tag:blogger.com,1999:blog-49094390150044043442024-03-10T09:33:30.143-07:00NexusB-boy, director, street hacktivist, storyteller and more than 10k contrAd[D]iction.Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.comBlogger264125tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-17296730017820999762024-03-10T04:16:00.000-07:002024-03-10T09:32:58.720-07:00Sayounara Toriyama-san. Perché Dragon Ball mi ha insegnato a vivere l'hip-hop<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5AUOX0ltzyh0KkFPrLyLM-sZW9m9g1_nPqXO5OAhl-UG0RyID8lDPJwSyws1fE0G_cHAhIni6YZTSNV6lpuxVprnD0_9OfehEHoFKBScw4bucl54t1pYV7QjwVufnR3-3Ld3MwGbpwYH6aKhYb-4nDIizieyHyXDlBF6yNbw8LcT_V51MOUUYO3EyGpiJ/s666/dragon%20ball%20breakdance.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="330" data-original-width="666" height="222" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5AUOX0ltzyh0KkFPrLyLM-sZW9m9g1_nPqXO5OAhl-UG0RyID8lDPJwSyws1fE0G_cHAhIni6YZTSNV6lpuxVprnD0_9OfehEHoFKBScw4bucl54t1pYV7QjwVufnR3-3Ld3MwGbpwYH6aKhYb-4nDIizieyHyXDlBF6yNbw8LcT_V51MOUUYO3EyGpiJ/w447-h222/dragon%20ball%20breakdance.jpg" width="447" /></a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvfUSNbj0WORlSol6gzE8zlnUZiF_7K6Qeq0FErh-9036LoRa6Jy9Nq_DefEvy4-dgaBXkmLhW87w8ZiqLP822YutYe9s-bTYoLJHuFjrfZk2Jn8KsG_N830QOHNpIytrGa6Da1qYcPnBCwrOYoXW0ZR1k8XCM2CsteW_nyUgCUAv1pbnj1og9mH7NpT5Q/s1000/00001DBAL0039.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><div style="text-align: justify;"><br /></div></a></div><div style="text-align: justify;"><div style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvfUSNbj0WORlSol6gzE8zlnUZiF_7K6Qeq0FErh-9036LoRa6Jy9Nq_DefEvy4-dgaBXkmLhW87w8ZiqLP822YutYe9s-bTYoLJHuFjrfZk2Jn8KsG_N830QOHNpIytrGa6Da1qYcPnBCwrOYoXW0ZR1k8XCM2CsteW_nyUgCUAv1pbnj1og9mH7NpT5Q/s1000/00001DBAL0039.jpg" style="clear: left; display: inline; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="649" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvfUSNbj0WORlSol6gzE8zlnUZiF_7K6Qeq0FErh-9036LoRa6Jy9Nq_DefEvy4-dgaBXkmLhW87w8ZiqLP822YutYe9s-bTYoLJHuFjrfZk2Jn8KsG_N830QOHNpIytrGa6Da1qYcPnBCwrOYoXW0ZR1k8XCM2CsteW_nyUgCUAv1pbnj1og9mH7NpT5Q/w130-h200/00001DBAL0039.jpg" width="130" /></a></div>L'immagine del primo numero di <i>Dragon Ball</i> che strinsi fra le mani ha lasciato un solco indelebile nella mia memoria. Era il 1996, avevo 12 anni e si trattava del mitico n. 39, l'albo dove Goku si trasformava per la prima volta nell'ossigenato Super Saiyan nel culmine della battaglia col mefistofelico Freezer. Ad allungarmi l'albo era stato Filippo, il proverbiale "amichetto delle medie". Uno che fino al giorno prima era tale e quale a te, ma che il giorno dopo entrava in classe trasformato in pre-adolescente, col ghigno beffardo di chi ormai la sapeva più lunga di te perché aveva scoperto questo fumetto che - «guarda che <i>ganzo!</i>». Ganzo e conturbante, non solo perché si leggeva da destra a sinistra, ma perché andava a ripescare un vecchio cartone - «te lo ricordi?» - dove un ragazzino dalla coda di scimmia - «dove? quando?» - girava il mondo alla ricerca delle mitiche sfere del drago. Le sfere del drago, la coda e il bastone allungabile, le capsule, il maestro tartaruga e... il "pussy slap", quando il piccolo Goku tamburellava ingenuamente fra le gambe di quella ragazza e sfilandole le mutandine si accorgeva che... le manca qualcosa (!!!). </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/LjDb_mijXlE" width="320" youtube-src-id="LjDb_mijXlE"></iframe></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><p style="text-align: justify;">Ci vollero giorni affinché questa scena primaria tornasse a galla, e alcune ricerche per scoprire che quel <i>cartone animato</i> <i>giapponese</i> l'avevo visto pochi anni prima su Junior Tv, il canale interregionale di tv ragazzi che trasmise la prima parte della serie animata di <i>Dragon Ball</i> senza censure e con la sigla originale nel lontano 1989 (e ancora nel 1991) su iniziativa di una intraprendente società di distribuzione italo-giapponese. Molto prima del flop delle videocassette di <i>Dragon Ball GT</i> (1996) e del grande boom dell'edizione trasmessa in forma completa su Italia 1 dal 2001 in poi. </p><p style="text-align: justify;">Così, oltre ad acquistare regolarmente gli albi di <i>Dragon Ball</i> fino all'ultimo numero del 1997, recuperai a singhiozzi quelli precedenti, ricostruendo le vicende che portarono il Goku bambino a crescere, sposarsi, figliare e trasformarsi nel guerriero più invincibile dell'universo. La lettura di <i>Dragon Ball</i> coincise con l'iniziazione al mondo dell'hip-hop, nonché alla trasformazione da bambino con la zazzera ad adolescente coi capelli dritti <i>a la Super Saiyan</i>.</p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeLH942GX1HStq3KT7jDwh-Jcv9Fxwctn2XI5ejnS0UDgTOH4pg4XVtBp970x3rtJmio_VZlfF4UWKfEQgE0wrrUFb4lhIs6dOlZjE_VhlMQscgZX5GjyeGAMVxuyFwoDEQiEMTtI0r2-u91CIyCju_Gk1eIjLWJKZQupIH6mn7oF7K1qwdjG-uLj8f5s9/s1280/dragon-ball-stanza-spirito-diventerA-realtA-cosa-scienza-v4-662399-1280x720.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeLH942GX1HStq3KT7jDwh-Jcv9Fxwctn2XI5ejnS0UDgTOH4pg4XVtBp970x3rtJmio_VZlfF4UWKfEQgE0wrrUFb4lhIs6dOlZjE_VhlMQscgZX5GjyeGAMVxuyFwoDEQiEMTtI0r2-u91CIyCju_Gk1eIjLWJKZQupIH6mn7oF7K1qwdjG-uLj8f5s9/w400-h225/dragon-ball-stanza-spirito-diventerA-realtA-cosa-scienza-v4-662399-1280x720.webp" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><b>Il manga di <i>Dragon Ball</i> è stato senza dubbio il mio romanzo di formazione. </b>Oltre alla spettacolarità dei disegni, diametralmente opposti a quelli di Erik Larsen per l'<i>Uomo Ragno</i> (che pur leggiucchiavo), il primo, forte scossone me lo diede l'idea che un "cartone" potesse crescere ed evolvere. Di li la curiosità, come in un affresco noir, di ricostruire le tappe di questo mutamento fisiologico e con lui le coordinate del vasto universo di antagonisti che non scomparivano una volta sconfitti, ma diventavano comprimari, alleati e insieme eterni rivali di Goku. Il caso più noto è quello di Vegeta, che senza riuscire mai a battere Goku in uno scontro diretto, riesce sempre a livellarsi al suo antagonista e trainare il resto della banda<i> </i>a superare costantemente i propri limiti. Un vero e proprio stile di vita che si cementifica quando nella saga di Cell Goku e suo figlio Gohan compiono il primo ritiro di allenamento nella famigerata stanza dello spirito e del tempo, un microuniverso a 10G, dove un anno di permanenza al suo interno corrisponde a un'ora sulla Terra. Un'altra tavola di Toryiama che resta indelebile nella mia memoria è quella di padre e figlio che escono dalla stanza in versione Super Saiyan apparentemente calmi e rilassati, ma in realtà irrimediabilmente evoluti, tanto che a salvare la Terra sarà l'ormai adolescente Gohan. Ma quando Goku sembra dover passare il testimone alla nuova generazione, ecco che con un repentino salto temporale Toryiama ci mostra Gohan più interessato agli studi che alle arti marziali, mentre il padre e Vegeta, in piena epoca di pace, continuano ad allenarsi con la <i>cazzimma</i> di due teenager del South Bronx. A loro corredo Toryiama non trascura mai del tutto il nutrito sottobosco di guerrieri decaduti che continuano a esercitarsi, lottare e sacrificarsi (anche letteralmente) per salvare la Terra dalla nuova minaccia di Majin Bu. E quando anche Goku ci rimette le penne, Toryiama lo fa allenare (e tornare) persino dall'aldilà, delineando una grande epopea dove lo scopo dell'esistenza (anche quella ultraterrena) consiste nel mettersi in discussione, lottare dentro/contro i propri limiti, travalicare mondi e orizzonti, anziché accontentarsi di accumulare trofei e abbandonarsi ai nostalgismi. </p><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjPWceJraxt2OT9Q-4gwQgwo2AmheSl8Clx_2m_or5-5I8lSdN20jAl7PTddM8cD-CDU5h7JXdxTH7b3z2wSSGjxM8L5lQkw09IUuXEt2Ol8jouxgnWI8U-jvMxOfHt1-lNPOahDGvY57B07Ccp6wZ6wPnYyiipuDFyMj-XyNW_OosyKnO6G9SKCDFGwe4f" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img alt="" data-original-height="1285" data-original-width="1025" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjPWceJraxt2OT9Q-4gwQgwo2AmheSl8Clx_2m_or5-5I8lSdN20jAl7PTddM8cD-CDU5h7JXdxTH7b3z2wSSGjxM8L5lQkw09IUuXEt2Ol8jouxgnWI8U-jvMxOfHt1-lNPOahDGvY57B07Ccp6wZ6wPnYyiipuDFyMj-XyNW_OosyKnO6G9SKCDFGwe4f=w255-h320" width="255" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><b>È indubbio che io abbia riportato gli insegnamenti della saga di Toryiama nella mia vita da b-boy, avviata nel 1998.</b> Il gruppo di "acerrimi amici" di <i>Dragon Ball</i> fu un modello fondamentale per immaginarmi il significato di "crew", giocato proprio sull'equilibrio fra rivalità e fratellanza, stile personale e valori comuni. La cultura dell'automiglioramento di Goku (contrapposta all'ossessione prestazionale di Vegeta) ha guidato come una stella polare questi 25 anni di allenamenti che, non è un caso, si svolgono quasi sempre in luoghi liminali richiamanti la dimensione della "stanza dello spirito e del tempo". Sottovia isolati, sale di palestra insonorizzate e garage disponibili rigorosamente di notte e situati in aree industriali o di periferia. Sebbene anch'io, nei tempi d'oro, abbia avuto la soddisfazione di vincere i miei tornei Tenkaichi, scavallati i 35 lo scopo dell'allenamento non è stato più quello di vincere la gara ma di <i>essere pronto </i>alla sfida: prima contro sé stessi, poi contro il migliore degli avversari possibili. Con l'arrivo dell'adultità e le responsabilità che ne derivano, massimizzare il poco tempo a disposizione per mantenere o evolvere le <i>tecniche</i> ideate e acquisite negli anni passati è un'attività che cerco di compiere almeno settimanalmente, come a voler riunire le sette sfere del drago, realizzare un desiderio e ricominciare tutto daccapo. </p><p style="text-align: justify;">Mentre all'inizio della mia carriera l'identificazione andava con Goku, negli anni ho rivalutato i ruoli di personaggi come Piccolo e Tenshinan (forse perché nel frattempo condividevo con loro anche il taglio di capelli!). Entrambi, all'inizio nettamente più forti di Goku, non riescono più ad avvicinarsi al livello del rivale ma continuano a migliorarsi e soprattutto ad essere <i>presenti</i> nel momento del bisogno, ispirando o guidando il comportamento delle nuove generazioni. Come Piccolo, che diventa il mentore di Gohan, o Tenshinhan, sempre con un occhio (dei tre) rivolto al benessere dell'amico Jiaozi. <b>È esattamente così che vedo il mio ruolo di b-boy alla soglia dei 40 anni.</b> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHp22ZlbIXTgLxIH-pHPENvo4VPwH_1UJ3XcXsiAxilXT-XHXnljJGwwVnT3kkU1277RFe7qC1E_r65BCcII8BR06ehcv_uKfACZ8uAxESnzCayYgfHdxTlsaEoz2UBsK1d_zXqRTto6kNkp249MLgEx107b3rFgxN3B52VSHIF9ngwDeveh7ncvIhV3Eh/s1197/Majin%20Boo.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" data-original-height="895" data-original-width="1197" height="149" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHp22ZlbIXTgLxIH-pHPENvo4VPwH_1UJ3XcXsiAxilXT-XHXnljJGwwVnT3kkU1277RFe7qC1E_r65BCcII8BR06ehcv_uKfACZ8uAxESnzCayYgfHdxTlsaEoz2UBsK1d_zXqRTto6kNkp249MLgEx107b3rFgxN3B52VSHIF9ngwDeveh7ncvIhV3Eh/w200-h149/Majin%20Boo.jpg" width="200" /></a></div><div style="text-align: justify;">Allo stesso tempo, quando in gioventù mi esercitavo anche 4-6 ore in un giorno, la massima di Goku - «l'allenamento non deve diventare una tortura» - mi ha permesso di amministrare le forze e prevenire infortuni gravi o sintomatologie croniche che invece hanno spinto molti miei coetanei a smollare o ridimensionare drasticamente la loro attività già prima dei fatidici 30. Connesso all'esercizio della danza, <i>Dragon Ball</i> ha avuto un ruolo decisivo anche nel mio rapporto con lo specchio. Sull'onda lunga dei corpi ipertrofici e inarrivabili dei vari Shwarzy e Stallone, anche Vegeta e suo figlio Trunks (guerriero tornato dal futuro per salvare il mondo da un'apocalisse androide... vi sovvien qualcosa?) cade nella trappola della massificazione muscolare, mentre Goku <i>& son</i> capiscono che «fortificare inutilmente il corpo» a discapito della velocità è un vicolo cieco nel cammino verso l'automiglioramento. Un precetto già presente nella filosofia hip-hop ispirata dai vari Bruce Lee e Mohammed Ali, che Toryiama rinverdisce, disegnando eroi certamente dal fisico atletico e definito, ma che preferiscono allenarsi all'aria aperta, zavorrando il proprio corpo piuttosto che usare attrezzi da palestra, parodiandone il machismo implicito di certi modelli di <i>body building</i> (è Majin-bu, un super-nemico color rosa dal fisico cartoonesco e <i>curvy</i>, a imprimere forse la più sonora batosta al <i>macho-man</i> Vegeta!). </div><p></p><p style="text-align: justify;"><b>Nella mia attività di insegnante di danza e arteducatore ho avuto il grande privilegio di rielaborare gli insegnamenti di <i>Dragon Ball</i> con i miei allievi.</b> Cercando di abbinare quell'ingenua, spontanea, simpatica gentilezza propria di Goku con la determinazione marziale e ascetica di Piccolo o Vegeta, ho cercato di introdurre i neofiti al breaking attraverso il principio pedagogico e politico che ci si possa rimboccare le maniche anche senza perseguire il mito del Cristo morto sulla croce o dell'<i>American</i> <i>self made man</i>. Pericolose tossine presenti sia nella cultura italiana sia in quella hip-hop, che un mondo iper-tecnologizzato ma non totalmente votato al capitalismo come quello di <i>Dragon Ball può </i>riuscire a mio parere ancora a debellare. </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTnN2WTSOk7BComoqHR2c4ajp_1QZ-kUE8Isj37m0hhUUwBCHf5brH94VNtnExewjlLje8AUwBz34TcjOe_4iVkHPQRulIVnFmjSMTrZ4rKaR1oPVPxZGSLK5lZlxsVCRRzsXEZB0JpKoTAwMIXqYh0fX_6D8LOsOS8EylZlS5198WSQS-krbXEpMsVG9H/s1295/tumblr_580de2035a83c6aba6c7fedfe185fe1a_91214bbf_1280.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" data-original-height="1295" data-original-width="1280" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTnN2WTSOk7BComoqHR2c4ajp_1QZ-kUE8Isj37m0hhUUwBCHf5brH94VNtnExewjlLje8AUwBz34TcjOe_4iVkHPQRulIVnFmjSMTrZ4rKaR1oPVPxZGSLK5lZlxsVCRRzsXEZB0JpKoTAwMIXqYh0fX_6D8LOsOS8EylZlS5198WSQS-krbXEpMsVG9H/w317-h320/tumblr_580de2035a83c6aba6c7fedfe185fe1a_91214bbf_1280.jpg" width="317" /></a></div><div style="text-align: justify;">Con la fine dell'edizione italiana del manga nell'ottobre 1997, quando Goku è ormai un nonno con l'aureola, nel 2001 la serie animata di <i>Dragon Ball</i> fa il vero boom su Italia 1, diventando un fenomeno di massa nazionale che plasma per due decenni l'immaginario di milioni di giovani e, a seguire, l'approccio educativo di genitori, insegnanti e artisti cresciuti in quello stesso mondo. È grazie a questo gancio generazionale che sono riuscito a connettere la <i>mia</i> visione dell'universo Toryiama con quella degli allievi nati negli anni 2000. Autogestione, motivazione, allegria, fratellanza, rispetto e sfida fra pari, sono tutti concetti che, raccontando la favola di Goku e soci in versione doppia h, risultano complementari alla narrazione fondativa dell'hip-hop (quella dei ragazzini che esorcizzano la violenza ballando fra le strade del Bronx), con l'aggiunta che entrambi - allievo e insegnante - hanno fatto esperienza diretta del mondo finzionale, ma non per questo meno significante, di <i>Dragon Ball</i><i>. </i>Un mondo che poi ha continuato a espandersi e che dal 2015 aveva ripreso le avventure di "nonno" Goku con una nuova edizione scritta da Toryiama e disegnata dal suo erede mangaka Toyotaro. E che ovviamente ho iniziato a leggere con la stessa curiosità dei tempi dell'<i>amichetto delle medie</i>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyfJ_cK9Fr2rx2qL8ddGUb0WHhZ_LyJXnfmUq5Igl5JFY4j_WtpRldL-qlXmG3Q3Bcokxw-Irme1IGgIjsuH26FTPHcv5WYuzapI02npwrVPMsWzw_q2brEJPSJsT1yI9283bTkn2juy_jrbrDfP11KCs4LepRKt__TJCeTZw1yE1HC9hKUfPcDxSYx_6v/s1000/81onQS8yigL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="677" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyfJ_cK9Fr2rx2qL8ddGUb0WHhZ_LyJXnfmUq5Igl5JFY4j_WtpRldL-qlXmG3Q3Bcokxw-Irme1IGgIjsuH26FTPHcv5WYuzapI02npwrVPMsWzw_q2brEJPSJsT1yI9283bTkn2juy_jrbrDfP11KCs4LepRKt__TJCeTZw1yE1HC9hKUfPcDxSYx_6v/s320/81onQS8yigL._AC_UF1000,1000_QL80_.jpg" width="217" /></a><div style="text-align: justify;">Quindi <i>Dragon Ball </i>è il migliore dei mondi possibili? Certo che no. La visione di Toryiama risente di un coté patriarcale molto forte e tipico della produzione culturale giapponese (e occidentale) dell'epoca, dove l'arco narrativo assegnato alle donne è quello di passare da "femmine folli" a madri ossessive e/o mogli coi pantaloni, come nel caso di Bulma, Kiki e C-17. Se il "maestro" della tartaruga è un anziano eremita che offre i suoi servigi in cambio di sbirciatine e palpeggiamenti verso giovani ragazze non sempre consenzienti, Goku, pur creando la propria famiglia nucleare, non ne eredita il "vizietto", rimanendo un bambino curioso bloccato allo stadio del "pussy slap" e attraverso il quale Toryiama ripropone la contro-narrazione maschile del marito-succube-della-moglie-matriarca. La nuova saga di <i>Dragon Ball Super</i>, alla luce dei tempi, tenta ovviamente di scardinare questi maschilismi con nuovi personaggi non-binari (come Whis) e guerrieri donne, depotenziando i protagonisti (Goku e Vegeta tornano allievi per superare i propri limiti caratteriali) e restituendo il clima di giocosa avventura delle saghe di Goku bambino, dove vecchi amici e nemici tornano a calcare il palco del mitico torneo Tenkaichi in edizione "lotta fra multiversi" (sic.). Un cambio di rotta che non elegge certo Toryiama a nuovo araldo del transfemminismo, ma che lascia uno spiragli a <i>Dragon Ball</i> e i suoi eredi creativi di accogliere nel proprio universo pedagogico le complessità sprigionate dalla globalizzazione di anime e manga, dando la possibilità a vecchi e nuovi personaggi, così come a grandi e piccoli fan, di non smettere mai di imparare dal bambino che e dentro di loro.</div></div><p></p><p></p><div style="text-align: justify;">Per lo spirito e il tempo:</div><div style="text-align: justify;">grazie Toryiama-san! </div><p></p>Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0Torino TO, Italia45.0703393 7.68686416.760105463821155 -27.469386 73.380573136178839 42.843114tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-58536830808225012732020-04-27T01:01:00.000-07:002020-04-27T11:09:10.016-07:00Allarghiamo il cerchio: come danzare fra le strade della Fase 2<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="clear: left; float: left; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1073" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0m-4jVXP843RcwpAM0ko3bInc08VTU-IudXsMkMjKReynDgmpOp1YInTO5rlRgjVIMhSVop0S7uWimddZ8CRHaVHO-NDboihalCw1oUntjTMRWn_SmJSeYky5bF8ALtwiQ_myZCuVrIt_/s400/wany_strada.jpg" width="450" /></span></div>
