“Ma allora m’han sempre preso per il culo!” – grida incazzato il rag. Fantozzi. “Ma chi?” risponde Pina. “Ma loro! I padronati, le multinazionali! Per vent’anni m’hanno fatto credere che mi facevano lavorare solo perché loro sono buoni!”.
NB: lo stile del testo seguente, è stato esplicitamente elaborato per una lettura sul web, tuttavia consiglio agli utenti di limitare il più possibile salti di scheda, lettura di notifiche e discussioni in chat ;-)
Quando parlo di Ideologia non mi riferisco semplicemente ad un sistema di idee applicate in vari campi delle scienze umane, bensì una vera e propria visione del mondo, filtro sulla realtà, che investe un grandissimo numero di persone. Secondo l’opinione comune, il Novecento è stato il “secolo delle ideologie”, in nome delle quali si sono combattute globalmente guerre calde e fredde, sino alla caduta del muro di Berlino (1989) evento che segna la così detta “fine delle ideologie” (in particolare quella Comunista). In quel fatidico ‘89, viene pubblicato un controverso saggio di filosofia intitolato The Sublime Object of Ideology (ancora inedito in Italia!) dove si afferma invece che l’ideologia è tutt’altro che scomparsa. L’autore è un post-marxista dal nome impronunciabile, Slavoj Žižek, che sulle orme dello psicanalista francese Jacques Lacan e gli spunti di un altro filosofo-scioglilingua (Peter Sloterdijk) dice più o meno questo:
Oggi nessuno crede più nelle ideologie. Il nostro approccio è cinico, disilluso, irriverente. Il Sistema capitalista ha sconfitto l’ideologia: viviamo in una presunta era post-ideologica. Eppure continuiamo a comportarci come prima. Continuiamo a sfruttare, consumare, pregare. Ma allora forse il problema non è il “sapere” (come diceva Marx: "Non lo sanno ma lo stanno facendo") ma il “fare” ("Lo sanno, eppure continuano a farlo!"). Questo atteggiamento sarcastico nei confronti dell’ideologia è solo un modo per non accettare il fatto che siamo ancora dentro l’ideologia, quella capitalista. - Ma il capitalismo non è un ideologia! – No, ma proprio per questo è oggi ancora più efficace. E così, ritenersi fuori dalle ideologie è il tratto distintivo di chi è dentro l’ideologia per eccellenza. Come è possibile? Come mai se “sappiamo molto bene, nondimeno continuiamo a farlo”? Perché questa nuova forma di ideologia che agisce sul fare e non sul sapere è di natura psicologica, inconscia: siamo affetti da una fantasia ideologica, per cui “crediamo di non credere” (con la ragione) mentre “agiamo come se credessimo” (con i fatti).
Alcuni esempi: so che i soldi non hanno nulla di magico, eppure mi comporto come se incarnassero un potere intrinseco; so che gli immigrati sono degli esseri umani, eppure non li tratto ‘normalmente’; so che Dio non esiste, eppure sottendo all’autorità religiosa; so che mi stanno prendendo per il culo, eppure continuo a lavorare per loro. Vent’anni prima del 1989, al tramonto del boom economico, Pier Paolo Pasolini ravvisava un mutamento di strategia dell’ideologia borghese. Non più un sistema che contrapponeva le classi (proletari/poveri vs borghesi/ricchi) bensì una struttura interclassista che mirava all’omologazione dolce (non violenta) delle masse. Pasolini, sull’onda degli studi semiologici di quegli anni, capiva che il “consumismo” si era già imposto come ideologia dominante senza bisogno di nessun “manifesto” come ai tempi del marxismo.
Oggi. L’ideologia della non-ideologia è ancora viva e vegeta ma ha dovuto correggere il tiro a fronte di due grandi elementi di frizione che si sono sviluppati nell’ultimo ventennio. 1) Lo sviluppo delle telecomunicazioni che ha permesso la messa-in-rete di milioni di persone e lo scambio di contenuti. 2) Gli effetti “ideologici” (si, è possibile anche questo) della critica ideologica di autori “multidisciplinari” di area post-strutturalista/post-marxista (oltre a Žižek, Althusseur, Badiou, Butler, Negri, Bennett) che ripresentati sotto chiave “commerciale” (Žižek è chiamato “l’Elvis Priesley della filosofia contemporanea”) hanno dato luogo a numerosi misunderstanding.
