mercoledì 5 maggio 2010

B-boying, Marxismo e Vampiri

L’era che ho definito b-boyxploitation ha generato e continua a generare nuove figure all’interno della scena del breaking contemporaneo. Come ho già esposto in un mio precedente articolo, l’attuale tendenza dei b-boy è quella di mescolare il proprio ruolo nell’underground con quello professionale e di business. Nasce così una figura ibrida, legata al cerchio come al contest come al palcoscenico come al web. Se negli anni ‘80 questa figura era assai rara (Rock Steady Crew e pochi altri gruppi già “leggendari” all’epoca potevano permettersi il rispetto della scena nonostante la commercializzazione mediatica) ora diventa quasi una condizione sine qua non dell’approccio al breaking.

Se è evidente che qualcosa è cambiato nell’alchimia che legava le storiche 4 disciples dell’Hip Hop, lo è altrettanto riguardo al cuore dell’essere b-boy. Se dieci anni fa vivere di breaking era considerato un traguardo accessibile solo ai più talentuosi, oggi è una realtà alla portata di chiunque abbia un minimo di iniziativa. Come ho già affermato, il business è organizzato dagli stessi b-boy, i quali (non è azzardato dire) ‘capitalizzano’ il proprio essere-parte-della-scena. Marxisticamente parlando, la figura del b-boy capitalista è quella dell’organizzatore di eventi il quale non solo gestisce l’apparato logistico e burocratico di una manifestazione, ma si occupa di ingaggiare e “mettere in scena” altri b-boy come lui. Come un giovane vampiro, mentre scopre i suoi poteri diabolici rimane in parte legato ai ricordi della sua precedente vita umana. Così, il non-morto, si mimetizza fra i vivi, ne conosce le debolezze e di notte colpisce. Lungi dal demonizzare i b-boy che utilizzano la “breakdance” per fini commerciali, vorrei piuttosto mettere in luce (o meglio in ombra) il fatto che ormai la maggior parte dei b-boy si sono “vampirizzati”. Dal cerchio al forum, la rete di contatti che un b-boy attualmente sviluppa è molto grande ed eterogenea. Su internet il b-boy diventa “utente”: di un forum, su cui segue e partecipa a discussioni; di un social network su cui posta i propri video e promuove il suo nickname; di un software con cui scarica e condivide musica. Il “b-boy utente” potenzia così la sua identità simbolica all’interno della scena, rendendosi più visibile e condivisibile. Questa visibilità è necessaria a veicolare quella che fino al decennio scorso era la caratteristica essenziale per decretare il successo di un b-boy: la performance. “Se spacchi si vede” – è una frase che nascondeva una fiducia nel sistema meritocratico della scena underground. Se avevi talento ed eri mediamente socievole, ti saresti ritagliato un posto di tutto rispetto nella scena che ti avrebbe permesso di crescere, confrontarti ed infine tramandare le tue esperienze alle generazioni successive.

Oggi la tendenza è all’opposto e potremmo invertire il vecchio “Se spacchi si vede” in ”Se ti vedi spacchi”. Scopriamo così un’altra figura in larga diffusione, quella che definisco V.I.B. (Very Important B-boy). Questo b-boy di cui la maggior parte della gente ignora le origini, trae la sua autorità dal semplice porsi come autorità. In una società dell’Immagine come la nostra, egli ha capito che il solo fatto di essere in vista scatena la domanda pubblica: “Ma chi è questa persona così in vista?” - a cui segue l’ingenua risposta: “Boh, ma se è lì, ci sarà un valido motivo”. Il Vib salta quindi la fase meritocratica per incapacità o mancanza di talento artistico e passa direttamente a quella di visibilità. Ciò che egli mostra non è certo una performance personale (di cui si guarda bene a farlo per non demolire la poca aura di cui si è circondato), bensì quella di altri b-boy. E qui scatta la capitalizzazione del b-boying: servendosi della performance altrui (forza-lavoro marxiana) la scambia per ottenere rispetto e successo nella scena. Nonostante sia un b-boy praticamente “scarso” (una merce dal basso valore d’uso) riesce a capitalizzare il talento altrui (che sfrutta come forza-lavoro) e creare un plus-valore che gli conferisce l’agoniato credito. Un credito, lo ripetiamo, non più guadagnato in base al valore della sua performance di b-boy e di cui presto il Vib si sbarazza, concentrandosi solamente sulla propria visibilità.