<div dir="ltr" style="background-color: white; line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 12pt; padding: 0pt 0pt 12pt 0pt;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Mentre l’emergenza Covid-19 ha scoperchiato un vaso di pandora fatto di precarietà, disuguaglianza e vuoto politico, <b>molte/i </b></span><b><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">street dancer</span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> come noi hanno continuato a ballare </span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-style: italic; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">in tha house</span></b><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, condividendo mosse, musica e <i>knowledge</i> sull’unico spazio d’incontro possibile: il web. Spostavamo il divano per ballare, e ci risaltavamo sopra per visualizzare, condividere, commentare e - perché no! - svolgere qualche lezione on-line per arrangiarci in qualche modo di fronte a questa inaspettata fase storica. Bene, direi. Ma non benissimo.</span> </span></div>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ce lo dice la nostra memoria muscolare. Durante il sonno ci agitiamo, convinti di rivivere quelle spericolate notti di festa, quando si ballava pressati l’un con l’altro e una voce gridava «Allargate il cerchio!». Un anatema per molti breaker, a proprio agio negli spazi angusti, ma anche il segnale per lanciare il giubbino a terra, disinnescare i pudori, sudare e danzare fino allo sfinimento. Destati dal sonnambulismo, ora che le misure restrittive sembrano allentarsi, <b>"allarghiamo il cerchio" potrebbe essere lo slogan per immaginare nuove forme di ballo, festa e sfida</b>, all’interno di una <i>scena</i> che deve necessariamente riaprire le porte allo spazio pubblico, ma anche abbattere le sue muraglie immaginarie <i>verso</i> il pubblico. Che effetti ha avuto la quarantena sulla nostra voglia di fare cerchio? Cosa ci spaventa? Ballare in sala o per strada?</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La strada.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ve la ricordate, sì? </span><br />
<div dir="ltr" style="background-color: white; line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; padding: 0pt 0pt 12pt 0pt;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-weight: 400; vertical-align: baseline;">In strada scoprimmo un nuovo modo di ballare, incontrarsi e crescere. </span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21;">Qualcuno c’è arrivato dopo, altri non sono più riusciti a farne a meno. <b>Parchi, gallerie, sottovia e lastricati in marmo, in centro come in periferia, ora più che mai c’è bisogno di tornare a trasformare quei luoghi in meraviglioso campo di gioco artistico e politico.</b> In questo siamo brave e bravi: ce l’ha insegnato la prima generazione hip-hop del Bronx, ma anche le migliaia di drag-performer, street & house dancer sparse nei luoghi di conflitto in tutto il mondo. In Iran (dove è vietato alle donne ballare in pubblico) o a Gaza (sotto alle bombe israeliane), dove fare cerchio è un atto di insubordinazione alle logiche sessiste e guerrafondaie che imporrebbero a certe persone un isolamento senza fine. Altro che “yo yo”! In quei luoghi, scegliere di ballare per strada ha innescato un movimento di rinascita collettiva, oltre che di espressione individuale.</span></span></span><br />
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21;">
</span></span></span> <br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/l0oqEVaG7KA/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/l0oqEVaG7KA?feature=player_embedded" width="450"></iframe></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: inherit; font-size: x-small;"><i>Ballando Tehran, </i>documentario che racconta il fenomeno delle "danze virali" scatenate in Iran dopo <a href="https://www.ilpost.it/2018/07/09/iran-arrestata-donna-instagram-balla/" target="_blank">l'arresto di una ragazza</a> accusata di aver «ballato su Instagram». #dancingisnotacrime</span></span></div>
</div>
<div dir="ltr" style="background-color: white; line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; padding: 0pt 0pt 12pt 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ora, in condizioni diverse ma comuni, anche per noi è giunto il momento di allargare gli orizzonti e ripensare al senso profondo delle nostre danze. <b>Perché se i social sono stati fin’ora il mezzo, quale sarà il fine?</b> Se non troveremo uno scopo urgente e alternativo al puro sfoggio di stile, le nostre performance potrebbero trasformarsi in un languido canto del cigno</span></span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;">. Ben altra cosa rispetto alla dura realtà, che ti grida «Smetti di cazzeggiare e trovati un lavoro!»</span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;">, ma che in questa sede, vi invito a mettere per un momento fra parentesi.</span></div>
<div dir="ltr" style="background-color: white; line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; padding: 0pt 0pt 12pt 0pt;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>A 36 anni suonati, come b-boy, intravedo nel dramma di questa crisi l’opportunità per riscoprire insieme un nuovo senso sociale, culturale e politico del “danzare in strada”.</b> “Sociale”, perché ci allena a rimanere uniti attraverso le diversità (risolverla nel cerchio, piuttosto che sulla tastiera, è sempre stato meglio!); “culturale”, perché è un linguaggio che si alimenta dal basso ed è orizzontale («</span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-style: italic; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Each one, teach one!</span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">»); “politico”, perché ci insegna a reagire a tempi e spazi imposti dall'alto (quelli del ghetto prima, quelli dell'emergenza ora). Basta una cassa stereo e un paio di sneaker: tutta la danza, non solo quella urbana, nasce così: come arte povera e di comunità. Non a caso, da due decenni si parla dei bei tempi andati della cultura di strada che mai e poi mai ritorneranno. «Bene!», rispondo ora ai nostalgici, «se non ora, quando?». </span></span></div>
<div dir="ltr" style="background-color: white; line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; padding: 0pt 0pt 12pt 0pt;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix5HDd_pZoVVRitACrGNGa34RZttfsalB-UxcTcGkeBcXwRK0xHWQE7PMWHkwU_gVjW1Krh9Yqa3fC33chMDdv7zhGduSdwpFX110fBVgcAqPOHa1GKh089KOycnnUro0uFWYzU4Am_z2P/s1600/yoda_hiphop.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="612" data-original-width="612" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEix5HDd_pZoVVRitACrGNGa34RZttfsalB-UxcTcGkeBcXwRK0xHWQE7PMWHkwU_gVjW1Krh9Yqa3fC33chMDdv7zhGduSdwpFX110fBVgcAqPOHa1GKh089KOycnnUro0uFWYzU4Am_z2P/s200/yoda_hiphop.jpg" width="200" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">«Fare o non fare: non c'è provare!»<br />
<b>Mc Yoda</b> from Star Wars crew ;-)</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sì, ma come? <b>Le feste che erano il cuore della nostra comunità, saranno </b></span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-style: italic; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>off limits</b></span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b> per mesi, se non anni.</b> Si potrà ballare da soli, ma non in gruppo. Il pavimento, caro ai breaker, forse rimarrà veicolo di contagio e il semplice sfiorarsi potrebbe essere considerato fuorilegge! «Fare o non fare», insegna il maestro Yoda, «non c’è provare!». Ci aspetta un futuro di regolamenti fluidi perciò occorrerà <b>muoversi con buon senso e intelligenza sul crinale delle norme, interpretandole “creativamente”</b> (chi vi scrive riconosce la necessità di adottare misure preventive secondo le disposizioni) per tutelare la salute di tutte e tutti, ma anche per scongiurare autoritarismi e abusi di potere.<b> Il cerchio allargato (un circolo di persone ben distanziate che si alternano al suo interno) potrebbe essere la migliore strategia per tenersi in forma, riattivare spazi comuni e riallacciare legami. </b>Per capire se funzionerà, bisognerà iniziare a farlo. E farlo insieme non da soli. In strada, non a casa. Perché è lì, fra gli snodi dello spazio aperto, che nascono e si nutrono le comunità. <b>Non ballare per i social, socializza per ballare!</b></span></span><br />
<br />
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;">Riscoprire e praticare le radici sociali della danza di strada all'interno delle normative, sarà la sfida dei prossimi mesi, ma non saremo i soli. Nel mondo, <b>esperimenti di solidarietà e cittadinanza attiva</b> <b>che</b>, pur nelle norme, <b>provano a disinnescare i meccanismi discriminanti e incoerenti delle misure emergenziali. </b>Una <i>serie</i> di provvedimenti che</span><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;">, ricordiamolo, deve “servirci” non “asservirci”.</span><br />
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGZ64BU7jgNoCjPSeTbrVs_ujJSU51XhHFfZl5Agp186yMh6_JDIIqECJ-ups1LLWAmICOxqZabVn4o25jzSLOJmCF26zan5IVc9PekXHFI5NUAfCNnJA_bqHtW-OWhYpgh8zBWNg8YFEe/s1600/urban+force.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGZ64BU7jgNoCjPSeTbrVs_ujJSU51XhHFfZl5Agp186yMh6_JDIIqECJ-ups1LLWAmICOxqZabVn4o25jzSLOJmCF26zan5IVc9PekXHFI5NUAfCNnJA_bqHtW-OWhYpgh8zBWNg8YFEe/s400/urban+force.jpg" width="450" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Srotolare il linoleum: non è la soluzione <i>al tutto,</i> ma un'alternativa <i>al</i> <i>niente</i>.</td></tr>
</tbody></table>
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;">E come ogni “serie” che ci cattura, è normale chiedersi come andrà a finire. </span><b style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: arial, helvetica, sans-serif; white-space: pre-wrap;">Purtroppo gli episodi sono ancora lunghi, e il finale, come spesso accade, lo si scrive anche in base al gradimento del pubblico.</b><span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;"> Certo, se rimarremo sul divano, la «Netflix della cultura» farà un balzo in avanti verso l’aumento delle disuguaglianze, se invece riusciremo a far danzare le strade, forse sarà l’occasione per spazzarle definitivamente via. E chissà, da una nuova scena potrebbero spalancarsi nuovi scenari.</span><br />
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;"><br /></span>
<span style="background-color: transparent; color: #1c1e21; font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-45182122958024992192016-08-14T04:09:00.001-07:002016-08-14T04:09:38.475-07:00The Get Down (primo episodio): una storia potenziata sulla nascita dell'hip-hop<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDD8GP7PSwZwEaZpchsi0SQS1CWKKqPnsXGp0MoQPMqC_vl8TTTpXBqSIwX_tFjMhNTmZ1xl-oB1ac_18sv53BwXcYigkKi4uvmULM46rrrvMlUJoblVUZKJtwRDcaFmzET8TjKLAL4rdB/s1600/TheGetDown_1.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><br /></a>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZOF5zTUP5_bjhxZhURsN2uQyN6g5dB6aCb8nlMZ5OEUyoLAtXBa_s2UcHr5aD5PQJ0EhomnkXD2mbUKAO971CKfCbaSwjnd2P_Z9GyV6g863f9QT1ah-LJDXKR11iUd5yRHffOA0BoAqU/s1600/TheGetDown_4.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZOF5zTUP5_bjhxZhURsN2uQyN6g5dB6aCb8nlMZ5OEUyoLAtXBa_s2UcHr5aD5PQJ0EhomnkXD2mbUKAO971CKfCbaSwjnd2P_Z9GyV6g863f9QT1ah-LJDXKR11iUd5yRHffOA0BoAqU/s400/TheGetDown_4.png" width="400" /></a></div>
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Raccontare è inevitabile. Intorno ad un fuoco, di ritorno da un viaggio, di fronte agli occhi assonnati dei bambini: l'umanità ha usato le storie per dare senso alla realtà. Per questo ogni soggetto, individuale e collettivo, ha bisogno di costruire una narrazione efficace in grado di modellare l'ammasso di eventi accumulati nel corso del tempo. Oggi più che mai, la così detta cultura hip-hop vede il riemegere di antichi relitti della memoria, navi colme di racconti e storie mai narrate fino ad ora che chiedono di essere aperte, decifrate e classificate dalla generazione "di mezzo", quella che con l'hip-hop ci è cresciuta e ora ci lavora. <b>Una generazione digitale libera dal culto dell'io-c'ero</b>, ma allo stesso tempo cresciuta in una mitologia urbana popolata di b-boy leggendari, dischi introvabili e "lettere base" ricopiate dai ritagli di giornale.<br />
<br />
Una generazione che insieme alla nuova si raccoglierà attorno a <i>The Get Down</i>, il <i><b>Wild Style</b></i> degli anni 2k10. Assemblata nelle fornaci di Netflix dall'australiano <b>Baz Luhurmann</b> (<i>Romeo + Juliet</i>, <i>Moulin Rouge!</i>, <i>Il grande Gatsby</i>) la serie è ambientata nel Bronx degli anni settanta e racconta le vicende che portarono alla nascita del fenomeno hip-hop. Uscita lo scorso 12 agosto dopo oltre 1 anno di promozione, <i>The Get Down</i> apre il sipario con un episodio adrenalinico che supra i 90 minuti. La storia è corale, sebbene il plot ruoti attorno all'amicizia fra due adolescenti, <b>Ezekiel "Zeke" Figuero</b>, un futuro mc portoricano, e <b>Shaolin Fantastic</b>, una cintura nera di "stile" metropolitano. Entrambi figli delle politiche di abbandono del Bronx, presentata come una vera "babilonia in fiamme" per citare <b>Jeff Chang</b>, l'amicizia fra Zeke e Shao dischiude un mondo più complesso fatto di lotte territoriali, giri d'affari e rimpasti politici. Un approccio sfaccettato, che ci trasporta continuamente dentro e fuori la scena underground, e che al momento non celebra nessuna "leggenda" ma semmai ne ipotizza e traccia di nuove. E' il caso di Shaolin Fantastic, un misterioso eroe che indossa puma rosso fuoco e marchia New York con la firma "Shao 007". Un supereroe immaginario che condensa e potenzia i racconti di leggende del writing come <b>Taki 183, Super Kool, Phase 2 e Lee</b>, e viene accompagnato con ironia e gusto vintage da <b>una regia in stile blaxploitation e kung-fu movie. </b><br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDD8GP7PSwZwEaZpchsi0SQS1CWKKqPnsXGp0MoQPMqC_vl8TTTpXBqSIwX_tFjMhNTmZ1xl-oB1ac_18sv53BwXcYigkKi4uvmULM46rrrvMlUJoblVUZKJtwRDcaFmzET8TjKLAL4rdB/s1600/TheGetDown_1.png" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDD8GP7PSwZwEaZpchsi0SQS1CWKKqPnsXGp0MoQPMqC_vl8TTTpXBqSIwX_tFjMhNTmZ1xl-oB1ac_18sv53BwXcYigkKi4uvmULM46rrrvMlUJoblVUZKJtwRDcaFmzET8TjKLAL4rdB/s400/TheGetDown_1.png" width="400" /></a></div>
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Il tocco di Luhurmann è quindi marcato, ma funzionale a raccontare questo tipo di epopea hip-hop, senza scadere nel musical trash di <i><b>Breaking 2</b></i> o in quello luccicoso del più recente <b><i>Glee</i></b>. Il South Bronx del 1977 è mostrato con una cura maniacale dei dettagli, mentre una traccia sonora costante , e mai invadente, ci fa passare agilmente da una situazione all'altra. Zeke, l'aspirante poeta, usa le rime per cavarsi d'impiccio nelle situazioni cruciali ma il suo stile recitativo rimane incollato alla realtà del momento, non stona mai (in tutti i sensi!) con la narrazione. <b>Il rap come strumento drammaturgico e taumaturgico del personaggio.</b> Lo stesso vale per le scene di ballo. Non una parentesi d'effetto, come ci ha abituato la tradizione del dance movie americano, ma un canalizzatore narrativo che getta nuova luce sul carattere e la funzione dei personaggi, li fa agire, li avvolge e li completa. Un parallelo interessante, in questo senso, è costituito dalla gara di ballo nel locale disco e la sfida nel cerchio nella festa di strada: <b>non solo un confronto fra diversi stili di ballo, ma due universi speculari dove gli stessi personaggi liberano nuove sembianze e potenzialità.</b> Per il resto: fotografia, movimenti di macchina, tempi drammaturgici ed effetti speciali tutti al top, tutti alla Netflix.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitDQbL_ceoiec809J0QxyqMJEWA0bMky4HR9yQzGzkgR8uj-cwhlkfFMjNSWMxZ8y3LixJSH7FmuMexowNSW5DiCKbsrfdoY2WU3SwvHToJAL-yxQN77zDDNCzUPn6B9C7CBUm9I9Eg1ef/s1600/TheGetDown_2.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitDQbL_ceoiec809J0QxyqMJEWA0bMky4HR9yQzGzkgR8uj-cwhlkfFMjNSWMxZ8y3LixJSH7FmuMexowNSW5DiCKbsrfdoY2WU3SwvHToJAL-yxQN77zDDNCzUPn6B9C7CBUm9I9Eg1ef/s400/TheGetDown_2.png" width="400" /></a><br />
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In questo primo episodio non mancano ovviamente le strizzate d'occhio e gli omaggi. Giocando su immagini di repertorio e ricostruzioni digitali delle stesse, <i>The Get Down</i> riprende le immagini di <b><i><a href="http://www.stylewars.com/site/" target="_blank">Style Wars</a></i></b>, documentario storico di <b>Tony Silver </b>e <b>Herny Chalfant</b> del 1983 che raccontava il rapporto conflittuale fra l'hip-hop e la municipalità newyorkese, e quelle <b>Martha Cooper</b>, la pioniera della fotografia hip-hop che ha immortalato le fasi di sviluppo delle quattro discipline. E come già accennato c'è <i><b><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Wild_Style_(film)" target="_blank">Wild Style</a></b></i>, con i dilemmi esistenziali e il lettering di Zoro (<b>Lee Quinoňes</b>) evidentemente trasposti nelle rime e negli occhi commossi di Zeke. A voi scovare altri titoli, pseudonimi e immagini ibridate dalla storia mediatica della doppia H.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4gDqbTJwMGkncT7eSk5NwoIdY5WwO9l4DEIqFXnHPrX88yXr37MnQlkeXrrCHUS-NI5w1AJIqhJFYiktk5zEdq7vV8PesxVnmHbd3mX1sV0jqW9K46tabttrw1ueam59F0egxF9-twN-1/s1600/TheGetDown_3.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4gDqbTJwMGkncT7eSk5NwoIdY5WwO9l4DEIqFXnHPrX88yXr37MnQlkeXrrCHUS-NI5w1AJIqhJFYiktk5zEdq7vV8PesxVnmHbd3mX1sV0jqW9K46tabttrw1ueam59F0egxF9-twN-1/s400/TheGetDown_3.png" width="400" /></a><br />
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<b><i>The Get Down</i> si candida a diventare un prodotto multiuso da consigliare nel momento in cui qualcuno chiede: "Che cos'è l'hip-hop?".</b> Una narrazione di finzione, non un documentario, che finalmente ci racconta la storia di come nascono le storie. Sdoganando il mito dell'io-c'ero, e affidandosi al capitale milionario di Netflix, Luhrmann ha compiuto le sue ricerche con dettaglio maniacale e quello che esce dal suo cilindro è un immaginario potenziato e non di nicchia, che racconta i mille volti del Bronx con suspance, romanticismo, poesia e azione. Resta da vedere cosa succederà negli episodi successivi, e per farlo, non sarebbe male allestire una <b>proiezione collettiva con le chiappe intorno al <i>dance floor</i></b>. <br />
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Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-84946666239911856392016-05-03T01:05:00.000-07:002016-05-03T01:05:39.933-07:00Nasce Compagnia Garofoli/Nexus: start up artistica, educativa e teorica<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqRKy1eypKpN3eaHJji11HhNKFs6wQ0wjljru02gMK3HPuNim87_tDALz0yuZHwKc0ZHmVMxEMdjrWIdCC6MGJhwLv42SDTaxoWMWkvxS8uCgsOFJUdE4HfFD_KXyEeoOn9UgT-Cd8aBuW/s1600/compagnia_garofolinexus_2016.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="151" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqRKy1eypKpN3eaHJji11HhNKFs6wQ0wjljru02gMK3HPuNim87_tDALz0yuZHwKc0ZHmVMxEMdjrWIdCC6MGJhwLv42SDTaxoWMWkvxS8uCgsOFJUdE4HfFD_KXyEeoOn9UgT-Cd8aBuW/s400/compagnia_garofolinexus_2016.jpg" width="400" /></a></div>
