Ecco la situazione: Bergamo, 12 ore di attesa prima del volo per Siviglia, -2 gradi e borsoni al seguito. Con la nebbia sul collo ci rintaniamo in un cinema del centro. Il film sembra appetitoso...
Che la cucina sia una metafora sulla vita e' cosa risaputa. La scelta del menu come le scelte nei rapporti umani, la scalata al successo del ristorante come l'eterno transito fra riti di passaggio sociali, mangiare come scopare come cercare di saziare qualcosa (o qualcuno) di insaziabile.
Soul Kitchen di Fatih Akin e' come il sushi californiano: non mi convince. Gli ingredienti sembrano freschi: ritmo funkettone, fotografia sporca, gag e una spaghettata di personaggi "all'aglio e olio" che non ne combinano una giusta. Sullo sfondo di un Amburgo demotivata e scialba, l'agrodolce Zino e´il trade union della commedia. Sempre in bolla, deve combattere col fratello galeotto, il cuoco rivoluzionario e la ragazza a Shangai con cui puo' consolarsi improvvisando grotteschi spogliarelli in webcam. Ma lungi dall'ottenere gli effetti della gag chapliniana (a cui il regista ammette l'ispirazione), ci accorgiamo che portata dopo portata il `piatto forte`non arriva mai. L'impianto diegetico e´ben organizzato ma prevedibile. Un bel ritmo di montaggio non basta a farci dimenticare che l'unione di Alta cucina e bassa cultura fa tanto, troppo postmodern. E quando almeno nell'aspetto, la scena sembra promettere bene, un senso di de-ja-vu ci riporta alle migliori prove della commedia surreale americana o asiatica contemporanea.
Eppure Soul Kitchen e´nastro d'argento 2009 e consigliato dal Gambero Rosso. Eppure, manca qualcosa. La metafora dunque risiede nella non-riuscita del film stesso: dietro a ogni ottima ricetta (come la vita, come un film) si nasconde una `piccola cosa', sine qua non tutto diventa insapore...come quando manca l'ingrediente segreto.
Soul Kitchen di Fatih Akin e' come il sushi californiano: non mi convince. Gli ingredienti sembrano freschi: ritmo funkettone, fotografia sporca, gag e una spaghettata di personaggi "all'aglio e olio" che non ne combinano una giusta. Sullo sfondo di un Amburgo demotivata e scialba, l'agrodolce Zino e´il trade union della commedia. Sempre in bolla, deve combattere col fratello galeotto, il cuoco rivoluzionario e la ragazza a Shangai con cui puo' consolarsi improvvisando grotteschi spogliarelli in webcam. Ma lungi dall'ottenere gli effetti della gag chapliniana (a cui il regista ammette l'ispirazione), ci accorgiamo che portata dopo portata il `piatto forte`non arriva mai. L'impianto diegetico e´ben organizzato ma prevedibile. Un bel ritmo di montaggio non basta a farci dimenticare che l'unione di Alta cucina e bassa cultura fa tanto, troppo postmodern. E quando almeno nell'aspetto, la scena sembra promettere bene, un senso di de-ja-vu ci riporta alle migliori prove della commedia surreale americana o asiatica contemporanea.
Eppure Soul Kitchen e´nastro d'argento 2009 e consigliato dal Gambero Rosso. Eppure, manca qualcosa. La metafora dunque risiede nella non-riuscita del film stesso: dietro a ogni ottima ricetta (come la vita, come un film) si nasconde una `piccola cosa', sine qua non tutto diventa insapore...come quando manca l'ingrediente segreto.
Ecco la situazione: Siviglia, una manciata di b-boy aspiranti cuochi e 15 spagnoli da sfamare entro mezzanotte. L'idea e' quella del finger food, ma la sbornia della notte precedente non permette scherzi: concentrati al 100%, ci devono scappare anche un paio d'ore di allenamento in piazza.
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