Di fronte al filosofo che definisce la necessità come l’interpretazione retroattiva di un evento puramente contingente, non so proprio chi ringraziare per “la contingenza” degli eventi che ha reso possibile il mio incontro con lui. Si perché, parafrasando Lacan, mi sono trovato in una di quelle situazioni “più assurde dell’assurdo”, così vere da sembrare finte. Senza biglietto, senza un aggancio per entrare, senza un bel visino la sfoggiare all’usciere, ero ormeggiato nel limbo dell’atrio nella vana speranza che qualcuno rinunciasse al proprio posto. Sarei stato probabilmente il più autorevole conoscitore di zizekologia della sala e non potevo accedervi. E mentre recitavo il mea culpa all’uscita del bagno dell’auditorium una voce, come sulla via di damasco, mi folgorava:”Ma tu sei Nexus?”. La mia nuova felpa ricamata “Urban Force” aveva svolto il suo dovere simbolico e quell’usciere aveva visto quel che c’è “in me più di me”. Entravo entravo entravo!
Roma, 27/03/2010 - Una maglia a “v” semi-sgualcita, la lingua “alla Fantozzi” e un continuo toccarsi il naso. Slavoj Zizek conquista subito il pubblico eterogeneo del Teatro Studio, che in occasione dell'evento Libri Come, ha fatto il tutto esaurito. Avrebbe dovuto parlare di Marx e Lacan, ma non lo fa o meglio non dice di farlo. Il vero interlocutore mancante è il cinema a favore di un approccio sprezzante alla politica contemporanea, suffragato dall’uscita del suo nuovo libro Dalla tragedia alla farsa. Ideologia della crisi e superamento del capitalismo. (Ponte alle grazie ed.) “Provengo da un piccolo paese della Slovenia” – esordisce – “e mi permette di vedere le cose nella loro posizione contingente”. Ironizzando, parla della saggezza slava e di come nel suo paese tutti sappiano il significato del misterioso sorriso della Mona Lisa. Le sue lips (labbra) sorridono a causa di un lick (leccata). La battuta oscena è confezionata, tutti ridono. Poi inizia sul serio: ”Se Dio non esiste, allora tutto è permesso”. Questa frase tratta da I Fratelli Karamazof di Dostoevskj è ancora oggi utilizzata dall’ala conservatrice per legittimare il valore di un’autorità trascendentale in grado di regolare, e quindi salvaguardare, le nostre vite dal baratro dell’edonismo egotistico. Al contrario per Zizek, che riprende il Seminario XI di Jacques Lacan:”Se Dio non esiste, allora tutto è proibito”. Infatti la vita dell’ateo liberal-edonista è più complicata che mai. Lungi dall’essere libero dalle proibizioni religiose, egli ha bisogno di auto-limitarsi per assicurare la prosecuzione del proprio benessere e non intralciare quello degli altri. Diete, fitness, astinenze ma anche sguardi bassi e formalismi, non sono altro che prescrizioni di un Super-Io (quell’agente osceno che ci bombarda di richieste impossibili) che regola il godimento del soggetto al fine di non disturbare il godimento dell’altro. A proposito di questa inversione oppositiva, Zizek cita l’incontro avvenuto negli anni ’90 a Belgrado con dei fondamentalisti religiosi che al grido “Fuck the modern!” si servivano del loro ruolo di “strumenti di Dio” per perpetrare tutta una serie di crimini contro altri uomini. Secondo Zizek ci troviamo di fronte a ciò che Kierkegaard chiamava “sospensione religiosa dell’etica”. Le religioni come le grandi ideologie (es. lo Stalinismo, ampiamente analizzato nei suoi libri) sono una sorta di anestetico emotivo che permette agli uomini di eseguire gli atti più atroci in nome di una causa. Allo stesso modo, parafrasando Adorno, agire per un ideale (il volere di Dio, il progresso della Storia) conferisce al soggetto una certa dose di godimento, nonostante riconosca l’obiettiva crudeltà dei suoi atti.