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Sono lieto e onorato di annunciare l'arrivo di un nuovo, ambizioso progetto, in "compagnia" di Laura Garofoli. Costituendoci come Associazione di promozione sociale e culturale, da oggi opereremo sotto il nome di Garofoli/Nexus, promuovendo arte, educazione e ricerca.<br />
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Questa start up - come si suole chiamarla oggi - promuove la convergenza fra teatro, street dance e media art, intrecciando il mio percorso di ballerino e teorico con quello teatrale ed educativo di Laura. Una trama, quella fra me e Laura, che parte già dal 2008 con la collaborazione nel cortometraggio <i>Questione di attitudine </i>e che riparte nel 2012 con la nostra prima auto-produzione <i>L'Ombra</i>, per andare ad ingrossarsi e confluire nella Compagnia Garofoli/Nexus.<br /><br />Ci sono molte novità in arrivo, prima fra tutte il nuovo sito - <a href="http://www.garofolinexus.it/"><b>www.garofolinexus.it</b></a> - una piattaforma verde petrolio dove troverete tutti i nostri lavori e progetti. Fatevi un giro sul carosello e tenete le antenne rizzate.<br />
<br />Garofoli/Nexus:<br />
<i>hot inside, fresh outside</i>. <br />
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Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-26525162435247050882016-03-14T03:10:00.002-07:002016-04-18T00:56:40.348-07:00Facciamo un po' come cazzo ci pare: un racconto sull'irresistibile ascesa della Street Art <div style="text-align: right;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCp8M3v4aJ5NFHETETanWpaXdI2RVyF12egHx4oAcnOWDS3beR2CmDmONs1LLBQ4THQyHtGKWUEZSoGGJE4r54QpgsW-12A0pIh2dlDh9y30MgamQ8CqipJ102h-ZF8qZhG4e4l5Qd8hJ8/s1600/banksy_studio_mid.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="245" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCp8M3v4aJ5NFHETETanWpaXdI2RVyF12egHx4oAcnOWDS3beR2CmDmONs1LLBQ4THQyHtGKWUEZSoGGJE4r54QpgsW-12A0pIh2dlDh9y30MgamQ8CqipJ102h-ZF8qZhG4e4l5Qd8hJ8/s400/banksy_studio_mid.jpg" width="460" /></a></div>
<span style="font-size: x-small;"><br />
</span> <span style="font-size: x-small;">“Sull’acciaio, sul muro lascia tracce di colore come un codice,</span></div>
<div style="text-align: right;">
<span style="font-size: x-small;">il concetto che ti è estraneo rende il tutto più difficile,</span></div>
<div style="text-align: right;">
<span style="font-size: x-small;">il disegno è complicato come un puzzle da tremila pezzi</span></div>
<div style="text-align: right;">
<span style="font-size: x-small;">se vuoi capire tocca che li incastri tutti”.</span></div>
<div style="text-align: right;">
<span style="font-size: x-small;"><br />
</span></div>
<div style="text-align: right;">
<span style="font-size: x-small;"><b>Kaos</b>, <i>I fieri bboyz</i> (1996)</span></div>
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<b>Roma, quartiere San Lorenzo, 2016, ore 04:46.</b><br />
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“È un centro sociale, ognuno fa come je pare”. La risposta batte sulla nuca, come una secchiata di colla bollente che aderisce al derma e corrode. Il tizio sorride mentre la sua tag gocciola sulla porta a vetri dell’ “aula studio autogestita”, così recita lo striscione. Il tizio infila le mani in tasca, si tuffa nell’anonimato della bolgia, scompare. Resta il suo nome, latteo e indelebile: PRAY. “Chi cazzo è stato?”, sbiascica Gianni. Ma c’è un’altra sorpresa: una parete della sala grande completamente riempita di scritte. PRAY PRAY PRAY:<i> ad libitum</i>. “Come hanno fatto ad arrivare fin lassù?”, sbotta Roberta, “Devono essersi arrampicati uno sull’altro!”, interviene Corrado, “Non si può andare avanti così! Ora gli facciamo ripulire tutto!”, interrompe Clara sbattendo la mano sulla serranda, “Vabbè siamo un centro sociale mica in un penitenziario”, osserva Carlo stizzito, “Calma, Calma!”, ammonisce Francesca, “Mettiamo il punto all’ordine del giorno e ne discutiamo!”, “Ma quale punto?”, replica Riccardino, “Quello m’ha detto che siamo in un centro sociale e ognuno fa come je pare! Machecazzovordì?”. Luca scavalla le gambe e ammonisce, “A Riccà, è pure vero che sto posto è stato liberato, e libero ne rimane l’uso per tutti e tutte!”. “Ah sì?”, Riccardino si alza, slaccia la cintura e cala a terra i pantaloni, “cioè pe ditte: so pure libero de cacà pe’ terra?”.<br />
<a name='more'></a> <br />
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<b>Roma, quartiere Garbatella, 2016, ore 17:15. </b><br />
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Stretta di mano solida, come quella che ti ha insegnato tuo padre. “Sii fiero di te stesso”, figliolo. L’assessore rivela un sorriso smaltato dietro agli abiti finto-casual, mentre uno storno di flash pilucca il gigantesco murales, il tuo murales, che troneggia aldilà della strada. Sei davvero fiero? Hai trentatré anni e ce l’hai fatta. Campare della tua passione, girare il mondo, portare la bellezza nei quartieri popolari: tu, caro mio, tu ri-qua-li-fi-chi. L’assessore: “Oggi il museo a cielo aperto di Garbatella si arricchisce di una nuova opera!”. Forza, sfìlati i guanti sporchi di arancione e applaudi a tutte quelle solenni stronzate, incondizionatamente. Sii fiero, perché se a quest’ora <i>spingevi solo hardcore</i>, anziché quella del sindaco avresti stretto la mano del fruttivendolo che si congratulava con te per avergli dipinto la serranda. E poi di corsa in ufficio ad impaginare volantini del cazzo per paninoteche del cazzo. A fare la figura del pulciaro nei bistrot dei musei, perché otto euro per uno spritz è un furto. A fare a gara a chi ce l’ha più lungo, devastando i finestrini dell’interregionale. Dicevano che voi writer dovevate organizzarvi, beh: ti sei autorganizzato: capo di te stesso. <br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/lFGnLapij4w" width="420"></iframe></div>
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Ma è proprio l’autorganizzazione del “facciamo un po’ come cazzo ci pare!”, quella più drammaticamente collusa alla filosofia del neoliberismo avanzato. Il centro sociale, come la casa delle libertà. <br />
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Due anni fa a New York, patria del graffiti writing, si inaugurava la mostra “City as Canvas”, la città come una tela: un’idea depotenziata quanto ipocrita dello spazio urbano dove si pensa che tutti abbiano la libertà di lasciare la propria impronta quando chi ha il potere di cancellare o “restaurare” quell’impronta sono sempre i soliti. Qual’è la differenza fra autonomia e imprenditorialismo? Fra individualismo e stile? Fra open source e bene comune? Un crinale di opposizioni irriducibili su cui l’intera cultura underground si muove e su cui le teorie dei sistemi dinamici impartiscono la nuova metafisica. Se è vero che ogni rete tende nel tempo a raggiungere una certa forma di auto-equilibrio (tutti i nodi saranno interconnessi fra loro), questa “lettura”, se applicata in modo normativo, non fa altro che riattualizzare il vecchio concetto della “mano invisibile del mercato”. I nuovi scienziati dicono che fare rete, universalmente, risolverà tutto. Ma come si costruisce questa rete?<br />
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Il sistema di auto-regolamentazione dei writer, come ci ricorda <a href="https://books.google.it/books/about/Punk_Capitalismo.html?id=3nUYg-4mgv8C&redir_esc=y" target="_blank">Matt Mason</a>, rappresenta un modello ante-litteram di “copyleft”. Anziché basarsi su un sistema rigido di regole e multe, l’autorganizzazione del writing passa attraverso il riconoscimento dei crediti altrui, il mantenimento del prestigio e del rispetto, la produzione di stili personali e di comunità. Tu fai una tag? Io faccio un pezzo! Tu disegni delle frecce? Io disegno una corona! Originally original. Eppure questo sistema non è privo di conflitti interni e nella storia del writing la violenza non è stata esercitata solo a livello politico e giuridico ma anche auto-organizzata, attraverso l’opera di quelle crew che praticavano e praticano forme di supremazia visuale e fisica nei confronti di altre. Dipingi nella mia zona? Ti vado sopra. Insisti? Ti gonfio di botte. Faccio un po’ come cazzo mi pare. <br />
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<b>Roma, quartiere San Lorenzo, 2016, ore 04:20 (del giorno prima).</b><br />
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Se questo posto fosse un ring, il rum che servono sarebbe il culo di André the Giant che si schianta sul tuo stomaco. E lo fa esplodere.<br />
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Serata di merda, non c’è che dire. Aste, Rako e Blec ti avevano convinto a tornare in yard per colpire un altro paio di vagoni della metro. Roba nuova di zecca, roba da devastare all’istante. Voi della P.B.P., Pane Burro e Panbagnato, avevate una reputazione da difendere sulla linea A. Ma la pittata era andata male: Aste era a corto di bombole, Rako era in scazzo con la donna e Blec: Blec era ubriaco fradicio. “Ok, voi due spizzate le guardie, io e Aste bombiamo tutto fino all’ultima goccia”. Ci state? Ci stiamo. Scavalcare la recinzione, calarsi lungo la discesa che porta al deposito e trovare il vagone giusto sarebbe stata un’operazione da pochi minuti. Se non fosse stato per Blec. “Mi fermo a pisciare e vi raggiungo”, disse dopo aver scavalcato rozzamente la recinzione. Pochi secondo dopo, mentre affrontavate cautamente il pendio, venivate sorpassati da una sagoma nera: era Blec, che con l’uccello ancora in mano e funzionante, ruzzolava incosciente verso i binari. “No regà, io co’ sta busta de piscio non dipingo”, Aste dava forfait, Rako prendeva la palla al balzo per tornare con la coda fra le gambe dalla donna. Io mi accollavo Blec e lo portavo in questo centro sociale a San Lorenzo: lui a smaltire la bronza, io a cercarla. <br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXvxjqhIL2SChY2eQZ96E7-PB9cnbapfvYIpLla4u8ir8HPtw7Zn_D7JSini9P8ocFRNIgTunBjnBkoKebLpSbJyAH78X_4XPmS19degdTRJLRWVxqGJKxDxKXtOIaaPx9eHSwHX9fZIi8/s1600/IMG_20160130_201204.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="246" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXvxjqhIL2SChY2eQZ96E7-PB9cnbapfvYIpLla4u8ir8HPtw7Zn_D7JSini9P8ocFRNIgTunBjnBkoKebLpSbJyAH78X_4XPmS19degdTRJLRWVxqGJKxDxKXtOIaaPx9eHSwHX9fZIi8/s400/IMG_20160130_201204.jpg" width="460" /></a></div>
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<b>New York, Porto di Staten Island, 1983 ore 05.45.</b><br />
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Un lungo vagone bianco è sospeso in aria a 10 metri di altezza. Una selva di nasi all’insù. Il serpente di metallo che oscilla gravemente, lo staff che dice di fare attenzione. Qualche fotografo, le prime luci dell’alba. Il sindaco Koch ha voluto assistere personalmente all’arrivo dei nuovi vagoni ordinati dal giappone. Entro la fine dell’anno farà piazza pulita dei writer, dei graffiti e di tutti quei bohemien del cazzo che dicono che si tratti di “arte”. La MTA, la Metropolitan Transportation Authority, aveva circondato i depositi con un doppia fila di reticolato spinato, lo stesso che i marines utilizzavano in Vietnam. A sorvegliare il corridoio di mezzo: cani lupo. Una sua idea, alla faccia di chi l’aveva preso per pazzo. “Metti il tuo segno sulla società, non nella società…ehm, voglio dire, per la società. Insomma avete capito…”. Il nuovo slogan della campagna anti-graffiti non funzionava, bisognava attuare metodi drastici per spazzare via quei teppisti da strapazzo. Reagan aveva tolto i fondi federali, il Bronx era una giungla e gli investitori guardavano altrove. Altro che slogan, nossignore. La città aveva bisogno di ordine, ordine e disciplina.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOfG113KF6TA7RbVMQP26nPQxaeb9vNPP4-XRyfCI7ErqQWfNQTVFpUT3U4nWLE7Sj69L5eORcbFURfwL1g2ELwzs8aA4Oo60q-2poZT9Z0uBgtL5yJafBaBtSM5-dJuQ1A83AvYBshezu/s1600/recent-bimg_5931.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="252" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOfG113KF6TA7RbVMQP26nPQxaeb9vNPP4-XRyfCI7ErqQWfNQTVFpUT3U4nWLE7Sj69L5eORcbFURfwL1g2ELwzs8aA4Oo60q-2poZT9Z0uBgtL5yJafBaBtSM5-dJuQ1A83AvYBshezu/s400/recent-bimg_5931.jpg" width="460" /></a></div>
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<b>Roma, Galleria La Medusa, Novembre 1979.</b><br />
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“Let’s do this, Fab”, disse così Claudio, “Let’s do this!”.<br />
Frederick “Fab 5 Freddy” Brathwaite, afroamericano di Brooklyn, aveva strizzato l’occhio alla pop art disegnando i barattoli della zuppa Campbell su un treno della metropolitana. Il suo collega portoricano, George “Lee” Quinones, aveva iniziato ad aggiungere contenuti: “if art is a crime let God forgive us all”. A febbraio era uscito un articolo sul Village, downtown era in fibrillazione. Si diceva che anche Andy Warhol avesse rizzato le antenne. Passare dai treni ai muri, dai muri alla tela: l’operazione cambiava radicalmente le regole del gioco. Anzi, creava il gioco stesso. Gli altri writer continuavano ad incontrarsi alla fermata della metro di Grand Concourse. Scambiavano bozzetti, raccontavano storie, litigavano su chi aveva inventato cosa. Fab aveva preso una tela, ci avevamo scritto sopra e l’aveva appesa al muro. Uno, due, tre passi indietro. “Capisci, Lee?”, aveva detto all’amico, “I graffiti sono l’arte del futuro”. Dopo l’intervista al Village, fioccarono nuove esposizioni, nuovi vernissage. Claudio Bruni, un gallerista italiano, era rimasto folgorato. Aveva comprato un paio di tele, ne aveva commissionate altrettante, poi la chiamata: “Let’s do this Fab: let’s bring your art in Italy”. Fab e Lee volavano in Italia, la culla delle belle arti. Proprio ora guardano il litorale laziale da un finestrino a diecimila metri dal suolo. Eccoci Europa: la graffiti art sta per atterrare. <br />
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-oFrdEb-8oss/VqElVUrBa_I/AAAAAAAARXw/lzjDMQ7l11E5FFw16UxkormQD3Z3KgTNQ/s1600/Fabulous_Five_Roma_1979.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-oFrdEb-8oss/VqElVUrBa_I/AAAAAAAARXw/lzjDMQ7l11E5FFw16UxkormQD3Z3KgTNQ/s320/Fabulous_Five_Roma_1979.jpg" width="239" /></a></div>
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<br />Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-84104129520824916482015-07-29T00:56:00.001-07:002015-07-30T01:27:42.629-07:00Ex Machina di Alex Garland: fra cognizione incarnata e robotica evolutiva<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<a href="http://cdn.idigitaltimes.com/sites/idigitaltimes.com/files/styles/large/public/2015/03/03/ex-machina-new-poster.jpg?itok=0VQ9ON9B" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" src="http://cdn.idigitaltimes.com/sites/idigitaltimes.com/files/styles/large/public/2015/03/03/ex-machina-new-poster.jpg?itok=0VQ9ON9B" height="278" width="460" /></span></a></div>
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</span> <span style="font-family: inherit;">Robot, androidi, cyborg, A.I.: chiamateli come vi pare, ma <i>essi vivono e lottano insieme a noi. </i>Sorpassata la classe operaia, è il fantasma della classe robotica che infesta questi folli, insostenibili anni di tecnocapitalismo avanzato. Certo, non si tratta di roba nuova: film come <b><i>Blade Runner</i> di Ridley Scott</b> o <b><i>A.I. </i>di Steven Spielberg</b>, piluccando briciole da <b>Asimov </b>e <b>Dick</b> le trasformarono in palle di fuoco visuali da milioni di dollari e spettatori.<i> </i>Questi prodotti culturali<i> </i>erano il sogno (e l'incubo) proibito di teorie cibernetiche sviluppate nel dopoguerra e che raggiunsero il loro <i>heyday</i> negli anni 60 attraverso la costruzione dei primi elab</span>oratori elettronici. Roba finanziata dallo zio Sam, ovviamente. Poi negli anni 70 e 80 si tornò ad indagare la mente umana nel suo rapporto col corpo e l'ambiente, ma l'attenzione venne catturata da futurologici dispositivi di realtà virtuale che promettevano di trascendere il corpo e disperderlo nel ciberspazio. Trainati dal caterpillar <i>Neuromante</i> di <b>William Gibson</b> (1986), fecero incetta di immaginari film come <i>Il tagliaerbe</i> (Leonard, 1992), <i>Jhonny Mnemonic</i> (Longo, 1995), <i>Strange Days</i> (Bigelow, 1995), <i>Nirvana</i> (Salvadores, 1997), <i>eXistenZ</i> (Cronenberg, 1999) fino all'infamoso <i>Matrix</i> (Andy e Lana Wachowsky, 1999) che di <i>Neuromante</i> è una sorta di fratellino filosoficamente imbranato.<br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: inherit;"><br />
Da alcuni anni si sono dati nuovi fuochi alle polveri: all'epopea del "viaggio virtuale" si è sostituita la curiosità verso il "corpo a corpo con i dispositivi", per dirla con <b>Giorgio Agamben</b>, che sta riportando in auge la figura dell'androide. L'intelligenza artificiale non è più un <i>(deus) Ex machina</i> che opera da una posizione disincarnata, bensì un essere dotato di mente e corpo che vive in un ambiente situato. Ambiente che non ha più bisogno di rifarsi agli scenari distopici per sembrare una vera merda, poiché è quello in cui viviamo oggi. Mentre gli androidi di <i>Blade Runner</i> e <i>A.I.</i> si muovevano in un orizzonte decadente ma ipertecnologizzato, il nuovo immaginario cyborg si sviluppa in uno scenario decisamente imborghesito e minimale, senza nessun grande strappo col design proposto dalla marmaglia di Apple e affini. Yin e yang: da un lato cinema e serie tv stanno traslando gli stessi interrogativi che riguardano lo studio della mente e la progettazione di dispositivi intelligenti; dall'altro, la <i>scenarizzazione</i> del nostro divenire post-umano è schiacciata in un presente tutt'altro che utopico o alternativo che possa davvero produrre uno strappo radicale. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. </span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
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<a href="http://i.kinja-img.com/gawker-media/image/upload/s--iBePFv7u--/c_fit,fl_progressive,q_80,w_636/tfi7xn4o8bepkeetzupd.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://i.kinja-img.com/gawker-media/image/upload/s--iBePFv7u--/c_fit,fl_progressive,q_80,w_636/tfi7xn4o8bepkeetzupd.jpg" height="225" width="400" /></a></div>
