mercoledì 29 luglio 2015

Ex Machina di Alex Garland: fra cognizione incarnata e robotica evolutiva


Robot, androidi, cyborg, A.I.: chiamateli come vi pare, ma essi vivono e lottano insieme a noi. Sorpassata la classe operaia, è il fantasma della classe robotica che infesta questi folli, insostenibili anni di tecnocapitalismo avanzato. Certo, non si tratta di roba nuova: film come Blade Runner di Ridley Scott o A.I. di Steven Spielberg, piluccando briciole da Asimov e Dick le trasformarono in palle di fuoco visuali da milioni di dollari e spettatori. Questi prodotti culturali erano il sogno (e l'incubo) proibito di teorie cibernetiche sviluppate nel dopoguerra e che raggiunsero il loro heyday negli anni 60 attraverso la costruzione dei primi elaboratori elettronici. Roba finanziata dallo zio Sam, ovviamente. Poi negli anni 70 e 80 si tornò ad indagare la mente umana nel suo rapporto col corpo e l'ambiente, ma l'attenzione venne catturata da futurologici dispositivi di realtà virtuale che promettevano di trascendere il corpo e disperderlo nel ciberspazio. Trainati dal caterpillar Neuromante di William Gibson (1986), fecero incetta di immaginari film come Il tagliaerbe (Leonard, 1992), Jhonny Mnemonic (Longo, 1995), Strange Days (Bigelow, 1995), Nirvana (Salvadores, 1997), eXistenZ (Cronenberg, 1999) fino all'infamoso Matrix (Andy e Lana Wachowsky, 1999) che di Neuromante è una sorta di fratellino filosoficamente imbranato.
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