«Hail to the King!» - Il re Bianco è tornato, e come il più sanguinario dei Macbeth è pronto a difendere il Suo regno a tutti i costi. Breaking Bad è una serie: più invecchia, più migliora. Ne ha fatta di strada Walter, da quando "cucinava" meta-anfetamine in un camper nel deserto per pagarsi la dialisi. Breaking Bad: Shakespeare ne andrebbe fiero. Non chiamatelo quindi "cinico", ma stoico. E nemmeno grottesco, ma kafkiano. Breaking Bad si avvicina sempre più pericolosamente alla letteratura, sfoderando inquadrature e scenari costruiti a regola d'arte e puntualmente pervertizzati.
Michael Slovis, storico direttore della fotografia della serie, è stato promosso regista del primo episodio, scritto nuovamente dal pugno dell'ideatore Vince Gilligan. Amo Breaking Bad per l'uso della fotografia. Non solo come mezzo di accompagnamento della narrazione, ma, citando Antonin Artaud, come "stregoneria oggettiva", disciplina autonoma per la circolazione/creazione del senso. Certamente il nero e il rosso che accompagnano Walter, come il viola di Marie, si prestano ad una lettura "simbolica" (il nero come lato oscuro e il rosso come presagio di sangue, il viola come l'ambigua cleptomania della moglie di Hank). Ma cosa dire di quelle "botte di colore" incarnate dagli oggetti inutili che popolano la serie?
In Breaking Bad, gli oggetti più importanti sono quelli "inutili" allo scioglimento della storia. Un primo esempio è l'occhio del peluche rosa che affiora dalla piscina di Walter e svincola da un'inquadratura all'altra per tutta la seconda serie o il disco-aspiratutto di Jessie, oggetto-zombie della casa. Cose che passano inosservate, ma non per questo prive di spessore: come la pizza che inavvertitamente Walter lancia sul tetto del garage in un impeto di rabbia, o le pietre (pardòn: "i minerali") che Hank colleziona ossessivamente (citazione a Soffocare di Pahalaniuk?). Sono presenze-assenze. Assenti in senso diegetico (non "trainano" la storia), ma presenti come "macchie di colore", sintomi di morte come la mano sporca di sangue di Lady Macbeth, ma solo nella versione a la Carmelo Bene, dove dietro alla fascia insanguinata non si nasconde una verità, bensì un vuoto. Sì perché mentre nella terza stagione un soggetto-oggetto come una mosca, è capace di scatenare l'azione di un intero episodio, gli altri oggetti da me citati ad un certo punto si assentano, vaporizzano o vengono sostituiti dall'oggetto per eccellenza: lo sguardo. L'occhio della macchina da presa infatti aderisce maniacalmente al punto di vista di oggetti contenitori come bacinelle chimiche, lavatrici, barbecue, cassetti e buchi-nascondiglio.
La "stregoneria oggettiva" di Breaking Bad si sviluppa secondo questo processo di slittamento e transustanziazione dei significanti che invece di guarire il sintomo, lo fanno pulsare sempre più forte, risuonare nella gabbia simbolica come un animale incattivito e giammai domato. Per tutto questo la poetica di Breaking Bad è grande.
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