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span> <span style="font-family: inherit;">Il film del neoregista <b>Alex Garland</b> è<i> </i>un thriller che uscirà il prossimo 30 luglio in Italia e offre uno spaccato significativo sulle recenti tendenze nel campo della cognizione incarnata e della robotica proattiva ed evoluzionistica. Qui la mente non è più considerata alla stregue di un software che in linea di principio può essere scaricato e traslato su un altro corpo-hardware. Mente, corpo e persino l'ambiente in cui sono situati, partecipano ad un sistema di intelligenza ad incastro. Perdi uno di questi elementi, perdi l'intelligenza. Questo propongono le teorie della <b>cognizione incarnata (<i>embodied cognition</i>)</b>: la nostra architettura cognitiva, per quanto estremamente plastica, è il frutto di millenni di evoluzione che sono in larga misura radicati nel <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Pleistocene" target="_blank">Pleistocene</a>, l'era in cui l'essere umano dovette mettere a punto determinate procedure di percezione-azione per sopravvivere all'ambiente che valgono ancora oggi. Ciò che la <b>robotica evoluzionistica e proattiva</b> si propone oggi è proprio quello di programmare le disposizioni di base di un sistema intelligente affinché possa attivamente evolvere interagendo con l'ambiente e il proprio corpo morfologico. Come ricordano <b>Lakoff e Johnson</b>, non penseremmo né ci comporteremmo allo stesso modo se invece di essere degli esseri dotati di braccia e gambe, un fronte e un retro, una parte alta e una bassa, fossimo delle enormi sfere (un esempio su tutti: Giuliano Ferrara). La nostra percezione del movimento e la nostra lettura delle menti altrui è basata su memorie e calcoli predittivi che ci servono per intervenire nella/sulla realtà (afferrare un frutto, scagliare una pietra) e per empatizzare e imparare con/dagli altri (tramite i così detti "neuroni specchio", le stesse aree del cervello atte a compiere un'azione si attivano quando vediamo compierla da un'altro essere). <i>It's a kind of magic!</i></span><br />
<span style="font-family: inherit;"> </span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.zupimages.net/up/15/24/8qii.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" src="http://www.zupimages.net/up/15/24/8qii.jpg" height="222" width="400" /></span></a></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">Per farci digerire questo malloppo teorico, </span><i style="font-family: inherit;">Ex Machina </i><span style="font-family: inherit;">mette in scena un thriller. Abbiamo una versione barbuta e </span><i style="font-family: inherit;">sporty</i><span style="font-family: inherit;"> di Zuckerberg (Nathan), CEO della multinazionale informatica "bluebook" [sic!] che seleziona a tradimento un dipendente sfigato (Caleb) per fare il test di Turing ad un prototipo di intelligenza artificiale da lanciare sul mercato. I due sono soli sull'isola, ad eccezione di Kyoko, un'assistente asiatica in supertiro, e la suddetta IA, che possiede le sembianze di una ragazza acqua e sapone. Il suo sistema nervoso non è una cpu (come avrebbe voluto </span><b style="font-family: inherit;">Von Neumann</b><span style="font-family: inherit;">) bensì un sistema distribuito fra i server cloud dell'azienda che confluisce in un </span><i style="font-family: inherit;"><b>wetware</b></i><span style="font-family: inherit;">, una specie di palloncino d'acqua che svolge le funzioni di un sistema nervoso centrale post-umano. Non c'è dubbio infatti, come vediamo spiattellato sin dal trailer, che l'androide sia effettivamente un essere senziente. Non solo perché è in grado di sostenere una conversazione con Caleb ma piuttosto perché il modo in cui è programmata per interagire con l'ambiente le permette di evolvere il proprio sistema cognitivo e persino la morfologia del suo corpo. Di più. A ben vedere ogni giorno anche noi svolgiamo un test di turing con i nostri simili attraverso quello che viene chiamato </span><i style="font-family: inherit;"><b>mindreading</b></i><span style="font-family: inherit;"> (lettura della mente). Pensateci: noi non abbiamo l'assoluta certezza che quello di fronte a noi sia il nostro amico Paolo, l'amante o il genitore più di quanto, al contrario, siamo abbastanza certi che dietro al al nostro sistema operativo, allo smartphone o al tosta pane si celi una coscienza pari alla nostra. La differenza che ci fa "credere" alla prima categoria rispetto alla seconda è la somiglianza dei metodi di </span><i style="font-family: inherit;">mindreading</i><span style="font-family: inherit;"> che gli altri esseri umani applicano a loro volta su di noi, generando quella correlazioni motorio-percettiva che chiamiamo "empatia". Quando questo non avviene nei confronti di altre specie o altri sistemi intelligenti, o decretiamo fallito il test di Turing oppure antropomorfizziamo, con effetti feticistici dalle conseguenze disastrose (maledetto </span><b style="font-family: inherit;">Walt Disney</b><span style="font-family: inherit;">!). E' così che Caleb, in un pieno sbrocco epistemologico, arriverà ad incidersi un braccio per superare il test di Turing su sé stesso: quando la parola non basta, si procede per intensità. E c'è una chicca: nel ruolo di Caleb ritroviamo il corpo di porcellana di </span><span style="background-color: white; color: #252525; font-family: inherit; line-height: 14.9333333969116px;"><b>Domhnall Gleeson</b>, lo stesso attore che interpreta il clone sintetico di un ragazzo deceduto in <i><b><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Black_Mirror_(serie_televisiva)" target="_blank">Black Mirror</a></b></i>, la serie tecno-distopica da cui <i>Ex Machina</i>, oltre a prolungare i personaggi, riprende anche i tempi e le atmosfere. </span><span style="font-family: inherit;"> </span><br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://o.aolcdn.com/hss/storage/midas/8f175cc625e3e92ef2c7de73fd30a7ac/201838784/ex+machina+isaac+fullbleed.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><span style="font-family: inherit;"><img border="0" src="http://o.aolcdn.com/hss/storage/midas/8f175cc625e3e92ef2c7de73fd30a7ac/201838784/ex+machina+isaac+fullbleed.jpg" height="250" width="400" /></span></a></div>
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">Ma ciò che di inedito va ad affrontare il film è la questione dei </span><i style="font-family: inherit;">qualia, </i><span style="font-family: inherit;">ovvero gli stati qualitativi dell'esperienza cosciente che, per definizione, dovrebbero essere diversi da soggetto a soggetto. La rossità che tu percepisci nell'osservare un tramonto è diversa da quella che esperisce un'altra persona? Così la </span><i style="font-family: inherit;">quest </i><span style="font-family: inherit;">del film non è più se l'androide sia o non sia senziente, ma se, una volta uscita dal laboratorio-prigione di Nathan, sarà in grado di avere un'esperienza qualitativa del mondo. Si tratta dell'esperimento mentale di Mary nella stanza, che viene infatti citato nel film. Mary è un'ipotetica donna che è nata e cresciuta in una stanza in bianco e nero. Nonostante non abbia mai percepito i colori, Mary conosce tutto quello che c'è da sapere sulla percezione dei colori. Il domandone filosofico da 1 milione di dollari è: se Mary uscisse dalla stanza e percepisse per la prima volta i colori, la sua esperienza si arricchirebbe di un fattore qualitativo ulteriore oppure no? Se sì, i così detti </span><i style="font-family: inherit;">qualia</i><span style="font-family: inherit;"> avrebbero ragion d'essere e sancirebbero la differenza ontologica fra esseri umani e intelligenze artificiali. Se no, beh, vita naturale e artificiale stanno sullo stesso piano. Il problema così posto, secondo </span><b style="font-family: inherit;">Daniel Dennett</b><span style="font-family: inherit;"> ha una falla: farci assuefare all'idea quasi-impossibile che Mary sappia tutto dei colori. Cosa vuol dire "sapere tutto"? Vuol dire anche sapere quali siano tutti i qualia di chi osserva un colore? Ma tant'è: per risolvere il dilemma non vi resta che guardare il film! ;-)</span><br />
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Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-33022710233193012272015-06-22T08:16:00.000-07:002015-06-22T08:22:55.409-07:00#LcomeAlice oltre il Fringe: finali alternativi e teatro d'attrazione<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCMnPjctNdQr_oce8JvaR7fnH_57DmSD87pG8e3UFKsHkZcpqYs6UjXaevN_YhBXFVr6Cycie3EjRWJmtxugbUmthOc1uAIkChFrcQSilxsMyw0atnGh-r-6HrA07lAenMTXoO3Kk_FTc6/s1600/11414992_10207029662922248_1986414325_o.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="301" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCMnPjctNdQr_oce8JvaR7fnH_57DmSD87pG8e3UFKsHkZcpqYs6UjXaevN_YhBXFVr6Cycie3EjRWJmtxugbUmthOc1uAIkChFrcQSilxsMyw0atnGh-r-6HrA07lAenMTXoO3Kk_FTc6/s400/11414992_10207029662922248_1986414325_o.jpg" width="460" /></a></div>
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Di ritorno dalla nostra prima esperienza al <b>Roma Fringe Festival</b>, è il momento di fare un punto della situazione artistica, produttiva e "ambientale" entro cui il progetto <i>L come Alice</i> continuerà a destreggiarsi. In tre giorni di palcoscenico abbiamo intercettato <b>oltre 100 spettatori</b>, collezionato 5 nuove recensioni + un'intervista inedita, ampliato la ciurma artistica a 7 persone (di cui solo una sulla scena!) e ricevuto un'interessante proposta dall'estero (dove/come/quando lo scoprirete molto presto...). Nonostante lo stop al primo turno, <i>L come Alice</i> ha prodotto discorso e ha prodotto genuini <i>hangover</i> interpretativi dopo gli istituzionali 50 minuti di messa in scena.<br />
<a name='more'></a><br />
<b>Stampando un volantino a fisarmonica,</b> allegoria visiva e materiale della plurisemanticità del non-sense carrolliano, <b>abbiamo invitato i nostri spettatori a continuare la storia di <i>L</i> scrivendo un finale alternativo</b> a partire da un estratto di <i><b>Attraverso lo Specchio</b></i>:</div>
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<blockquote class="tr_bq">
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"di tutte le persone inconcludenti che ho conosciuto". Non finì mai la frase, perché in quel preciso momento un formidabile tonfo squassò la foresta da un capo all'altro e...</div>
</blockquote>
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L'operazione, per quel che ne sappiamo, è stata accolta solo da 3 temerari spettatori i quali, dopo averlo vergato di proprio pugno, ci hanno consegnato il loro finale alternativo (di cui pubblichiamo un esempio).</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEBlbJcu48eSvK1tfnbMhvgiRD6sH3T-p-OeEUN2Jv58tYQfh4d8FpEid0a0g2pPBO52SR1hxtNZXZ7SzY-UG0u6iG49FWGHVCYoTkL0M4f3gJ0Ai71hgQloWu8FSlRPciEnfMx22D_WV3/s1600/_MG_9747.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="301" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjEBlbJcu48eSvK1tfnbMhvgiRD6sH3T-p-OeEUN2Jv58tYQfh4d8FpEid0a0g2pPBO52SR1hxtNZXZ7SzY-UG0u6iG49FWGHVCYoTkL0M4f3gJ0Ai71hgQloWu8FSlRPciEnfMx22D_WV3/s400/_MG_9747.JPG" width="460" /></a></div>
<br /></div>
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L'idea era quella di far sbocciare spontaneamente delle storie alternative a partire dalle suggestioni che il pubblico aveva ricevuto dall'esperienza della messa in scena. Invitando spettatori e spettatrici a condividere il proprio testo sul web attraverso l'hashtag #LcomAlice, l'intento era quello di lasciar fiorire autonomamente anche la "diffusione" dei contenuti, senza organizzarli dall'alto. In questo senso, <b>non si tratta di fare interazione ma di innescare partecipazione</b>. La componente transmediale del progetto (ovvero l'universo narrativo di #LcomeAlice che attraversa diverse piattaforme media) diventa efficace nella misura in cui non è controllata da noi (come nel caso della regia scenica) bensì trova il suo modo di agglomerarsi, mutarsi e perché no, disperdersi (qualcun'altro magari ha prodotto il suo finale e l'ha chiuso in un cassetto della scrivania). <b>Quell'hashtag di fronte al titolo (#LcomeAlice) non è figlio della moda twittereccia, ma un'ulteriore indizio per ribadire la natura incontrollata e in-posizionabile dello spettacolo e del progetto.</b></div>
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La ricerca di questo effetto, per noi fondamentale, si è rivelata per alcuni aspetti controproducente. Confrontandoci con pubblico, giuria e <i>afecionados</i> di Alice, <b>la critica più ricorrente riguardava una presunta mancanza da parte della messa in scena di far immergere lo spettatore all'interno dell'universo narrativo che, ad ogni modo, risultava essere discontinuo e frammentato.</b> Su questo punto, vorremmo sciogliere un piccolo equivoco: che piaccia o meno, <b>la ricerca di una dimensione spettatoriale e narrativa ambigua e, in alcuni casi anti-immersiva, rispecchia per noi una precisa intensione artistica.</b> Si tratta del frutto di un ragionamento e un lavoro quadriennale e si collega ad una tradizione artistico-teorica abbastanza evidente e storicamente situata nel solco dell'avanguardia storica, del pensiero post-strutturalista e della controcultura.<br />
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<a href="http://digital-archaeology.org/wp-content/uploads/2013/10/Phantom_Ride.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://digital-archaeology.org/wp-content/uploads/2013/10/Phantom_Ride.jpg" height="297" width="460" /></a></div>
<br /></div>
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In particolare, in alternanza e compenetrazione al concetto di immersione diegetica, noi pratichiamo un <b>teatro di attrazione</b>. L'idea di attrazione, sviluppata nell'ambito degli studi sulla spettatorialità cinematografica negli anni 80 (ma che è presente anche in Brecht e Artaud), si riferisce alla capacità del dispositivo artistico di suscitare meraviglia, stupore, shock e, in ultima analisi, "attenzione", senza il bisogno di essere sostenuta dal principio di causa-effetto e dalla <i>mimesis</i> aristotelica. Lo stereotipo dell'arrivo del treno proiettato sullo schermo che scatenava il panico nei primi spettatori di fine 800 è una bufala: <b>nessuno credeva che si trattasse della realtà, bensì era soprattutto la meraviglia di vedere una fotografia in movimento che destava lo stupore e l'attenzione del pubblico.</b></div>
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<i>L come Alice</i> è in questo senso un continuo <b>collaudo di momenti di attrazione che aspirano a trasformarsi in immersione...ma non ci riescono!</b> Un'intuizione piuttosto calzante su questa metodologia proviene dal nostro (nuovo) scenografo quando una sera ha esclamato: <b>"Sembra sempre che stia per succedere qualcosa, che stia per iniziare una storia...e invece no!"</b>. L'evocare questo stato di sospensione e di indecisione fenomenologica nello spettatore è uno degli obiettivi che ci siamo preposti, oltre a quello di ibridare la performance con generi e arti diverse per renderla un <b>oggetto teatrale non identificato</b> ("Non ho capito cos'era!" - ha chiosato un detrattore dello spettacolo - "un'installazione? una performance? un film?!"). Aldilà di quest'ansia tutta moderna di dover incasellare l'opera all'interno di precisi quadri epistemologici, <b>è proprio nel far rivivere nello spettatore una condizione di precarietà cognitiva e comprensiva, che si manifesta la componente politica radicale di <i>L come Alice</i></b>.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvrChvv393OiHTFISaBtJkZ526Tv-y9MiXgvH1LYUmSs7KSw-kOummXpQxScrLAMoACU8eR3Ug9Mvs_6IE0480-5snrEVx8v1ZU2NtaWcHwP1y_gANylhcSOWAedPcjHjUQWx7w60GGqB-/s1600/11424572_10207029534959049_661740900_o.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="301" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvrChvv393OiHTFISaBtJkZ526Tv-y9MiXgvH1LYUmSs7KSw-kOummXpQxScrLAMoACU8eR3Ug9Mvs_6IE0480-5snrEVx8v1ZU2NtaWcHwP1y_gANylhcSOWAedPcjHjUQWx7w60GGqB-/s400/11424572_10207029534959049_661740900_o.jpg" width="460" /></a></div>
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L'attesa per la "svolta" narrativa affiancata da una continua ansia da notifica, le sorprese inaspettate, le attese inutili e le accelerazioni improvvise, la fastidiosa scoperta di essere usciti per una scampagnata teatrale e ritrovarsi invece all'interno di campo minato cognitivo. <b>Il teatro non è rappresentazione, è una disposizione alla tensione; non è storia è trama, nel senso di tessitura di percezioni-in-azione; il teatro, o almeno quello di <i>L come Alice</i>, è un'ecologia.</b><br />
<br />
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Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-17021123265351405722015-05-26T00:59:00.001-07:002016-10-14T08:43:18.402-07:00Il mito resistente di Alice: Giuseppe Sofo intervista Nexus e Laura Garofoli su LcomeAlice<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivTe8MXZ2kYZK5cCVRWl_JnYhyIGKYE5CVT1DroR8ArA8qoh-APWxOz1jEONqfaQm76tCOiINbWnhpCPV2CmLeWJ2YJfL7S0TVNqkA-0dfOXrCRA7ar0qof7iltG7SaKcZn6o435vp0vpE/s1600/LcomeAlice_nexusmoves_banner.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivTe8MXZ2kYZK5cCVRWl_JnYhyIGKYE5CVT1DroR8ArA8qoh-APWxOz1jEONqfaQm76tCOiINbWnhpCPV2CmLeWJ2YJfL7S0TVNqkA-0dfOXrCRA7ar0qof7iltG7SaKcZn6o435vp0vpE/s1600/LcomeAlice_nexusmoves_banner.jpg" /></a></div>
<b>"Alice è una militante transmediale"</b></div>
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Intervista di Giuseppe Sofo a Nexus</div>
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Roma, 20 maggio 2014.</div>
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<b></b><br />
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<b><b>1) Perché hai scelto di adattare Alice e perché questa tua Alice è così multidimensionale?</b></b></div>
<b>
</b>
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Non ho scelto un bel niente, ci siamo semplicemente incontrati. E non parlo di quegli incontri tipo "colpo di fulmine" ma piuttosto di quelle relazioni che si nutrono negli anni attraverso amicizie in comune, incontri fortuiti, sguardi lascivi, pensieri voluttuosi, confessioni sotto sbornia ecc. In questo senso L come Alice replica la relazione fra me e Laura - ed ecco un altro significato per la "L" di Alice! Vedi, il Senso, per come lo intende <b>Deleuze</b>, si forma attraverso concatenamenti non-cronologici come questi: si sceglie prima una parola e poi la si riempie di significato, in retroazione. Attenzione: questo non vuol dire fare tutto a casaccio o tramite la "sensibilità artistica" (la sensibilità non è dell'artista, semmai del mondo in cui è immerso!). La nostra è cosciente "scrittura di scena" ovvero predisposizione di trappole-significanti in cui Alice e chi gli sta attorno presumibilmente finiranno per incappare. <b>Artaud</b> c'è finito dentro ed invece di esplodere pare sia rinsavito. <b>Lewis Carroll</b>, il supposto-essere autore di Alice, ha vissuto in un campo minato di Alici fotografiche, letterarie e umane. A differenza di <b>Walt Disney</b> che ha ricombinato questa molteplicità di traiettorie per diffondere un immaginario monolitico ed economicamente faraonico, L come Alice ricarica il potenziale resistente, contro-culturale e utopico di Alice. Un'Alice che non si pone come Soggetto ma come "centro di gravità narrativo", significante senza significato attorno a cui si organizza la tessitura del Se-nso e la dispersione dei mondi possibili.<br />