Lungi dall’essere nell’era post-idelogica, Zizek fornisce alcuni esempi di agenti super-egogici che fanno da base alle nuove ideologie. Primo fra tutti è il movimento ecologista. Pur riconoscendo la gravità della crisi ecologica, Zizek critica fortemente questo movimento come nuovo “oppio del popolo”. Predicando la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse energetiche, apparentemente l’ecologismo pone dei limiti per un fine etico: il bene di tutta l’umanità. Il fatto però che la recente crisi mondiale del sistema bancario (capitalista) abbia scalzato l’attenzione sulla risoluzione dei problemi ecologici (vedi la fallimentare conferenza di Copenhagen 2009) offre la possibilità per un’ulteriore ribaltamento oppositivo. Gli stati che hanno rifiutato di limitare il sistema economico in favore della “sopravvivenza”, hanno testimoniato la loro dedizione etica al Capitalismo. L’egotismo del capitalista diventa dedizione etica alla riproduzione del sistema e viceversa l’impegno etico dell’attivista ecologista è mero senso di sopravvivenza.
Sempre sulla borderline del fraintendimento, Zizek fa una digressione sul ruolo del poeta nei sistemi totalitari. Lontani dalla rappresentazione di naturale innocenza che ne danno i profili storici, i poeti hanno molto spesso offerto il supporto emotivo per giustificare terribili crimini ideologici (vedi. Vladic e Karazic nella dittatura Milosevic). Ovviamente è stupido pensare di liquidare il lavoro dei poeti in questi termini, ma Zizek insiste sul fatto che oltre ad una forza militare esiste anche una “poetica militare” in grado di condizionare altrettanto efficacemente i comportamenti delle persone. “State attenti” – esorta – “dietro la perpetrazione di genocidi ci sono sempre alcuni poeti”.
Infine, come se non bastasse, arriva il momento di occuparsi del Cristianesimo. Zizek, già autore del controverso The Puppet and the Dwarf (Il Cuore perverso del cristianesimo, 2003), espone la sua tesi secondo cui Dio stesso non sia credente. Nel grido d’aiuto di Gesù crocifisso "eloi eloi lama sabachthani” (dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato), Dio capisce che non può farcela senza di noi e che non si fida di se stesso. In accordo con Chesterton, Zizek si allontana dall’interpretazione di stampo pagano che vede Gesù sacrificarsi per i nostri peccati. Altresì evoca l’immagine di Cristo risorto come “holy ghost” (fantasma sacro), metafora della comunità cristiana. Nonostante il suo ateismo, e sta qui la genuinità dell’interpretazione zizekiana, egli è un lucido sostenitore delle radici cristiane europee. In tema di immigrazione e accettazione dell’altro, il messaggio cristiano di “amare il prossimo” è più che mai attuale. Accettare, ammonisce Zizek, non significa però gettare la maschera, bensì accettare di trovare una maschera aldilà della maschera. Ricollegandosi al concetto della de-sostanzializzazione dei prodotti (caffè senza caffeina, carne senza grassi, cioccolato senza cacao), la cultura liberale vorrebbe accettare l’Altro ma senza la sua alterità (“decaffeinato”). Zizek, prendendo come esempio le controversie francesi sull’adozione pubblica del burka, ricorda che l’ansia non risiede nel non poter vedere ciò che c’è aldilà della maschera, ma bensì vedere la superficie inumana che ci guarda senza mostrare gli occhi. Insomma per Zizek la soluzione ai conflitti di immigrazione non è quella di aprire le frontiere in maniera illimitata ma risolvere il problema there (là), accettando l’alterità, la “cosa” (Das Ding freudiana) senza ingannarci ponendo metaforicamente una faccia (menzognera) sopra al burka.
Terminata la conferenza mi fiondo verso Zizek assieme ad una sparuta masnada di fan. Continua a parlare, insaziabile di domande. Una donna gli chiede una consulenza psicanalitica. “Signora” – risponde – “ma mi ha visto? Se vuole farsi psicanalizzare da un uomo con tutti questi tic, è la prova definitiva che lei è pazza!”. Mi faccio spazio e riesco a farmi autografare un suo libro. “Mr. Zizek, sono uno studente di Cinema. Sto scrivendo la tesi sulla sua filosofia”. Zizek mi guarda perplesso e farfuglia qualcosa come per dire: “Tanti auguri!”. Poi s’illumina e mi chiede:”Conosce la mia interpretazione dei film di Rossellini?”. “Certo” - rispondo orgoglioso. “E’ qual è la verità sui film di Rossellini?”. Io tento di spiegarlo in inglese ma lui mi interrompe subito:”No, la verità è che io non mai visto nessuno film di Rossellini! Sono terribili!”. Una degna chiusura.