sabato 8 dicembre 2012

Stregatto Randagio (3) - un racconto di Nexus

Terza puntata del mio viaggio di educazione cinematografica attraverso la breakdance. Buena suerte!
 
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1.




Una volta instradato, implementò i quattro programmi madre: acchiappaocchi, carapace, mantide religiosa, clownerie. L'acchiappaocchi sviluppava espressioni facciali e strategie visive atte a raccogliere l'attenzione del pubblico instaurando una simbiosi semantica più duratura possibile. Carapace – che prendeva il nome dallo scudo bivalve dei crostacei – era il programma dedicato alla salvaguardia dell'epidermide. Si fondava su di un semplice assioma: se un b-boy pensa di non farsi del male, riuscirà davvero a non farsi male. La prassi aveva riscontri assai deboli, ma anch'essi venivano interpretati alla base di un'altra teoria riconducibile (forse falsamente) all'idealismo tedesco, secondo cui: “Se i fatti non aderiscono alla teoria, allora cambia i fatti”. Mantide religiosa riguardava le strategie di consumo e preservazione delle energie, e in particolare sulla capacità di dissimulare qualsivoglia espressione di disincanto e portare a termine lo show con il massimo di irrealismo. Clownerie – da vocabolario – è l'arte di fare il clown.

Il naso rosso si cinse di un nuovo elastico, poi fu gettato insieme ad altri oggetti in una cella più piccola.

La mattina della partenza si svegliò di buon'ora e dispose la refurtiva sul letto a mo' di conferenza stampa. Flash! Prima di sbarrare la finestra del salone, calzò il cappello-salva-monete, inclinandolo leggermente sulla nuca. Si specchiò. Era diventato un artista di strada. Con questo termine la gente comune designa un personaggio dalle origini ignote che, sempre per ignoti motivi, ha deciso di arrabattarsi il pane quotidiano giocolando per le strade, cogliendo l'attimo, fino al giorno della Grande Vendemmia, quando avrebbe tuonato: “Muio povero, ma ricco!”. Di fianco al divano cobaltoso, apparve una bambola d'uomo disanatomica, tenuta in piedi da un reticolo di stringhe, stoffe, stracci e strumenti del mestiere: il suo. Artista di strada, il suo mestiere è l'artista di strada, fuori dal quale cessa di esistere. Scarpe di tela: strette. Nell'immaginario collettivo egli non può aver goduto dei benefici derivati dalla scuola dell'obbligo, né essere stato svezzato da una famiglia più o meno radicata e solida. Al massimo può aver seguito la scuola di circo degli zii bosniaci e passato brevi periodi di stanziamento in una fattoria dell'ex-jugoslavia, dove, ribellatosi al familismo amorale, avrà optato per un nomadismo radicale e solipsista. T-shirt modello “serafino”, scollata in petto. Sì, così conciato sarebbe stato credibile. Poco importava che la sua vita fosse segnata da una laurea specialistica e una speciale Laura.

Impacchettò la refurtiva e omettendo di innaffiare i gerani, sigillò le finestre. Lo spazzolino! Un ultimo colpo d'occhio ed era fuori. Poi dentro la metro e in fila all'imbarco dei bus di Tiburtina, dove un giovane controllore si accertò circa la sua destinazione, prima di concedergli di abbandonare il fagotto sul lato sinistro del veicolo.

Nella plancia di quel parallelepipedo azzurro escogitò vari tentativi per inaugurare il suo quaderno. Fallirono tutti. Si lasciò distrarre dalla sublimazione del paesaggio metropolitano in dolce belvedere collinare, mentre il giovane impiegato dei trasporti abruzzesi s'intratteneva con una piacente donzella desiderosa di chiarimenti. Ecco la questione: perchè – a parità di tragitto e mezzo di locomozione – il bus delle 12.20 arriva solo 3 minuti più tardi del bus delle 12.00? Sebbene la domanda fosse di natura puramente pragmatica e l'addetto ai controlli avrebbe potuto defilarsi adducendo ad un semplice errore di battitura, essa offrì lo spiraglio per un affresco dell'odierna episteme italica. Il burocrate dongiovanni si avviluppò attorno alla tesi che il tempo di arrivo dipendesse da fattori contingenti quali traffico e destrezza del pilota, concludendo che il tempo indicato nel programma di viaggio non dovesse esser preso davvero sul serio. L'ilarità mista a sconcerto della ragazza era contagiante. Continuando a fissare l'asfalto sfuggente, con la coda dell'occhio si godeva quel teatrino prettamente casereccio. Si domandò se l'Italia fosse la ragazza che si ostinava a dare senso a ciò che senso non aveva, o fosse altresì quel controllore provolone che faceva leva sulle sue profonde incoerenze per lanciarsi all'arrembaggio del primo boccaporto a portata di membro. Concluse che il suo paese era entrambe le persone, più se stesso: un ferino voyeur incapace - alas! - di balzare alla giugulare del reale.

Pescara si presentò come un'obsoleta scenografia western. Il sole svettava immobile, dominio del giallo. Scese alla prima fermata, a pochi passi da casa, in zona Porta Nuova. Una volta fuori, ordinò a dongiovanni di aprire il lato sinistro del bus, ma venne freddato dalla notizia che quello si sarebbe aperto solamente una volta arrivati in stazione. Questione di sicurezza. Avrebbe voluto crivellarlo d'insulti ma la carovana a motore era già in prima. Saltò a bordo, in balia di qualche strano istinto di sopravvivenza - o codardia. Erano le tre e zero-uno. Borbottò ingiurie per i successivi due minuti, sufficienti ad allontanarlo di circa tre chilometri e prolungando la sua traversata fino alle quattro poiché, prendendo un autobus locale, allungò di cinque fermate e dovette aspettare un autobus in senso contrario:
il 6.

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