<a name='more'></a></div>
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<br /></div>
<b style="text-align: justify;"><b>2) Alice è nato in un centro sociale occupato e autogestito ed è stato e sarà rappresentato in più centri sociali e spazi liberati, che relazione c'è tra Alice e questi luoghi, tra la tua Alice e le pratiche contemporanee di resistenza?</b></b><b></b><br />
<b>
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Alice è una militante transmediale. In quanto classico, è e sarà “l'occupante” di numerose menti e mentalità. Tuttavia ci sembrava doveroso, per non lasciare tutta questa occupazione mentale nel reame dell’incorporeo, riconfigurare Alice anche e attraverso le occupazioni spaziali, rivendicando il ruolo della materialità dei “supporti” nella formazione e trasmissione degli immaginari. Poi, l'incontro con Alice è coinciso con l’ingresso al centro sociale Spartaco e più in generale con una maggiore sensibilità nei confronti dell'attività militante. Liberare i personaggi equivale a liberare gli spazi poiché il nostro modo di pensare è altamente influenzato (e influenza) l'ambiente spaziotemporale in cui siamo immersi. Allora noi non mettiamo in scena la lotta, ma lottiamo in vista della e sulla scena. Seguendo un metodo di produzione che dialoga, prende spunto e collabora con una realtà di occupazione si evita da un lato di innalzarsi ad "artista trascendentale", e dall'altro si scalza l'egemonia del "teatro a tematica politica". A Spartaco, come allo spazio di mutuo soccorso Communia, siamo bene integrati nell’organizzazione di pratiche culturali alternative e popolari, contribuendo a coinvolgere un pubblico che solitamente non gravita attorno al circuito militante. Il problema si presenta quando all'autoproduzione collaborativa contrappongo la tirannide registica. Nel senso: io (Nexus) dirigo, tu burattino (Laura) esegui. Zero studio sul personaggio, zero psicanalisi e zero domande, se possibile. Questo rapporto si ispira volutamente al rapporto di potere egemonico: io Stato, ordino; tu cittadino, obbedisci - oppure - Io Capitale, dirigo; tu essere umano/merce, esegui. Et voilà! Nexus è un pezzo di merda. In realtà quello che tento di provocare è l'insurrezione del corpo-mente dell'attrice, organizzando una pochade dittatoriale che provochi resistenze, contro-azioni e sintomi che il regista stesso non sarebbe in grado nè di pensare, nè progettare. Nexus si maschera da regista e Laura da attrice, come nella pratica sadomasochistica un partner fa il Master/Mistress e l'altro/a lo Slave. Come ricorda Michel Foucault, si tratta di sabotar re le strategie dell'oppressione per praticare nuove forme di piacere anziché violenza e, nel nostro caso, cultura emergente anziché creazione individuale. Quindi, il corpo-mente del performer deve lottare dentro/contro il dispositivo registico, elaborando strategie di resistenza e sabotando la coreografia delle scene. Il regista a sua volta riconosce l'umile orizzontalità del suo ruolo, comprende che il burattino, in virtù dei medesimi fili, agisce altrettanto efficacemente sul burattinaio. Tuttavia, se il mio agire fuori scena (durante lo spettacolo) mi riporta al disincarnato ruolo di deus ex machina, gironzolare all’interno della scena (in fase di prova) oggettifica la mia soggettività, con grande scorno dell’attrice protagonista. Questo significa lottare in vista della scena e non semplicemente portare il "tema" della lotta in scena.</div>
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<b><b>3) Il movimento nella tua regia è molto importante, perché e che valore estetico e concettuale assegni al movimento?</b></b></div>
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Il movimento produce concetti: lo diceva Deleuze ne <i>L'Immagine-movimento</i>, lo conferma la scoperta dei neuroni specchio e la teoria della cognizione situata e distribuita. Ritornando al discorso di prima, anche il movimento necessita la militarizzazione più estrema prima di sfociare in atto rivoluzionario. Questa lezione, che è stata magistralmente teorizzata e praticata da Carmelo Bene, in realtà l'ho interiorizzata attraverso 15 anni di break dance. L’immaginazione ghettocentrica del ballerino di strada che improvvisa movimenti all’interno di un cerchio formato da entusiasti coetanei, ha connotato il breaking come una sorta di fenomeno legato alla spontaneità del gesto. In realtà, ogni b-boy e b-girl studia e si allena per far proprio uno stile di ballo e una singolare attitudine all’improvvisazione, a partire da un "canone" chiamato foundation. Negli anni ho imparato che “to feel a good freestyle”, bisogna provare e riprovare fino allo spasmo micro-pattern di mosse, gesti, raccordi di incipit (<i>go-down</i>) e chiusure (<i>freeze</i>) e poi, una volta immersi nella musica e nell'ambiente giusto...dimenticare tutto! Dato che il corpo ha memoria, se il traning si è svolto nel modo giusto, essa tenderà a riemergere e dialogare con musica e ambiente. La testa, intesa come cervello pensante, la puoi staccare dal collo e calciarla via: l’extraquotidiano diventa genetico. Quello che lo psicologo Daniel Goleman chiama "stato di flusso" noi b-boy e b-girl lo chiamiamo "flow", "groove", "to be fresh". Il teatro della crudeltà di Artaud puntava a questo: sviluppare un flusso crudele di azione/emozione in cui attori e spettatori si fondevano in un unicum de-pensante. La differenza con Artaud è che noi non puntiamo a questa sintesi degli opposti, nè alla coalescenza fra mondo-attore-spettatore, bensì all'irriducibile divergenza delle singolarità che emergono in un ambiente molteplice e in-divenire. In questo senso i dettagli sono essenziali perché, come disse qualcuno, "rendono la storia credibile". Alice esiste in quanto attraversata da flussi immaginari molteplici e la nostra idea di personaggio (come la nostra idea di auto-coscienza) si basa sul conflitto fra questi indizi inesistenti e frammentari: attraverso un dettaglio gestuale, quanto fonetico o visuale, io ti permetto di costruire un mondo e farlo collidere con altri passati, presenti, futuri e ucronici. Quando poi il movimento passa dal corpo, alla macchina, al video, si crea una collisione di mondi che domanda la socializzazione delle narrazioni e il continuo smarcamento da ogni comfort soggettivo. Non male come training!</div>
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<b><b>4) Hai definito <i>L come Alice</i> "a steampunk video-drama", ma l'impressione è che sia molto più di questo, che l'evento L come Alice si estenda ben prima e ben dopo la fine dello spettacolo. Perché questa scelta e come avete ottenuto questo effetto di prolungamento del momento teatrale?</b></b></div>
<b>
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Tutti gli spettacoli si estendono prima e dopo la messa in scena: L come Alice forse ne è più consapevole di altri. L'idea borghese di teatro, che si collega alla concezione cartesiana, illuminista e positivista dell'individuo, concepisce il momento della messa in scena con l'atto del consumo. E' trattoria teatrale: Amleto & saltimbocca alla romana! Quello che viene prima e dopo è volgarmente derubricato sotto la voce "pubblicità" e "promozione". La pubblicità diventa militanza transmediale quando la smette di "informare" (cioè dare ordini), e inizia ad ascoltare. Usare internet e i social media come si usava la televisione, la radio o il cinegiornale ha un termine ben preciso: spam. Oggi - e purtroppo anche i marketer lo hanno capito - i discorsi si costruiscono e diffondono in maniera partecipativa e non in maniera unidirezionale e controllata. L'idea è quella di diffondere un modo divergente di pensare la soggettività, il teatro, la militanza, la ricerca e l'uso dei media. Per questo condividiamo e rielaboriamo i risultati della ricerca su Alice (appunti, immagini, video, bibliografie e probabilmente anche questa intervista!), cerchiamo di dialogare con le sub/contro-culture (lo stemapunk, l'hip hop, le realtà militanti) e prima della messa in scena introduciamo lo spettacolo...parlando di tutt'altro. Ripeto: questo approccio transmediale e partecipativo è stato assorbito anche dai così detti stregoni del "capitalismo cognitivo", ma, a differenza di costoro, il nostro core-business è non avere core business. Vogliamo far conoscere Alice e certo, andare in scena il più possibile, ma solo nella misura in cui lo spettacolo diventi a sua volta "centro di gravità narrativo" per lo sviluppo di idee e pratiche di cultura resistente e autorganizzante. Sebbene l'autoproduzione e il mutuo soccorso siano le strategie di sostegno economico che privilegiamo, il rischio è quello di confinare il progetto in un circuito autoreferenziale e centripedo. L'adozione di un testo classico, l'ibridazione dei generi e degli immaginari, e la vena slapstick comedy sono elementi pensati per rivolgersi ad un circuito ampio e culturalmente variegato. In questo senso, l'esempio del collettivo Wu Ming rimane per noi fondamentale.</div>
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<b style="text-align: justify;"><b>5) Cosa ne pensi della scena teatrale italiana contemporanea, in particolare di Roma, e dei movimenti di occupazione o liberazione degli spazi pubblici e degli spazi teatrali?</b></b><b></b><br />
<b>
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Piuttosto che la scena, sono un assiduo frequentatore del retro-scena romano: questa carrozzaccia foderata di precariato, bolle di sapone e plateale classismo, che patrocina una lotta acaro mangia acaro al cospetto dell'imperiale mito del "successo". L'attore/trice di Roma è l'imprescindibile case study per uno studio sul cognitariato urbano. Il teatro romano, alternativo e non, è legato alla tradizione borghese. Non tanto nello stile della messa in scena, quanto nel sistema di produzione, di diffusione e persino "grafico" in cui si inserisce. La sperimentazione, quando c'è, è confinata nell'intelligibilità della nicchia, oppure pensa di esserci ma ricade nei cliché dell'egemonia postmoderna. Ci sono lavori e compagnie molto interessanti, ma per nessuno si tratta di un lavoro a tempo pieno, noi compresi. La soluzione sarebbe da un lato una maggiore aggregazione e coscienza politica da parte dei suddetti cognitari/e, dall'altra un'operazione di educazione. Ad esempio contro la narrazione alla "Maria de Filippi", dove il fare teatro ed essere attori/trici è considerato un vero lavoro solo dopo aver ottenuto il successo cine-televisivo o, peggio ancora, sfondando sul web attraverso la parodia di se stessi. Si può vivere di teatro senza diventare famosi? A Roma pare di no: al massimo si sopravvive con l’ansia di risvegliarsi quarantenni. Per questo l'esperimento del Teatro Valle Occupato come bene comune è potente e andrebbe esteso. Purtroppo dopo il trend degli scorsi anni, l'occupazione dei teatri e l'attenzione sul ruolo politico della cultura si è un po' avvitato su se stesso. Occupare un teatro per fare "programmazione alternativa" non è sufficiente: bisognerebbe de-programmare tutto, teatralizzare le occupazioni, promuovere una spettatorialità alternativa.</div>
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***</div>
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<b>“Un personaggio nel personaggio”</b><br />
Intervista di Giuseppe Sofo a Laura Garofoli<br />
<br />
Roma, 19 maggio 2014.<br />
<br />
<br />
<b>1) Cosa ha significato per te interpretare Alice?</b><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Alice è un personaggio ricchissimo, è pieno di sfaccettature, è come se fosse “un personaggio nel personaggio”. C'è l'Alice bambina, l'Alice adulta, l'Alice buffa, l'Alice triste, l'Alice clown. Nel mio caso anche l'Alice Artaud. Quindi devo dire che per me è stata una prova d'attrice molto importante. Non capita molto spesso, purtroppo, di potersi confrontare con un personaggio così “pieno”. È stato un lavoro faticoso, sia dal punto di vista fisico che emotivo, a volte ho pensato che non ce l'avrei fatta e devo dirti che anche adesso, che lo stiamo riallestendo, sono di nuovo in piena crisi d'insicurezza. Ce la farò, non ce la farò? Ma forse è proprio questo il bello del gioco. Per me Alice significa rimettermi in gioco sempre. Ogni prova è diversa, ogni replica è diversa, ogni riallestimento è diverso. C'è una continua evoluzione che permette che il personaggio sia sempre vivo e che non abbia il tempo di “calcificarsi”. Questo è un po' destabilizzante, ma anche terribilmente divertente.</div>
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<b>2) Alice è un personaggio difficile da penetrare, anche a causa delle innumerevoli reinterpretazioni che ha subito o causato. Come e da quale angolo sei riuscita ad entrare in questo personaggio?</b><br />
<div style="text-align: justify;">
In realtà credo che siano loro, le tante Alice di cui ti parlavo prima, ad essere entrate in me. Io ho solo prestato il mio corpo e la mia voce, e cercato di seguire al meglio le indicazioni di Nexus. Diciamo che Laura e Alice si stanno amalgamando piano piano, ma che sono comunque ancora presenti entrambe allo stesso tempo.</div>
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<b>3) Qual è la parte di Alice che senti più tua, più vicina a te o che pensi di aver creato tu attraverso la tua interpretazione?</b><br />
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<div style="text-align: justify;">
Il momento che ad oggi mi diverte di più interpretare è la scena finale, in cui spiego la poesia, che tra l'altro è stata una delle scene più difficili da creare in prova, ma mi piace molto anche il dialogo con la me stessa-regina mi piace molto. Il bello di uno spettacolo-monologo in cui sei l'unica attrice in scena è che ti permettere di aggiungere del tuo ogni sera. Quindi secondo me Laura è sempre presente all'interno dello spettacolo, anche se inizialmente ho cercato di metterla da parte e ascoltare attentamente Nexus. La parte creativa di Laura è subentrata quando lo scheletro dello spettacolo era in piedi; credo di essermi messa molto a servizio di Nexus, mi sono fidata di lui e anche se, inizialmente, c'erano delle cose che non mi convincevano, ho deciso di mettermi da parte ed eseguire. E credo di aver fatto bene a dargli fiducia.</div>
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<b>4) Quale rapporto ha Alice con il suo pubblico durante lo spettacolo? In che modo pensi sia coinvolto?</b></div>
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<b><br /></b>
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<div style="text-align: justify;">
Per me il pubblico è molto importante. Essendo un monologo e riferendomi spesso ad un “altro indefinito”, mi capita di guardarli e le loro reazioni possono modificare in positivo ma anche in negativo l'andamento dello spettacolo; direi che è un rapporto di scambio. Io non sono un'attrice da “quarta parete”, mi piace sentirli e sentire che ci sono. Come dice Nexus all'inizio dello spettacolo, “noi cercheremo di farvi vivere un'esperienza”, ecco, è questo che cerco di fare anche io. Vivo insieme a loro, viaggiamo insieme tra le varie situazioni di cui è composto lo spettacolo.<br />
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Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-7772987075075483902015-05-04T03:05:00.001-07:002015-05-04T03:05:17.059-07:00Come si racconta il conflitto? Un' analisi media archeologica della #MayDayNoExpo<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLExst_cplxSFySsMGfajsyJ96sJfIBbRZUdkxFnhFkKzoupHufTUHuWq0ZteVYj4UcVop4rLiFeftqkegws2-_Q3UPGNfyPB_w7yKCaaa7kREffyPlvX51jRYXkaf7FQz6z-SE5lKmRlV/s1600/MayDayNoExpo_Racconta_Conflitto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="220" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLExst_cplxSFySsMGfajsyJ96sJfIBbRZUdkxFnhFkKzoupHufTUHuWq0ZteVYj4UcVop4rLiFeftqkegws2-_Q3UPGNfyPB_w7yKCaaa7kREffyPlvX51jRYXkaf7FQz6z-SE5lKmRlV/s400/MayDayNoExpo_Racconta_Conflitto.jpg" width="460" /></a></div>
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Dopo la <b>#MayDay</b> di Milano e l'inaugurazione di Expo, l'immagine del movimento è uscita completamente intossicata. All'indomani del corteo che ha visto la partecipazione di decine di migliaia di persone da tutta italia, la narrazione di riferimento si incentra sulle devastazioni compiute dal blocco nero durante la manifestazione, obliterando le ragioni politiche e sociali che stavano alla base di una lunga e partecipata campagna alter-Expo. Varie cornici, vari <i>tableaux</i>, come li chiamava <b>Michel Foucault</b>, si sono incastonati in questa narrazione di riferimento che, tuttavia, rappresenta l'unico <i>setting</i>, l'unica scacchiera entro cui giocare la partita. Piuttosto che dare un'interpretazione politica di questo scenario, vorrei analizzare le condizioni di creazione e trasformazione dello scenario stesso da un punto di vista media archeologico. L'archeologia dei media infatti, non si occupa semplicemente di portare a galla "il nuovo" dalle ceneri dei vecchi media, ma promuove una teoria e un uso radicale dei media quale dispositivo storicamente situato nel tecnocapitalismo moderno. </div>
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<b>Indossabili, componibili e sempre più <i>embeddati</i> nella realtà, noi siamo i media e la forma corteo è ormai un organismo tecno-antropologico dai confini nebulosi e dalle temporalità sovrapposte</b>. Non si segue più il corteo "da casa", ma si può intervenire attivamente su di esso producendo immagini, moltiplicando le testimonianze, orchestrando i tempi di circolazione delle informazioni. La linearità del corteo che in passato assicurava una narrazione semplificata in 2D (si parte da un punto A, si arriva ad un punto B), oggi scompare di fronte alle narrazioni molteplici e transitorie che in tempo reale sovrappongono storie e percorsi in contraddizione fra loro. Questa <i><b>database narrative</b>, </i>come la chiamavano <b>Lev Manovich</b> e <b>Hiroki Azuma</b> intorno al 2000, non ha però portato ad una democratizzazione delle storie, non ha dischiuso alcun "rizoma", e l'elaborazione di una strategia efficace di storytelling è tornata una questione centrale. Come si racconta il molteplice? Come si determina una linea narrativa radicale e aperta che allo stesso tempo crei consenso e partecipazione? Non si tratta semplicemente di raccontare storie alternative, ma di sviluppare pratiche di regia. Da un lato <b>valorizzando la singolarità delle narrazioni personali, dall'altro orchestrando un ritmo narrativo collettivo e sempre aperto, come in una jam session</b>. In pratica, poi, che fare?</div>