Žižek divide gli atteggiamenti dell’uomo di fronte all’ideologia in 2 gruppi: feticista e sintomatico. Soffermiamoci sul feticista. Il feticcio in psicanalisi è un oggetto che incarna un desiderio. Razionalmente il feticista si sente soddisfatto del proprio feticcio e non vuole esserne liberato. Il feticcio ideologico è analogo e si manifesta da un lato nel fondamentalismo/populismo fascistizzante, dall’altro nell'egualitarismo liberale. Per il terrorista che si fa saltare in aria, o per la squadraccia di borgata, alcuni popoli o classe di persone sono la causa di tutti i propri mali. Negli intenti essi operano nel giusto (lotta per la propria libertà usurpata dagli altri) nella pratica essi non solo sbagliano (perché seguono i dettami di una propaganda) ma perché ignorano il vero oggetto della lotta, ovvero il sistema capitalista che ha generato i popoli-feticcio. Dall’altro lato, l’egualitarismo liberale o neoliberismo etico, propugna la libertà delle persone sotto forma di universale ma misconosce (cinicamente) la costrizione di questa libertà sotto le regole del mercato capitalista (e stiamo pagando gli effetti con una crisi che dura da 5 anni). Come se ne esce? Come far capire al populista che in realtà dovrebbe lottare contro il capitale e il liberista che in realtà sta lottando a favore dello sfruttamento? Il problema non è nel contenuto razionale (Il feticista ama il proprio feticcio) ma nella forma. Ed è li che bisogna concentrarsi.
Innanzitutto togliamoci dalla testa che prima venga il contenuto poi la forma. Nel nostro discorso è fondamentale capire che la forma ideologica è allo stesso tempo contenuto, significante e significato del nostro agire. Esempio: semaforo, si avvicina un lavavetri. La nostra risposta istintiva è “non ho soldi” (spesso seguita dallo sfregamento dei polpastrelli) oppure una mossa ancor più astuta: prendo distanza dalla macchina di fronte, e appena il lava-vetri si avvicina, lo supero fingendo di volermi accodare all’auto di fronte. Questi “gesti sociali” hanno un messaggio ben chiaro che sia voi, sia il lava-vetri, capiscono benissimo: “Potrei darti dei soldi, ma nonostante sappia che hai bisogno di denaro per la tua sussistenza, non sono disposto a darti nemmeno un centesimo”. Il punto è che nonostante il messaggio sia ben chiaro, non è socialmente possibile lanciarlo direttamente, ma necessita di un filtro convenzionale, in questo caso il finto-accostamento all’automobile di fronte. È solo grazie alla forma (del gesto) che riusciamo a lanciare il messaggio (atto), anzi, è grazie alla scusa del contenuto che ci sentiamo giustificati nel compiere determinati gesti. È il caso del così detto “consumo etico”: compro quel prodotto perché parte del ricavato andrà in azioni umanitarie. Carità e commercio: 2 x 1. Fusione di lotta e capitale.
Finchè non capiremo le forme della lotta, non afferreremo mai il loro contenuto e anche se questo fosse giusto (la libertà, l’uguaglianza, l’emancipazione ecc.) la forma attuativa potrebbe essere in-giusta poiché controllata dallo stesso sistema che ha generato il problema della lotta. Per ragionare intorno a questo tema non c’è però bisogno di scomodare i “cattivi” (fondamentalisti, fascisti, terroristi) ma sarà più interessante occuparsi dei “buoni”.