Tuttavia se questo che ho descritto è un percorso “estremo” (ma sempre meno raro!) per diventare un Vib, ci sono anche quei gruppi o quei b-boy che dopo un cammino di così detto “sbattimento” nella scena, assurgono al ruolo di vere e proprie leggende e subiscono, anche non volendo, la sudditanza degli altri b-boy e organizzatori di eventi. E’ il caso di molte crew, come in piccolo accade alla mia, che si trovano in situazioni di favoreggiamento che non sempre decretati dal livello performativo ma dalla maggiore visibilità rispetto ad altri gruppi. D’altronde è esperienza comune interpretare vari ruoli a seconda del contesto e ciò che gli altri vedono in noi va comunque rispettato. In ogni caso è leggittimo per ogni b-boy coltivare il proprio business coniugando il proprio talento artistico con altre competenze acquisite in altri ambiti disciplinari (come del resto faccio anche io).

Ciò che a mio avviso è pericoloso non è infatti l’essere riconosciuti Vib ma il processo che porta a tale riconoscimento. Sto parlando del processo sopra descritto che fa aspirare alcuni b-boy ad imprimere il loro calco della walk of fame del breaking senza avere le mani (in questo caso i “piedi”) abbastanza pesanti per farlo. Di modi per rendersi visibili e conseguire successo se ne sono trovati a bizzeffe: organizzare grandi eventi da migliaia di euro di budget, pubblicizzare una propria linea di abbigliamento indirizzata esclusivamente ai b-boy, sfruttare le immense facilitazioni del sistema Serato per improvvisarsi dj da battle, e molte altre pratiche che tendono a mettere sotto i riflettori chi le conduce. Il danno maggiore si ripercuote come sempre in basso, contaminando alcuni principi genuini della cultura a cui è legato il b-boying. Come nella società capitalista, il clientelarismo fra Vib va ormai per la maggiore. Gli esempi non mancano, specialmente nei contest: giurie composte da b-boy organizzatori che nessuno ha mai visto ballare; crew che saltano turni di selezione per pura volontà dell’organizzazione; showbattle organizzati ad hoc per dare visibilità al b-boy di turno. Ecco, tutto questo semplicemente non è b-boying. O meglio, non lo era, perché nato da principi esattamente opposti: la meritocrazia, la trasparenza, l’uguaglianza.

Fortunatamente questo stato di cose non va per la maggiore e gli eventi che puntano solo sul proprio valore-di-visibilità sono ancora destinati a fallire. Sottilmente, però, si sta diffondendo un messaggio ben preciso: “meglio un muro che una porta”. Meglio arroccarsi al sicuro nel castello dei Vib che scannarsi per un pezzo di pane fra il cerchio dei comuni b-boy. Meglio essere un pesce grande del piccolo stagno che un pesce piccolo nell’oceano. Meglio chiudersi in casa e fantasticare sul mostro aldilà della soglia per poi scoprire, davanti allo specchio, che il mostro da cui ci nascondevamo non siamo altri che noi.

lunedì 3 maggio 2010

Treme 1 - First Look


Se siete amanti del Funk-Jazz questa serie farà al caso vostro. Se non lo siete, potrebbe essere un'occasione per esserlo. Coriacea, prepotente e ricca di groove, Treme vi catapulterà nello scenario post-apocalittico di New Orleans dopo l'uragano Katrina del 2005. Date un'occhiata senza bagnarvi troppo!


recensione
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