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<span style="color: #cc0000;">*** Segue un parte teorico analitica molto corposa. Se volete, potete saltarla e andare direttamente alla parte "pratica" ***</span></div>
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<a name='more'></a><br /></div>
<b style="text-align: justify;">L'obsolescenza dell'editoriale</b><br />
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I quotidiani online, Repubblica in <a href="http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/05/01/news/milano_diecimila_in_piazza_al_corteo_no_expo_centro_blindato_con_2_200_agenti-113306983/" target="_blank">prima fila</a>, sono delle vere e proprie macchine da guerra per la produzione del setting degli scontri. In tempo reale anche You Reporter, uno dei siti di video sharing più importanti per i reportage di piazza, è stato invaso in poche ore da immagini di guerriglia urbana. Il giorno successivo, nella sezione "storie" sarà presente una playlist cronologica dei contributi video intitolata <b><a href="https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=4&cad=rja&uact=8&ved=0CC0QFjAD&url=http%3A%2F%2Fwww.youreporter.it%2Fvideo-foto%2FNo_Expo_scontri_Milano_Primo_Maggio&ei=Jz5HVZClDsv_Uuv9gNgC&usg=AFQjCNFaxuodVqcEDsTpFhwFPj89OZuLNQ&sig2=4HvyZxjIxyYE3JvGMWcHWw&bvm=bv.92291466,d.d24" target="_blank">"No Expo, Milano scontri Primo Maggio"</a></b> e un montaggio di 24 minuti con presumibilmente i video più cliccati. A due giorni di distanza, se scorriamo le timeline dei principali quotidiani on-line, è impossibile trovare immagini "pacifiche" del corteo. Questo perché a pochi minuti dall'inizio del conflitto, si diffonde viralmente l'immagine (non l'idea) che le devastazioni coinvolgano l'intera manifestazione e Milano sia stata messa a ferro e fuoco. Questo setting si afferma anche all'interno del corteo stesso. <b>Consultando gli smartphone o ricevendo le chiamate di amici e parenti preoccupati, i partecipanti al corteo (si) vedono catapultati all'interno di uno scenario apocalittico.</b> Quell'immagine-del-mondo si appiccica ai meccanismi del nostro apparato di percezione e azione, influisce sui processi ermeneutici del nostro sistema nervoso centrale. Quel fumo bianco che fino a pochi minuti fa interpretavamo come un fumogeno, ora appare come la fumea tossica di un lacrimogeno. L'immagine produce isolamento interpretativo, decontestualizza e crea un container percettivo entro cui il resto del corteo <i>crede</i> di collocarsi. Questo è un meccanismo cognitivo che utilizziamo normalmente per dare senso alle nostre percezioni (percepiamo che la farfalla voli <i>all'interno</i> del giardino, nonostante il giardino non sia un box delimitato).</div>
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgalCs0WhM8HCCPHwUD_Mt894PXVRBbdOMynLR3NluWeA3DdMJteLYkIV-3Lcwy5d5mAKV5fO95GBuY_kTs_26GpVtIxPtcRKinVex2qHVO1kT2dVSGUCRX5UDbEaZrF96Ogw7ddFwaki1A/s1600/NoExpo_Repubblica.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="246" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgalCs0WhM8HCCPHwUD_Mt894PXVRBbdOMynLR3NluWeA3DdMJteLYkIV-3Lcwy5d5mAKV5fO95GBuY_kTs_26GpVtIxPtcRKinVex2qHVO1kT2dVSGUCRX5UDbEaZrF96Ogw7ddFwaki1A/s400/NoExpo_Repubblica.png" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Creare il setting: la foto in homepage di Repubblica.it, il giorno prima dell'inagurazione di Expo (30 Aprile 2015)</td></tr>
</tbody></table>
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Nelle ore successive, bisognerà scardinare <i>questa</i> immagine di base, questo box interpretativo, al di fuori del quale però spesso non c'è niente. La narrazione alternativa del giorno dopo, in questo senso, non può hackerare un bel niente, soprattutto se passa attraverso un solo linguaggio (quello scritto) e, attraverso un unico punto di vista vuole scardinare un mondo narrativo che invece è stato co-creato da una moltitudine di soggetti e dispositivi.</div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0LlsepOQHO3zEtKswAmqsky09uiZcbL-7loLzA7QWMoaPrBcp7AsyheAYIBjy9s-3CkPc6iuZUPu-W3ppXNNlAXRnGiJvfMZnC8J31n3XZuAeyTBsAk7VO4ppqT4zt6EilXQkK2XmciOJ/s1600/noexpo_mayday_2015_repubblica_milano.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="251" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0LlsepOQHO3zEtKswAmqsky09uiZcbL-7loLzA7QWMoaPrBcp7AsyheAYIBjy9s-3CkPc6iuZUPu-W3ppXNNlAXRnGiJvfMZnC8J31n3XZuAeyTBsAk7VO4ppqT4zt6EilXQkK2XmciOJ/s400/noexpo_mayday_2015_repubblica_milano.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Articolo di Repubblica-Milano, uscito nel pomeriggio del 1 Maggio 2015.</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
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<div style="text-align: justify;">
<b>La tradizione letteraria è la causa e la soluzione agli attuali problemi comunicativi del movimento.</b> Si scrivono editoriali e manifesti di rivendicazione, si usano <i>parole</i> d'ordine e hashtag, si scrive tanto ma si racconta poco. Non si tratta dell'annoso scontro tra forma e contenuto, ma di <b>scarsa attenzione alla specificità del medium.</b> Se in passato la pubblicazione di un articolo equivaleva alla stampa su carta (volantini, fanzine, riviste indipendenti), oggi la principale piattaforma di diffusione di "testi" è il web. Sebbene la lezione di McLuhan sia stata recepita (il medium influisce sul messaggio), l'errore, grande, sta nel pensare che il messaggio sia unitario e a-temporale. Nell'epoca del live tweeting e del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Folksonomia" target="_blank">tagging collaborativo</a>, i contenuti vengono co-creati da una moltitudine di utenti che in tempo reale fa rimbalzare parole, inquadrature, video e dati. <b>L'editoriale del giorno dopo, per quanto lucido e complesso, lavora su un mondo narrativo e multisensoriale che si è già sedimentato nell'immaginario collettivo.</b> <b>Un'esperienza simile a quando vediamo il film prima di leggere il libro da cui è tratto.</b> Se, viceversa, leggere il libro prima di guardare il film può al massimo deludere lo spettatore, risulta estremamente difficile scalzare le immagini di un film mentre se ne legge la versione letteraria. Esse lavorano sul nostro inconscio cognitivo, sono pre-semiotiche. Un ramo delle scienze cognitive sostiene infatti che un processo narrativo interattivo e multisensoriale come quello che avviene nelle piattaforme media contemporanee costruisca attivamente l'impalcatura cognitiva attraverso cui interpretiamo la realtà. Più che offrire un canovaccio, le piattaforme media sono invece la cabina di regia entro cui mettiamo in scena (ognuno a modo suo, ma all'interno dello stesso mondo) il conflitto. Ciò che viene dopo sono scosse di assestamento, utili ma spesso non sufficienti a ricombinare il nostro setting cognitivo che per forza di cose giocherà in "difesa".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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<b>La balla dei social media</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><a href="http://video.huffingtonpost.it/cronaca/noexpo-un-manifestante-a-tgcom24-giusto-spaccare-tutto/4053/4044" target="_blank">Tia Sangermano</a></b>, il ragazzo incappucciato che davanti alle telecamere del TgCom ha dichiarato "giusto spaccare tutto", è diventato in poche ore il protagonista delle narrazioni anti #NoExpo. Di lui sono nate 4 pagine Facebook, un'imitazione video e decine di meme che in combinazione con le citazioni alla mamma di Baltimora, hanno ridicolizzato l'immagine dei manifestanti, aumentato l'indignazione pubblica e - dopo il <a href="http://www.huffingtonpost.it/2015/05/02/noexpo-il-ragazzo-che-difendeva-black-bloc-chiede-scusa_n_7195054.html" target="_blank">video di scuse</a> dello stesso - alimentato il frame buoni vs cattivi. Quello che nel 2011 fu <b><a href="http://www.repubblica.it/images/2011/10/18/072516434-639d3445-80d5-45dd-bcfb-992b9fb0a3fe.jpg" target="_blank">#erpelliccia</a></b> (il ragazzo arrestato 6 giorni dopo gli scontri e immortalato mentre lanciava un estintore), oggi è un personaggio tossico avanzato, per velocità di diffusione e rimediazione. Questo è reso possibile dalla velocità con cui ormai si riesce a co-creare l'universo narrativo di riferimento (cioé la "Milano a ferro e fuoco"), entro cui il virus narrativo di Tia può dischiudersi.<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://www.daringtodo.com/wp-content/themes/daring3/tf_cache/2015/05/333043-400-629-1-100-Tia-Sangermano1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://www.daringtodo.com/wp-content/themes/daring3/tf_cache/2015/05/333043-400-629-1-100-Tia-Sangermano1.jpg" height="253" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Una delle tanti meme nati dal "virus narrativo" di Tia Sangermano, nelle ore successive all'intervista del TgCom</td></tr>
</tbody></table>
<br /></div>
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Che i media diventassero "social" era il sogno di piattaforme radicali come Indymedia. Oggi però la socializzazione delle lotte attraverso la tecnologia di rete è tutt'altro che risolutiva. Un anno dopo la rivolta di <b>Gezi Park</b> ad Istanbul, il governo chiuse per la seconda volta l'accesso a Twitter. Mentre l'anno precedente questo atto di censura fu tra i fattori determinanti per l'insorgere della protesta, oggi il ricorso individuale a servizi di comunicazione criptata, ha di fatto annullato ogni bisogno di insurrezione collettiva. Il clicktivismo non è solo la sindrome di rimanere seduti anziché scendere in strada, ma anche la tendenza a risolvere i problemi attraverso soluzioni individuali e personalizzate (spesso offerte da altri). I nostri social network digitali infatti tendono a creare dei mondi ad hoc, simili al fenomeno di auto-segregazione culturale definito <a href="http://books.google.it/books/about/The_Big_Sort.html?id=VAqNKMfgdk4C&redir_esc=y" target="_blank">"the big sort"</a>. <b>Immettendo le nostre idee, educhiamo l'algoritmo dedicato al nostro account a visualizzare e interagire con contenuti simili, creando di fatto un bolla esperenziale che promuove isolamento anziché socializzazione.</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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Mentre negli anni 70 le radio indipendenti rivendicavano frequenze alternative al flusso radio istituzionale, e nei 90 fanzine, web forum e centri sociali assicuravano la circolazione della contro-cultura, oggi, nello scenario del capitalismo social-network, tutto ciò è impensabile. <b>L'hackeraggio perpetuo del sistema e la proliferazione di nicchie sotto-culturali non soltanto è tollerata ma incoraggiata dalle stesse multinazionali che traggono dai contenuti <i>grassroot</i> la loro linfa vitale.</b> I social media sono entità molecolari, non semplicemente dei siti web. Come l'invenzione del telegrafo generò una sovrapposizione e un'accelerazione temporale delle nostre esistenze, oggi il dispositivo social media ci sta forzando a pensarci come spettatori estesi, le cui azioni/visualizzazioni si ripercuotono aldilà delle nostre cerchie sociali. Tutto questo non è vero. Come già detto, l'allargamento è solo quantitativo e non qualitativo (registro molte visualizzazioni e like, ma si tratta di utenti che già la pensano come me ed ergonomicamente simili a me) mentre nel <i>back-end</i> del web si trae profitto dalla <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Profilazione_dell%27utente" target="_blank">profilazione</a> degli utenti. </div>
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<br /></div>
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<b>Per questo ci vuole un uso e una presenza critica e conflittuale all'interno del sistema social media. </b>Un uso unidirezionale, a mo' di spam, basato sul modello emittente-ricevente è non solo inutile ma pericoloso. Senza influire sulle condizioni di creazione e diffusione dei mondi narrativi, si rischia di assumere semplicemente un ruolo archetipico (volendo anche positivo) che rientra sempre e comunque all'interno di un box di percezione/azione delimitato e pre-disposto da chi controlla l'architettura di rete.</div>
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<b>Cosa fare in pratica?</b></div>
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Alla fine del XVIII secolo, il gestore di una caffetteria di Lipsia di nome <b><a href="http://de.wikipedia.org/wiki/Johann_Georg_Schrepfer" target="_blank">Johann Georg Schröpfer</a> </b>divenne celebre per i suoi spettacoli di necromanzia (poi chiamati Fantasmagoria). Una volta entrati nel café, agli avventori veniva offerta una ricca dose di punch e dopo essere entrati in una sala piena di candele e simboli, Schröpfer<span style="background-color: white; color: #252525; font-family: sans-serif; font-size: 14px; line-height: 14.9333333969116px; text-align: start;"> </span>annunciava loro l'arrivo dei fantasmi che presto si materializzavano all'interno del locale tramite un congegno di lanterne magiche multiple. Per aumentare la suggestione, pare che alcuni spettatori venissero colpiti da piccole scosse elettriche emesse da un dispositivo nascosto sotto le loro sedie. <b>La forza delle immagini fantasmatiche di Schröpfer</b> (molto rudimentali e statiche, poiché fotografia e cinema ancora non esistevano) <b>era però garantita da quel minuzioso <i>setting </i>cognitivo fatto di parole, alcool, scosse elettriche e scenografia.</b><br />
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<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://www.visuals.pl/images/image001.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://www.visuals.pl/images/image001.jpg" height="258" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Uno spettacolo di Fantasmagoria, dispositivo di intrattenimento diffusosi in Europa tra la fine del XVIII e il XIX sec.</td></tr>
</tbody></table>
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Questa pratica di fine Settecento è molto simile a quella che mi auspico per narrare il movimento oggi. Innanzitutto <b>bisogna creare un setting narrativo non solo prima e dopo un evento di piazza, ma anche e soprattutto durante.</b> Mentre il prima e il dopo possono essere programmati, l'imprevedibilità del durante (quello che <b>Gilles Deleuze</b> chiamava il "punto aleatorio") richiede un grado di attenzione e azione molto elevato, e quindi necessita di un <i>freestyle</i> estremamente performativo. La produzione di immagini e video che avviene direttamente dal corteo dovrebbe coordinarsi con l'organizzazione e la diffusione delle stesse che, molto più efficacemente, potrebbe avvenire da una postazione decentrata che disporrebbe anche di mezzi tecnologici più sofisticati. Mentre un' unità si occupa di accumulare materiale per un reportage video da diffondere successivamente, un'altra dovrebbe aggregare gli utenti che individualmente stanno effettuando la stessa operazione (i così detti "grassroots intermediaries") e coinvolgerli nella propria, alternando con loro lo sviluppo della narrazione come un gruppo che tira la volata durante una corsa ciclistica. Bisogna entrare nell'ottica che non c'è più nessun messaggio da comunicare, né alcuna visione privilegiata per farlo. C'è un campo di forze temporaneo e dinamico che si "spalma" (per usare la terminologia di <a href="http://spreadablemedia.org/">Jenkins, Joshua e Green</a>) attraverso più media.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
D'altro canto una contro-narrazione dell'immagine mainstream va svolta. In questo caso si potrebbero seguire due linee: <b>(i)</b> In tempo reale, l'hackeraggio mediatico attraverso bufale, satira, dirottamento di hashtag, live streaming della piazza; <b>(ii)</b> Più in generale, scalzare il linguaggio verista della "breaking news" offrendo una narrazione esplicitamente "di fiction", che lavori sui generi, sulla serialità e sul coinvolgimento dei "fan" attraverso opere derivate, approfondimenti, ecc. </div>
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<br /></div>
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In ultimo, la presenza dei movimenti sui social deve essere necessariamente creativa: inventarsi uno stile di scrittura, sviluppare pratiche ludiche e autoironiche, rallentare i tempi di visualizzazione, ma soprattutto ascoltare, ascoltare tanto e offrire il timone ai propri "follower" (ricordiamoci che Facebook è un dispositivo omologante e inglobante in termini di grafica, tempi di interazione e linguaggio e che tutti i nostri dati sono fisicamente archiviati negli Stati Uniti all'interno di data center di proprietà di una delle più grandi multinazionali del mondo).</div>
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<b>Tutto questo, ovviamente, ha bisogno di un'organizzazione e una certa dose di competenze che a mio avviso si acquistano sul campo.</b> Esperienze simili esistono e si stanno diffondendo anche altrove. Il movimento <b>15M/Podemos</b> e <b>Syriza</b> hanno costruito gran parte del loro consenso grazie ad un'equipe di giovani mediattivisti che ha saputo spalmare la partecipazione attraverso diversi (social) media valorizzandone la specificità; durante l'ultimo attacco israeliano in Palestina, <b>Israele</b> ha finanziato un nucleo di studenti che ha svolto in diretta una gigantesca campagna comunicativa pro-Israele; in ultimo, il <b>Movimento Cinque Stelle</b>, che deve il suo successo all'investimento milionario della Casaleggio Associati, ma che oggi, riesce a (far) condividere i propri video su Facebook nell'ordine di milioni di visualizzazioni in poche ore.</div>
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Esperienze Italiane ci sono e la recente campagna <b>#scioperosociale</b> si muove nella direzione giusta, anche se ancora non sufficiente a creare un <i>engagement </i>duraturo. L'esempio decennale del collettivo <b>Autistici/Inventati</b>, il lavoro avant-pop di <b>Wu Ming</b> e la "formula magica" sviluppatasi dalle vignette di <b>Zerocalcare</b>, <b>sono a mio avviso le esperienze esemplari su cui impostare un modello<i> </i>performativo, partecipativo e duraturo di narrazione del movimento.</b> </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Si tratta di addentrarsi criticamente nello sporco mondo del marketing comunicativo - ma attenzione! - il marketing è entrato nel nostro già da un pezzo.<br />
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Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-74286392081836675222015-03-31T03:25:00.002-07:002015-04-13T06:06:37.969-07:00«R.O.M.» (Nexus, 2015) - break dance + videoart (+ note di regia)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="259" src="https://www.youtube.com/embed/PcuECt1XPYs" width="460"></iframe><br />