Sto parlando di quei movimenti e associazioni che da alcuni anni stanno risvegliando l’interesse politico (non partitico) delle persone, in particolare adolescenti e giovani-adulti, sfruttando la piattaforma web. Il web come luogo democratico per eccellenza: incensurabile, interattivo, decentrato, onnicomprensivo, globalmente accessibile. Vero? Anche falso. Per distruggere il “mito” del web basta poco:
1) E’ censurabile (v. gli oscuramenti in Iran e Cina e tentativi analoghi in Italia e Europa);
2) Può non essere interattivo (basta mettere un filtro ai commenti e il gioco è fatto: passa quello che voglio io, non tu);
3) Non è decentrato (i contenuti sono mobili ma le piattaforme/router dove passano sono nelle mani di grandi multinazionali);
4) Non è onnicomprensivo (è quantitativamente ampio, ma qualitativamente ristretto e “linguisticamente” legato ad alcune regole non scritte);
5) Non è globalmente accessibile (il cosidetto “digital divide” per cui nei paesi del terzo mondo si naviga ancora a velocità 56k mentre in occidente si parla di web 2.0. Senza adsl riuscireste ad accedere così velocemente al vostro profilo Facebook? Quanto tempo impieghereste per visualizzare un video su YuoTube in HD?).
L’ideologia parte da qui. Dalla nascita del “mito” della rete che si estende aldilà della rete. Sì perché se da un lato la rete è lo strumento benevolo (quasi divino) della nostra “nuova” presa di coscienza, dall’altro è la rappresentazione di un nemico: il Matrix. Il matrix, come nell’omonimo film dei fratelli Wackowski, è un programma invisibile in cui siamo quotidianamente immersi che ci impedisce di vedere la “vera realtà” delle cose. Ma è la stessa cosa che diceva Žižek? Non proprio. Per Žižek dietro al matrix non c’è la vera realtà, bensì, come dice Morpheus nell’edizione originale del film: “the desert of the real” (il deserto del reale). Il deserto del reale non è una versione apocalittica della realtà (dalle predizioni dei Maya all'accento mediatico sulle catastrofi naturali, uno dei topos degli ultimi anni) bensì il vero e proprio grigio nulla. Un po’ quando Stewie Griffin versa la Coca Cola sulla sua macchina del tempo e si ritrova in uno spazio atemporale bianco. Lacan, a tal proposito, cita l’aneddoto di Zeusi e Parrasio di Plinio.
Gara di pittura: il dipinto più realistico vince. Zeusi raffigura dell’uva e subito gli uccelli, ingannati dal disegno, vanno a beccare la frutta dipinta. Zeusi ha la vittoria in pugno e chiede a Parrasio di scostare la tenda che nasconde il suo dipinto. Purtroppo per lui quella non era una vera tenda, ma il dipinto di una tenda. Parrasio vince: Zeusi ha ingannato gli uccelli, Parrasio ha ingannato l'occhio. Ancora una volta il vero inganno non risiede nel contenuto (l’uva) ma nella forma dello sguardo. L'ideologia riesce a corrompere non solo l’oggetto del nostro sguardo ma lo sguardo stesso.
Solo da qui, possiamo muovere una critica a questi giovani movimenti di “contestazione” al sistema che stanno prendendo piede nel nostro paese attraverso il web. Non c’è un movimento unico anche se la forma è molto simile. Le narrazioni cambiano ma alcuni “personaggi” o situazioni, slittano da una all’altra. I progetti, i fini, i target, le stesse ideologie (nell’accezione pre-89 del termine) sono addirittura discordanti ma il “Sistema” (in cinema lo chiameremo il “genere”) è il medeismo e si rifà a quello che è internazionalmente conosciuto come “Teoria del complotto”.
[to be continued...]
Spesso l'ideologia della rete conforma e limita ogni discussione sul reale alla piattaforma virtuale, per quanto profonde possano essere le riflessioni. Mi sembra che esista ormai solo l'illusione dell'azione, la realtà diventa sempre meno attraente( o sempre più repellente), un piano parallelo d'esistenza dove le cose sono andate irrimediabilmente perdute...
RispondiEliminaCiao Giuseppe, alla fine la difficoltà nel postare risiedeva in firefox, ma ho provveduto ad esorcizzarlo con safari! Al prossimo post!