta una cartellina rossa alla soglia di casa-wuming-2, che legge sommariamente il caso e lo archivia nel "freezer" dei soggetti. Dentro c'è la storia di Giorgio Mariconcola, fratello di Isabella, che dopo 2 anni di concentramento decise di combattere la ritirata tedesca, morendo partigiano nel '45. Prima che Wu Ming 2 scongelasse la storia di Giorgio, uscì Razza Partigiana: vita di Giorgio Marincola di C. Costa e L. Teodonio. Grazie alla presentazione di quel libro, WuMing 2 conobbe Isabella: "Buonasera signora Marincola, posso rubarle un minuto?". Quattro anni dopo Isabella è morta, ed è nata Timira.


Soggettiva libera indiretta in #Timira:

Diciamolo subito: in Timira si fa del gran buon cinema. Ha ben 40 pagine di titoli di coda, fotografie, voce off dell'autore ma non è un film. Timira è cinema più che letteratura, come spesso un film è più letterario che cinematografico. "Dopo la morte di Isabella abbiamo iniziato a sbobinare un materiale incredibile di registrazioni, testimonianze, fotografie..." - dicono non a caso WuMing 2 e Antar.
La vicenda si articola su molti piani e registri. C'è il presente narrativo del '91-'92 quando Isabella è profuga in Italia, e un "passato continuum" che va dal 1925 al 1990 fino quasi a sbordare nell'altro piano. Il libro è diviso in tre parti entro le quali affiorano quattro lettere intermittenti (una "corrispondenza d'amorosi sensi" di Wu Ming 2 verso Isabella, sullo sfondo dell'Italia 2011) e nove Archivi Storici (documenti originali tratti da giornali, atti pubblici, epistole etc.) + una Cronologia (un elenco di date salienti a chiusura del romanzo) + Titoli di coda (riferimenti bibliografici e fonti).

Nel piano del presente ('91-'92) c'è un ottimo lavoro sul cambio del soggetto narrante che merita un'analisi estetico linguistica sfruttando anche gli elementi della grammatica cinematografica.


La storia parte con gli ultimi giorni del regime Barre raccontati dall'io-epistolare di Isabella e prosegue in terza persona con quelli di Antar in Italia, alternando il passato remoto al presente (cap. Due). La staffetta fra tempi verbali è spesso invisibile e a pagina 23 è spalleggiata da un breve inserto di articolo di giornale  che squote il piano di referenza per ricollocarlo nella posizione precedente (la terza persona) ma cambiando il tempo verbale. Nel capitolo successivo e nella maggioranza di quelli seguenti relativi al presente '91-'92, si usa la seconda persona.


Nel capitolo Quattro abbiamo però un efficace esempio di camouflage referenziale molto simile all'idea cinematorgrafica di "soggettiva libera indiretta" che Pier Paolo Pasolini teorizzò a partire dalla nota tecnica del dicorso libero indiretto letterario. Si parla di Isabella in seconda persona presente, il narratore è semi-onniscente: si attiene ai pensieri della protagonista e ogni tanto riassume avvenimenti e pensieri a breve termine. Il "tu" impersonale della seconda persona ci riguarda da vicino, sembra ingiungerci a pensare e agire come il personaggio, ma allo stesso tempo sottolinea una certa frattura fra il "tu" (cioè il lettore) e il suo avatar (il personaggio). Così, come se fino ad ora la storia si fosse composta per mezzo di inquadrature semi-soggettive, ravvicinate, sporche, ora si passa al piano totale, immobile, della stanza.

"Ti immagino in camera, alla luce di due candele, davanti all'armadio spalancato e ai cassetti aperti. So che di vestiti ne hai sempre avuti pochi, dunque non è questa la scelta faticosa. Prendi per primo lo scialle verde con il bordo dorato e le righe rosse."


Il narratore (o "i narratori") mostra il proprio tocco, rivela l'esistenza di un dubbio della forma. L'Io non entra in campo, perchè le immagini di Isabella che fa le valigie scorrono in continuita con la storia ("Ti immagino in camera"). È come se esprimesse una propria soggettività atttraverso un' immagine che resta pur sempre fedele al continuum dell'azione. Soggettiva libera indiretta. Per un'istante c'è un cambia l a profondità di campo, o la fotografia, o come ho suggerito, la macchina da presa si allontana di qualche metro, resta immobile, il tempo di riorganizzare la forma, raffreddare il pathos.


Una scelta analoga avviena al capitolo Sedici, quando Isabella si reca a Stramentizzo, sulle tracce del luogo in cui è morto il fratello Giorgio. Al termine del capitolo si verifica un'altra frattura fra io narrante e io autoriale che coinvolge lo stesso personaggio/co-autore Isabella. Il capitolo termina così:

"Prima di salire, ti immagino lanciare un'occhiata intorno, per poi chinarti a cogliere un ranuncolo, sul ciglio della strada, in mezzo a ciuffic d'erba scolpiti nel catrame.

Ma tu mi ricordi con aria seccata i tuoi dolori alle ossa, l'artrite, l'osteoporosi, e dici che già per accomodarti al tuo posto farai una bella fatica, non se ne parla nemmeno di spezzarti la schiena per colpa di un fiore.
Io penso che è un vero peccato, ma non voglio fare metafore sulla pelle degli altri.

Così mi rimangio tutto, e ti lascio salire a bordo con passo malfermo, abbandonando un ranuncolo sul ciglio della strada."
Questo finale segue una scansione in quattro parti, sottolineata dagli "a capo" fra un periodo e l'altro. Nel primo è l'io-autoriale, introdotto dal solito "ti immagino" a spostare il referente tramite la tecnica descritta sopra (soggettiva libera indiretta). Nella seconda, si torna alla seconda persona di Isabella, che non è più solo nel contesto della scena a Stramentizzo, ma è co-autrice del romanzo e "sgrida" l'altro autore per la mancanza di verosimiglianza in questo finale di scena. La terza parte è una vera e propria dichiarazione est-etica dell'autore ("Io penso che è un vero peccato, ma non voglio fare metafore sulla pelle degli altri"). Seppur molte vicende sono ricostruite o mai realmente esistite, "la vicenda racconta la verità di Isabella" (come dice Wu Ming 2 allo Strike), e questo impone di tornare coi piedi per terra e non lasciarsi prendere dalle "metafore" poetiche sulla vita degli altri. Nel quarto periodo infatti, l'autore rinuncia al finale poetico e rispetta la versione del suo personaggio/co-autore Isabella. Da notare come il ritorno alla diegesi narrativa avviene sublimando tre io-narranti nel giro di una frase. "Così mi rimangio tutto" (l'io autore), "e ti lascio salire a bordo con passo malfermo" (l'io narratore e il tu-personaggio), "abbandonando un ranuncolo sul ciglio della strada" (il gerundio impersonale decreta il ritorno al mondo narrativo, slegato da io narranti o autoriali).



To be continued...


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