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<b>Venerdì 10 Aprile</b> alle 19.00 sono tornato <i>in strada </i>con R.O.M., la performance di break dance e videoarte ideata nel 2013 per il Perepepé Fest di Pesaro. Ad accogliermi, la cornice di <b>Largo Spartaco</b> e del <i><a href="https://boomerangfestproject.wordpress.com/" target="_blank">Boomerang Fest</a></i>, quest'anno intitolato "un urlo di seppellirà". Qui di seguito alcuni appunti di regia. Qua sopra il video, qua sotto alcune note di regia. Buona esperienza.<br />
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Nel linguaggio informatico ROM è l'acronimo di <i><b>Read Only Memory</b></i>, memoria di sola lettura. Un cd-rom è una memoria di sola lettura: possiamo leggerne il contenuto quante volte vogliamo, ma non possiamo modificarlo. Nella lingua romanés, «rom» significa <b>«essere umano»</b> ed indica una cultura e un popolo attualmente migrante e disperso. Roma è rom: una città composta da esistenze disperse e vissuta in sola lettura.</div>
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<b>Via dell'Acquedotto Felice</b>: qui passa la prosecuzione medievale dell'antico acquedotto romano, qui emergono i "ragazzi di vita" inchiostrati da Pasolini. Qui le ruspe hanno sgomberato le baracche di cartapesta costruite sotto agli archi austeri, assolvendo quel tentacolo di villette abusive abbarbicato lungo il medesimo tratto murale. Da qui si prosegue lungo via del Mandrione, verso Porta Maggiore; da qui si evade al Parco degli Acquedotti, cumulo di storie e temporalità sovrapposte: dove prima scorreva l'acqua, ora fluttuano i droni.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjN2xGKFjABxnqYQA26a1eYEoB-wNVXC-jfq-U0uGYCMa-Q2Ax7004sujsoHM-2t70-CGTfMWzPjJHelff7mLMUdUUMZfeoLUMQt6uPFv6shp125spSKVehovE39RoZoY-6v8Qpgdg7f2PY/s1600/ROM-Nexus2013.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjN2xGKFjABxnqYQA26a1eYEoB-wNVXC-jfq-U0uGYCMa-Q2Ax7004sujsoHM-2t70-CGTfMWzPjJHelff7mLMUdUUMZfeoLUMQt6uPFv6shp125spSKVehovE39RoZoY-6v8Qpgdg7f2PY/s1600/ROM-Nexus2013.png" height="226" width="460" /></a></div>
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<b>Il Colosseo, l'Arco di Costantino, il colonnato di San Pietro:</b> essi sono luoghi inesistenti. L'inumano desiderio alla conservazione li ha schermati fra maglie metalliche, impalcature e framezzi. Essi sono diventati spazi di sola lettura, epitaffi di un futuro inaccessibile cementificato dalla nostalgia artificiale per un passato glorioso. Questi luoghi, come la nostra memoria, sono sempre "sotto impalcatura".</div>
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<b>Qual è la differenza fra un ricordo rievocato nella nostra mente e quello generato dalla passeggiata in un vecchio quartiere?</b> Nessuno. Entrambi sbocciano improvvisi nella nostra coscienza. Ne percepiamo il risultato finale ma non siamo mai partecipi del processo cognitivo che li sottende. La nostra esistenza è intimamente incastrata con il corpo e l'ambiente in cui siamo immersi e in cui re-agiamo. Attraversando la città noi estendiamo e contraiamo noi stessi, continuamente. L'acquedotto è stato il prolungamento del nostro sistema di ossigenazione sanguigna, lo scheletro che proteggeva le funzioni vitali dei senzatetto, i resti di pelle che attestano la vita vissuta dai nostri antenati.</div>
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Esistiamo, in quanto parte di un archivio collettivo che non è destinato all'accumulazione di materiale "di sola lettura", ma alla genuina e partecipativa formazione e trasformazione.<br />
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Siamo rom, e molto di più.<br />
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[<a href="https://www.facebook.com/events/1429270210699898/" target="_blank">Evento Facebook</a>]<br />
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<br />Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-82730083035170229352015-02-03T02:12:00.001-08:002015-02-03T02:12:05.781-08:00«Italiano medio»: will the revolution be televised?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAgmntulNviEH-fj7Q5vTYJKXt1543ccz3XvEg4Qkro1hOnCMCXoS3i-uPG3en6i5ohziBLwKzIyKb4r3C410-cPnP2rx6HXqwDr-6a7Y3GOZemcYxlaBUdpJdTlV-uFNNaWMoFbjMrFyg/s1600/Italiano_Medio_Maccio.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAgmntulNviEH-fj7Q5vTYJKXt1543ccz3XvEg4Qkro1hOnCMCXoS3i-uPG3en6i5ohziBLwKzIyKb4r3C410-cPnP2rx6HXqwDr-6a7Y3GOZemcYxlaBUdpJdTlV-uFNNaWMoFbjMrFyg/s1600/Italiano_Medio_Maccio.jpg" height="240" width="460" /></a></div>
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In Italia, si sa, abbiamo un grosso problema con la commedia. La "commedia all'italiana", così come gli spaghetti al pomodoro, è il <i>brand</i> salvagente a cui il feudalesimo dello spettacolo si riempie la bocca e (speranzoso) le tasche. Un fenomeno, quello della commedia all'italiana, che sostanzialmente nasce e si esaurisce nel cinema di <b>Steno, Monicelli, Risi, Age & Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico</b> degli anni 50. In questo senso <i>La Grande Guerra </i>(Monicelli, 1959) fa da spartiacque: riunisce idealmente il personaggio di <b>Alberto Sordi</b> in <i>Un eroe dei nostri tempi</i> (1955) e quello di <b>Vittorio Gassman</b> de <i>I Soliti Ignoti</i> (1958), uno poliziotto, l'altro "lavoratore", e li catapulta nel bagno di sangue della prima guerra mondiale. Seguirà una stagione di rivoluzioni, dove i vari "poveri ma belli" fanno i conti con la fine del boom economico e vengono mano a mano annichiliti dalla cultura televisiva. Durante l'<i>age d'or</i> delle pagliacciate smanettone e scorreggione dei vari <b>Lino Banfi</b> e <b>Alvaro Vitali</b>, arriva <i><b>Fantozzi</b></i> di Paolo Villaggio (1975) che, fra i tanti, percula quel <i>melieu</i> cinefilo di sinistra che non sa più ridersi addosso e <i><b>Un sacco bello</b></i> di Carlo Verone (1980) che è l'ontogenesi cine-televisiva del coatto romano tardo-capitalista. Lo scivolone avviene negli anni 90 quando la satira di destra si lega a doppio filo col potere a tubo catodico: da un lato le pochade del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Il_Bagaglino" target="_blank"><i>Il</i> <i>Bagaglino</i></a>, dall'altro quelle dei Cinepanettoni targati Vanzina. La risposta dei <i>progressisti </i>[sic.]<i> </i>avviene tramite commedie moral-melodrammatiche, che dal colpo di coda di Monicelli in <i>Amici Miei</i> (1975) vanno gradualmente impaludandosi con le saghe di Verdone, Pieraccioni, Aldo Giovanni e Giacomo, <i>Benvenuti al... </i>e l'infamoso, definitivo, Checco Zalone. Questa menata storica, solo per dire che <i><b>Italiano medio</b></i> parte già con le "mani nella merda".</div>
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Il fenomeno <b>Maccio Capatonda</b> (alias Marcello Macchia) è noto a quella fetta di pubblico internauta che ha riso dei suoi <i><a href="http://www.maidire.it/2011/mai-dire-lunedi-2005-pt-1/speciale-cinema/speciale-cinema-7-mah-mai-dire-lunedi-2005/" target="_blank">trailer</a></i> sul web e su <b><i>Mai dire lunedì </i>(2005)</b>. La comicità di Maccio, attore-montatore-regista, colpisce la (s)grammatica del sistema audiovisuale italiano portandola all'eccesso. L'idea è quella di combinare il vuoto dei luoghi comuni ("ho già mangiato!"), la tracotanza fàtica della <i>voice over</i> ("un film di brunoliegibastonliegi") e l'amatorialità audiovisiva, <b>per creare uno stile, e un personaggio, che è davvero <i>dentro e contro </i>l'Italia contemporanea</b>. Certamente Macchia non nasce imparato: la <i><b><a href="https://www.youtube.com/watch?v=kZvDdlKMYX0" target="_blank">Cinico-tv</a></b></i> di Ciprì e Maresco e trasmissioni come <i><b>Avanzi</b></i> o <i><b>l'Ottavo Nano</b> </i>hanno offerto una base di partenza decisiva, magari involontaria, affinché, con l'arrivo di YouTube (2005), si avesse la possibilità di studiare <i>frame-by-frame </i>le tecniche di tele-inganno che dal trailer alla reclàme, dalla fiction rai alla serie americana, dal carosello al telegiornale, <b>rappresentano il palinsesto mentale ed esistenziale dell'italiano medio</b></div>
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Il titolo del film nasce infatti come <i>spin-off </i>dell'<a href="https://www.youtube.com/watch?v=-JQINuybHL4" target="_blank">omonimo trailer</a> andato in onda qualche anno fa (se non sbaglio in pieno governo Monti) diventando un tormentone giovanile e consacrando il personaggio di Maccio Capatonda e il suo compare <b>Herbert Ballerina</b>. La micro-storia, che scimmiottava una scena cult di <i>Matrix, </i>raccontava la vita di un italiano frustrato dalla crisi che sotto consiglio di un amico assume una pillola che ne riduce le capacità mentali, trasformandolo in un coatto-menefreghista, cioè in un italiano medio.<br />
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Trascinato dal motto <a href="https://twitter.com/search?q=%23amechemenefregaamme&src=tyah&lang=it" target="_blank">#eamechemmenefregamme</a>, la prima parte del film di Maccio Capatonda è sostanzialmente un trailer allargato. Ridiamo dei suoi lati da Dr. Jekyll e Mr.Hyde, attraverso una serie di gag auto-citazioniste che tutti si aspettano e qui vi ritrovano. Ma durante l'intervallo, ci assale un dubbio: e ora che succede? il film sarà tutto così? Che Macchia si sia inchinato al diktat cine-zuzzurellone come altri suoi colleghi del web è plausibile. In fondo anche <i><b>Boris</b></i> in questo senso ha fallito miseramente, rimanendo una cattedrale nel deserto e generando invece un movimento di "<a href="http://i.ytimg.com/vi/P9VrWxukueg/hqdefault.jpg" target="_blank">Pannofinicazione</a>" di cui abbiamo piene le palle. Con sorpresa, e grazie all'aiuto dei quattro sceneggiatori che lo affiancano anche in <i>Mario</i>, <i>Italiano medio</i> compie invece un twist.</div>
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Gli indizi in realtà c'erano fin dall'inizio: il protagonista, Giulio Verme, nasce da una famiglia completamente assoggettata al televisore. Come risposta, Giulio sviluppa un'avversione patologica al sistema e, in solitaria, esce di casa per cambiare le cose. Vivere "fuori dal sistema" è l'ingiunzione patologica con cui si scontra Giulio e che, inevitabilmente, innesca quel movimento uguale e contrario che lo trasformerà in un tamarro-piglia-tutto il cui scopo è diventare il campione di <i><b>Master Vip</b></i>, ennesimo talent show che mette semplicemente in palio "la fama". Riecheggia nel film la retorica di "Tutti Famosi", il partito generalista raccontato nella terza stagione di <i>Mario, </i>mutuata da quella di <i>Saranno Famosi </i>(1998) di Mariafilippiana memoria. </div>
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Come è facile aspettarsi, il film si conclude con una soluzione di mezzo e a mio avviso, <b>è proprio quel personaggio di-mezzo che rappresenta il vero italiano medio.</b> Driblando lo stereotipo consolatorio quanto classista secondo cui l'italiano medio sarebbe il menefreghista coatto (un upgrade scontata, se vogliamo, del Sordi anni 50), <b>l'italiano medio è invece il figlio post-manipulite del governo di larghe intese</b>. <span style="color: purple;">[segue piccolo spoil]</span> Quando Giulio propone di finanziare i lavori per il bio parco attraverso un talent show per aspiranti "zappatori", si tuffa compiacente nell'ideologia del compromesso, delle larghe intese che assolvono tutto e tutti, del capitalismo ecosostenibile e spettacolare. Se la morale di fondo sembra essere che il giusto sta nel mezzo, quell'"almeno in Italia" - aggiunto da Giulio che poi sprofonda sul divano spalleggiato dalle sue due amanti - non è per nulla un epilogo consolatorio.<span style="color: purple;">[fine spoil]</span><br />
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<a href="http://i2.wp.com/www.badtaste.it/wp/wp-content/uploads/2015/01/italiano-medio-banner-1.jpg?resize=600%2C300" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://i2.wp.com/www.badtaste.it/wp/wp-content/uploads/2015/01/italiano-medio-banner-1.jpg?resize=600%2C300" height="225" width="460" /></a></div>
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L'italiano rimane "medio" perché non riesce a convogliare le spinte anti-capitaliste in un respiro di gruppo. Da un lato, i compagni "sovversivi" di Verme sono il movimento dei "Salmoni", un manipolo di complottisti con lo scopo patologico di andare "contro corrente", allegoria non troppo velata dei grillini allo stato brado. <b>Dall'altro la strategia dello spettacolo, innervata a doppio filo nell'esistenza occidentale, che spettacolarizza ogni lotta, <i>talentalizza</i> ogni attivista</b>. <b>Se la rivoluzione, parafrasando Gill Scott-Heron, sarà televisualizzata, non sarà più rivoluzione</b>. E' questo forse il messaggio amaro che ci lascia, consapevole o meno, il film di Maccio Capatonda. <br />
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<br />Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-2425603338306004352015-01-25T05:36:00.000-08:002015-01-25T05:36:10.204-08:00La Filosofia di Breaking Bad<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/tc0M0CnAR_VgpB10T08cGCli2UNXRJvihwZdkLb9EyxvES1Ap4RtLPj70qCGJvO-0BWfXxZMbKqXkQkCoa5XMKihFI3LT3saVozKi3nj8y5lxnoeHsc88qgv" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/tc0M0CnAR_VgpB10T08cGCli2UNXRJvihwZdkLb9EyxvES1Ap4RtLPj70qCGJvO-0BWfXxZMbKqXkQkCoa5XMKihFI3LT3saVozKi3nj8y5lxnoeHsc88qgv" height="400" width="297" /></a></div>
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Nel 2010 leggevo <b>Žižek</b>, criticavo serie-tv e ballavo <i>breakdance</i>: poi venne <b><i>Breaking Bad</i></b> e iniziai a scrivere di filosofia. Da quel dì, molti mi ringraziarono per averli instradati fra i cunicoli quella serie. Qui sono raccolte le mie recensioni dalla prima alla quinta stagione. Vi suggerisco di <b>fare attenzione anche alle immagini incorniciate</b> nel testo (parte del lavoro sottopagato del recensore online, ma anche parte integrante del ragionamento critico).</div>
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Ditemi se ci avevo preso ;-)</div>
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<a href="http://www.everyeye.it/serial/articoli/breaking-bad-stagione-1_first-look_11632" target="_blank">Breaking Bad - Stagione 1</a> (Primo Episodio feat. <b>Alfred Hitchcock</b>)<br />
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<a href="http://www.everyeye.it/serial/articoli/breaking-bad-stagione-2_recensione_11714" target="_blank">Breaking Bad - Stagione 2</a> (Stagione Completa feat.<b> Quentin Tarantino</b>)<br />
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<a href="http://www.everyeye.it/serial/articoli/breaking-bad-stagione-3_first-look_12247" target="_blank">Breaking Bad - Stagione 3</a> (Primo Episodio)<br />
<b><br /></b>
<a href="http://www.everyeye.it/serial/articoli/breaking-bad-stagione-4_first-look_14450" target="_blank">Breaking Bad - Stagione 4</a> (Primo Episodio<b> </b>feat.<b> Mark Rotkho</b><b>)</b><br />
<b><br /></b>
<a href="http://nexusmoves.blogspot.it/2012/08/breaking-bad-5-la-stregoneria-oggettiva.html" target="_blank">Breaking Bad - Stagione 5</a><b> </b>(Nota critica<b> </b>feat.<b> Antonin Artaud)</b><br />
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<a href="http://media-cache-ec0.pinimg.com/736x/8c/56/e1/8c56e179c5de912c73f7f96922ea8867.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://media-cache-ec0.pinimg.com/736x/8c/56/e1/8c56e179c5de912c73f7f96922ea8867.jpg" height="265" width="400" /></a></div>
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<b><br /></b>Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-14343947613773902222014-12-31T07:19:00.003-08:002015-01-02T02:01:26.379-08:00Have a new year #inCommunia: Bambaataa's Hip-Hop from 1981 to 2015<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghxoGVvs9PB9agSkEMU2oJeuzUdrQAvpnrEqX-0mLn0UONz8cF-Xbzw7xTfZY5TvT13W9aNN9OYQw2sbpm0vZncRzgSQrQReSJTzyoC9xK2kdA9xnCj31PYtwaC8x_DANUus7xmRM0xCUk/s1600/IMG_7079-001.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghxoGVvs9PB9agSkEMU2oJeuzUdrQAvpnrEqX-0mLn0UONz8cF-Xbzw7xTfZY5TvT13W9aNN9OYQw2sbpm0vZncRzgSQrQReSJTzyoC9xK2kdA9xnCj31PYtwaC8x_DANUus7xmRM0xCUk/s1600/IMG_7079-001.JPG" height="220" width="460" /></a></div>
<div class="separator" justify="" style="clear: both; text-align: <span style=;" text-align:="">
Ieri su <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Afrika_Bambaataa#Recognition" target="_blank">wikipedia</a> ho cambiato la storia di Afrika Bambaataa. Ho sostituito un "1" al posto dello zero di 1980, per indicare la data esatta in cui Bam suonò per la prima volta a Downtown Manhattan, inaugurando così quella spericolata pandemia culturale che va sotto il nome di Hip Hop. Nell'aprile di quell'anno presso il <b>Mudd Club</b> di TriBeCa, un locale adibito a galleria d'arte sotto la direzione di un giovane <b>Keith Haring</b>, <b>Fab 5 Freddy</b> e <b>Futura 2000</b> radunarono i migliori <i>graffiti artist</i> e <i>hip-hoppers</i> del Bronx e li fecero incontrare col nocciolo duro della <i>new wave</i> newyorkerse. Sebbene fosse un'occasione imperdibile, a Bam rodeva ancora per la pubblicazione del suo <i>Zulu Nation Throwdown</i>, <i>falsata </i>dall'inserimento di un riff strumentale ad opera di Paul Winley, il suo produttore di Harlem. Bam e i <b>Soul Sonic Force</b> avevano puntato su un beat espressamente sintetico, pneumatico, e le chitarrine dell'<b>Harlem Underground Band</b> inserite da Winley non c'entravano proprio un cazzo. Fatto sta che Bam suonò lo stesso quel pezzo e la gente andò su di giri e Fab 5 Freddy, strizzando probabilmente l'occhio ad Haring, promosse altre serate del genere a Manhattan. Ringalluzzito dalla faccenda, Bambaataa si mise a lavorare ad un nuovo pezzo con la neonata <b>Tommy Boy</b>, che l'anno successivo avrebbe sancito il punto di non ritorno nella storia dell'Hip-Hop: <i>Planet Rock</i>.</div>
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Mi piace pensare che in questo 2014 che sciorina via, sia stato sancito anche da noi un piccolo <i>turning point </i>nella storia della doppia H. In sedici anni di attività, ho visto sfumare e impastarsi centinaia di volti e di mosse, colare o scrostarsi altrettante parole, stili, immagini, suoni, vibrazioni, soprattutto vibrazioni. Da un paio d'anni a questa parte, l'immersione in questo flusso di cose non mi basta più: <b>è come essere incapsulati in un fiume di placenta lattiginosa, a cui non puoi che arrenderti e godere del suo tepore ombelicale, prima di essere espulso, un giorno o giù di lì, come scarto abietto. </b>E' questo che non mi piace dell'Hip-Hop e della sua comunità: che in finale, ci si debba rassegnare a scoprirsi obsoleti o ridicoli e lasciare spazio al "nuovo". Allo stesso tempo, credo che abbarbicarsi sui valori totemici e adamantini degli <i>originals</i> o dei pionieri non porti a nulla di buono, ma faccia soltanto impantanare il flusso.</div>
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La comunità, ecco la strada, la comunità è tutto quello che ci resta. In essa convivono scuole, temporalità e territori diversissimi. <b>L'Hip-Hop che vorrei vivere dovrà essere una lasagna di esperienze, non una minestra troppo calda o troppo fredda.</b> Sotto <a href="http://nexusmoves.blogspot.it/2014/11/how-to-build-scene-voli-la-comunita-di.html#.VKQTYiuG-2w" target="_blank">al ponte della musica</a> e poi a <b><a href="http://nexusmoves.blogspot.it/2014/12/how-to-build-scene-vol-2-e-ora-di-farlo.html" target="_blank">Communia</a></b>, abbiamo iniziato a costruire (<i>build</i>) la scena che vogliamo. <i><b>To build</b></i> - nel linguaggio dei <b>Five Percenters</b>, un'organizzazione nata ad Harlem negli anni 60 a cui dobbiamo il termine "cypher" - non significa semplicemente costruire materialmente ma anche sintonizzarsi affettivamente e intellettualmente. <i><b>How to build a scene</b> </i>(?)<i> </i>sarà dunque la domanda che dovrà tormentarci per tutto il prossimo anno, ma anche una strategia da perpertare.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2clVwkorpFijR1rPl4yYGJrcd2UnrbPq5Mbc6Kgzv470Kbo_hJOIyt_X0wXgvPEI6y2xNTSAd69b0mH1UZDz9PQBcvoV_1LDFvwk_o7UYLmnV0hhOPMKP8eFsGkIUgatiMl3-VKRi9WqU/s1600/Strategia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2clVwkorpFijR1rPl4yYGJrcd2UnrbPq5Mbc6Kgzv470Kbo_hJOIyt_X0wXgvPEI6y2xNTSAd69b0mH1UZDz9PQBcvoV_1LDFvwk_o7UYLmnV0hhOPMKP8eFsGkIUgatiMl3-VKRi9WqU/s1600/Strategia.jpg" height="200" width="460" /></a></div>
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E proprio con <b>Strategia</b> voglio iniziare questo nuovo anno <b>#inCommunia</b>. Si tratta di un evento promosso dal progetto <b>Califostia Underground </b>che prevede un battle collettivo di mixed style che sfrutta il simbolismo delle carte. In qualità di Assi, quattro ballerin* formeranno la propria squadra pescando dal "mazzo" dei partecipanti, per scontrarsi poi fino all'ultima carta in un torneo tutti contro tutti. Questo ritorno a forme di competizione sociali e comunitarie coincide con un ritorno negli spazi di lotta e autogestione che fra gli anni 80 e 90 sono stati il luogo di incubazione dell'Hip-Hop italiano.</div>
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Il 21 Settembre 1982 sul <i><b>Village Voice</b></i> di New York apparve il primo articolo dedicato alla doppia H, col titolo emblematico di <a href="https://books.google.it/books?id=KFUyjave3gUC&pg=PA12&lpg=PA12&dq=steven+hager+bambaataa&source=bl&ots=ou2Js5J2TV&sig=LJ1JB91DOckeeXUecBhA7nPsJ7E&hl=it&sa=X&ei=UceiVKXIHYKJPJHegZgO&ved=0CDEQ6AEwAg#v=onepage&q=mudd%20club&f=false" target="_blank">"<b>Afrika Bambaataa's Hip-Hop</b>"</a>. Il giornalista <b>Steven Hager</b>, nel ripercorrere le tappe dell'incontro fra il ghetto e Downtown, fra cui l'episodio del Mudd Club, si domandava se il nascente movimento avrebbe avuto lo stesso potenziale sovversivo delle contro-culture degli anni 60. A distanza di oltre 40 anni, la mancata politicizzazione <i>tout court</i> dell'Hip-Hop è stata al tempo stesso la sua salvezza e la sua rovina. Oggi, con una molteplicità di storie alle spalle e un patrimonio culturale transgenerazionale e transterritoriale, <b>è forse giunto il momento di rinverdire i rami conflittuali, resistenti e sovversivi insiti in questa cultura, affinché lo <i>stile </i>diventi davvero <i>l'arte marziale</i> con cui affrontiamo quella giungla d'asfalto che sovente chiamiamo vita.</b></div>
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Have a new year <i>in communia</i>, fellas.</div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-1312102931227478332014-12-22T01:58:00.000-08:002014-12-22T01:58:11.239-08:00«How to Build a Scene Vol. 2»: è ora di farlo in #Communia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3tIGGHTv1uES8fqZM4q0i8gNxWFLKD-Ac2f41aD3Jhqn4KbzyG5gpABdWn7Lu0oiHP1M6IgllDMEc_2Rd0CfcXfwIj8ReDPhh3Mcr7MtuWOOsIJwtAUZm0-W-GwQpDsiHsZxFMQ5abUOQ/s1600/GOPR0627.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3tIGGHTv1uES8fqZM4q0i8gNxWFLKD-Ac2f41aD3Jhqn4KbzyG5gpABdWn7Lu0oiHP1M6IgllDMEc_2Rd0CfcXfwIj8ReDPhh3Mcr7MtuWOOsIJwtAUZm0-W-GwQpDsiHsZxFMQ5abUOQ/s1600/GOPR0627.JPG" height="330" width="460" /></a></div>
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8 anni fa, dove oggi macina soldi Eataly, si frullavano passi di breakdance. Quando giunsi a Roma con l'obiettivo di spaccare tutto, il punto d'incontro della scena era infatti l'<b>Air Terminal</b>, l'ala periferica della stazione Ostiense, cattedrale della speculazione edilizia dei mondiali di Italia 90. Là dentro, lontano da ogni riflettore, prendemmo ad organizzare un evento chiamato <b>SPQR Underground</b>, un contest di breakdance 1vs1 completamente autogestito dove il vincitore raggranellava i soldi delle iscrizioni e, insieme al secondo e al terzo classificato, componeva la giuria dell'edizione successiva. Ricordo un'edizione con più di cento persone, con una grande partecipazione della scena napoletana. YouTube era appena nato e spulciando nella rete sono sicuro troverete qualche contributo. Ad ogni modo, sul finire del primo decennio 2000, l'Air Terminal chiuse improvvisamente i battenti. Da allora, diaspora: la scena romana non ha più avuto uno spazio di riferimento fisso. </div>
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Lo scorso 29 Novembre, presso lo <b>spazio di mutuo soccorso Communia</b>, con <b>Urban Force</b> abbiamo deciso di riportare in vita l'SPQR. Circa 16 b-boy (e ahimè nessuna b-girl) si sono dati battaglia per contendersi il titolo più underground di Roma. Dai 15 ai 30 anni, il battle ha visto scontrarsi generazioni e approcci diversi, portando al primo posto del podio <b>Jordi</b> (Free Stepz), seguito da <b>Plasm</b> e <b>Side</b>, che - come da regola - avranno l'onere e l'onore di organizzare e giudicare la prossima edizione.</div>
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Questo 29N ha sancito anche il ritorno di <b>«How to Build a Scene»</b>, il percorso di incontro e autorganizzazione della scena romana di <i>street dance</i> intrapreso ad ottobre al <b>Raw Muzzlez Anniversary, </b>e di cui potete leggere un report <a href="http://www.nexusmoves.blogspot.it/2014/11/how-to-build-scene-voli-la-comunita-di.html" target="_blank">qui</a>. Per oltre 2 ore, circa una quarantina di persone sono rimaste letteralmente incollate sul tappeto a scacchi per raccontare e raccontarsi la propria esperienza della "scena". Insieme allo zoccolo duro del breaking romano, c'era anche <b>Serio</b>, b-boy e dj storico della capitale, e gli esponenti di <b>Califostia Underground</b>, un progetto hip hop di riappropriazione della strada che coinvolge <i>street dancer</i> di molteplici stili. Quello che segue è il report di questo denso incontro, che non riflette l'andamento cronologico della discussione, ma tenta piuttosto di tirarne le somme, favorirne le future ramificazioni e, nel finale, rilanciare un nuovo incontro. <br />
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<b>Vinile o non-vinile questo è il dilemma.</b></div>
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Ricercare e collezionare vinili era una pratica culturale degli esponenti della cultura hip hop, non strettamente dei dj's. Metteva alla prova la volontà di conoscenza, stringeva legami sociali e tramandava la prassi dei primi dj del Bronx. Nell'epoca del <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Serato_Audio_Research#Vinyl_Emulation" target="_blank">Serato</a> e dello streaming a banda larga, la "generazione del vinile" sembra essersi scollata da quella attuale. Ciò si riflette anche nella danza urbana, influenzando non solo i gusti musicali, ma anche l'approccio al ballo, alla cultura e persino all'abbigliamento. Ma piuttosto che rivendicare un illusorio ritorno alle origini, rischiando di imporre dogmi normativi che irrigidiscano l'evoluzione della cultura, <b>si è preferito insistere sull'approccio comunitario e positivo verso le pratiche hip hop, evidenziando come, anche attraverso approcci diversissimi, molti e molte di noi partecipano e contribuiscono da anni allo sviluppo della medesima scena. </b></div>
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<b>Dio è morto, Crash Kid è morto e anch'io mi sento poco bene.</b></div>
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La generazione a cavallo del nuovo millennio è cresciuta attorno a un vuoto. Lo scollamento con i "delusi" dalla nuova scuola e la scomparsa dalle scene, metaforica o letterale, di elementi di spicco della <i>old school</i> (fra tutti, qui a Roma, <b>Crash Kid, che venne a mancare nel 1997</b>), ha rappresentato per molti e molte di noi una scalata in solitaria. Da un lato siamo incappati in trappole e misconoscimenti che hanno diviso e indebolito la scena, dall'altro abbiamo sviluppato un senso di responsabilità e affettività per la generazione presente e futura. Se in passato, chi era in odore di 30 appendeva le <i>sneaker</i> al chiodo, oggi non è più così. <b>Dopo anni di negoziazione del trauma, siamo in grado di rinsaldare un filo inter-generazionale che assicuri ai neofiti di partire da quella piattaforma di lancio che a molti di noi è mancata. È il momento inoltre di abbattere i muri fa il mondo dei <i>b-boy</i> e il ghetto delle <i>b-girl</i>, che vantano e rivendicano la maturità e le capacità di fare scuola, e di farlo "al femminile".</b> In virtù di questa continuità, il principio "each one teach one" può davvero guidarci per diventare corresponsabili dell'andamento della scena, senza lasciare indietro nessuno. </div>
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<b>Più di una crew: un progetto.</b></div>
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L'ultima parte dell'incontro ha visto protagonista <b>Califostia Underground</b>, un progetto Hip Hop situato prevalentemente ad Ostia che comprende <i>street dancer</i> provenienti da diverse crew e generazioni. Attraverso la promozione di eventi "in strada", la realizzazione di spettacoli e la produzione di reportage video, i Califostia si sono confrontati sui temi dell'autoproduzione, della promozione culturale e sociale dal basso e sul modo di vivere l'Hip Hop e la strada in maniera inclusiva e positiva. E' emersa quindi <b>la necessita di trovare una strategia organizzativa</b> affinché i diversi soggetti della scena siano da un lato aggiornati riguardo ai reciproci progetti e iniziative, e dall'altro si uniscano fra loro <b>per sviluppare progetti più complessi legati all'approfondimento culturale e stilistico, alla promozione di eventi e luoghi genuinamente underground e</b> allo sviluppo di esperienze analoghe a quelle di Califostia, <b>che sappiano incanalare la forza della scena per fini sociali e comunitari.</b></div>
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="345" src="//www.youtube.com/embed/videoseries?list=PLw0SkSs8nB7nWMzhwQCeegP7jrepIYIh3" width="460"></iframe></div>
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<b>Il collettivo di Communia è rimasto folgorato dalla passione e dalla genuinità emanate dalla nostra assemblea.</b> Si tratta di un processo di autorganizzazione e confronto orizzontale che, a memoria dei presenti, <b>non si era mai verificato nella storia dell'Hip Hop italiano</b>. Una comunità, la nostra, che è certamente minoritaria a livello territoriale ma che vanta una storia e una ramificazione planetaria senza precedenti. Il potenziamento stilistico e culturale delle quattro discipline Hip Hop sommato alla dedizione decennale con cui molti e molte di noi si sono spesi/e per la scena, <b>offrono oggi la possibilità di risvegliare una dimensione assopita, che è stata parte integrante delle origini di questa cultura: quella di <i>movimento</i>.</b></div>
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<b><b>Per questo Communia ci invita ad organizzare un evento mensile (preferibilmente serale) da poterci autogestire in base alle nostre esigenze</b>. </b>Al contrario della consueta "regalia" offertaci da spazi privati o da associazioni pseudo-sociali e gerarchiche, a Communia abbiamo la possibilità di negoziare un nostro percorso e confrontarci con altre realtà che rivendicano come noi il diritto a riappropriarsi della "cultura di strada", in maniera positiva e partecipativa.</div>
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<span style="color: #cc0000;"><b>Invitiamo le persone presenti all'assemblea di Communia</b> </span>(o a quella precedente, presso il Ponte della musica), <b><span style="color: #cc0000;">ad incontrarci il prima possibile per elaborare un progetto di serate che partirà da gennaio con cadenza mensile</span></b>. Potete comunicare la vostra adesione e le date in cui siete disponibili, contattandomi in privato o lasciando un commento qui sul blog.</div>
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<i></i><br />
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<i><i><b>Com'on fellas: </b></i></i><br />
<i><b><i><b>let's build it!</b></i></b></i><br />
<i><b><i><b><br /></b></i></b></i>
<i><b><i><b><br /></b></i></b></i></div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-89569336350745715732014-11-21T03:41:00.000-08:002014-11-21T06:15:17.106-08:00«How to build a scene Vol.I»: la comunità di breaking prende parola<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4at0vPynaUk-RaHrRjEMyXvQJNQO5ftjfhIoBo-rMBRW77l97EJ8RaqQkSoUhceHO7ZNnKpBlsywpG34US_xkVfLWxeZYQ0UDc2soo8tbGjJjoBm9q7xpysi8g9IXy_CA9YoZAvWTcnTx/s1600/Raw_Muzzlez_Anniversary_2014-001.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4at0vPynaUk-RaHrRjEMyXvQJNQO5ftjfhIoBo-rMBRW77l97EJ8RaqQkSoUhceHO7ZNnKpBlsywpG34US_xkVfLWxeZYQ0UDc2soo8tbGjJjoBm9q7xpysi8g9IXy_CA9YoZAvWTcnTx/s1600/Raw_Muzzlez_Anniversary_2014-001.jpg" height="220" width="460" /></a></div>
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Ad ottobre, presso l’inosservato lungofiume all’ombra del Ponte della Musica, un manipolo di b-boy e b-girl hanno posato le chiappe in circolo e iniziato a...parlare. L’incontro si è svolto all’indomani del <b><i>Raw Muzzlez Anniversary</i></b>, un evento volutamente “clandestino” che <a href="http://nexusmoves.blogspot.it/2013/11/raw-muzzles-anniversary-2013-fame-di.html#.VG8jE_mG-2w" target="_blank">una volta all’anno</a> tramuta la monotonia del sottoponte capitolino in un’arena di scontro fra i più agguerriti/e <i>street dancer, </i>da Roma e dintorni, fino a Bari. Seppellite le asce di guerra, il pomeriggio seguente i <a href="https://www.facebook.com/rawmuzzlez?fref=ts" target="_blank">Raw Muzzlez</a> hanno convocato le crew e i personaggi di spicco della scena romana, per un confronto <i>vis-a-vis </i>incentrato su una domanda da un milione di dollari: <b>come si ri-costruisce una scena? </b>Nonostante la domanda avesse potuto dare spago a masturbazioni a quattro mani sui “bei tempi andati” o a fenomeni di caccia alle streghe in nome del “Da Real”, tutto ciò è morto sul nascere e la discussione, spesso imbizzarrita e condotta a briglie sciolte, ha dato dei risultati molto concreti e che tenterò di organizzare. <b>Quello che segue è il frutto del primo ragionamento collettivo svolto dalla comunità di breaking di Roma e, a memoria personale, la sua prima dichiarazione di intenti scritta.</b></div>
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<b>Each one teach one</b><o:p></o:p></b><br />
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Non si nasce imparati, ma insegnando si impara. Sul piano della formazione e della cultura, esiste una spaccatura fra “esterofili” ed “italiofili”. C’è chi vede nel famoso estero (dall’ Europa del nord fino alla buona vecchia New York) l’esempio ideale di cultura del breaking, mentre altri lamentano la mancanza di attenzione verso il nostro patrimonio nazionale <i>old</i> e <i>new school</i>. L’estremismo è in entrambi i casi sintomo di chiusura culturale e sociale. <b>La proposta è quella di abbassare la timidezza, ed ingaggiare dialoghi costruttivi fra b-boy e b-girl per intrecciare i propri saperi individuali.</b> Da un lato si invita all’intraprendenza, alla ricettività e al rispetto da parte di chi ingaggia una discussione; dall’altro si chiede un atteggiamento di umiltà, apertura e positività da parte del soggetto interpellato. Organizzare e partecipare a workshop e conferenze offre l’ambiente ideale per una formazione bidirezionale, ma è altrettanto basilare il confronto informale ed estemporaneo in occasione di party, jam e altre situazioni in cui ci si incontra. <o:p></o:p></div>
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<b>L’appetito vien ballando</b><o:p></o:p></div>
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Il confronto non può avvenire solo a parole, e la creazione di un ambiente formativo deve essere accompagnata dal rilancio di eventi genuinamente Hip Hop. Partendo dal fatto che, attraverso diverse prospettive, tutti i presenti alla discussione concepiscano il breaking come una pratica sotto-culturale e non semplicemente come un’attività sportiva/espressiva, si ribadisce che il confronto nel cerchio (<i>cypher</i>) sia la dinamica privilegiata per rilanciare la scena. In particolare, <b>la sfida (<i>battle</i>) fra individui e crew non è si basa su principi di “competizione”, ma rappresenta un momento di ulteriore incontro e accrescimento volto a migliorare tutta la comunità e mai per innalzare di grado un singolo o un gruppo.</b> È poi necessario prestare maggiore attenzione verso i soggetti che organizzano gli eventi. Conoscerne il background e le dinamiche organizzative, può e deve incoraggiare a non partecipare o a boicottare quelle manifestazioni che si sono distinte per l’esclusivismo economico e culturale, la gestione malsana e non trasparente. Al contrario, la proposta è quella di <b>creare un collegamento permanente fra gli organizzatori di eventi che partecipano attivamente alla scena</b>, per evitare la sovrapposizione di date e supportare collettivamente le varie iniziative.<br />
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<b><i>B-girl</i> non è <i>b-boy</i></b> </div>
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Non esiste una scena “in generale”. Essa è composta prevalentemente da uomini (<i>b-boy</i>) ma anche da donne (<i>b-girl</i>). <b>Usando nella terminologia comune il termine “b-boying” e “b-boy” come sinonimo di “breaking” e “street dancer”, nella nostra comunità il valore della componente femminile viene implicitamente messo in disparte</b>. Inoltre, il trattamento che subisce una b-girl neofita è molto diverso rispetto al suo corrispettivo maschile: <b>(1)</b> perché è una componente minoritaria all’interno della comunità (il rapporto è circa uno a cento) e <b>(2)</b> perché l’approccio psico-fisico della <i>b-girl</i> nei confronti della disciplina, è diverso da quello di un <i>b-boy</i>. Proponiamo di fare maggiore attenzione alle esigenze delle donne e rivendicare l’esistenza di una differenza che sia fonte di arricchimento sociale e culturale e non di esclusione e sopruso.<o:p></o:p></div>
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Riconoscendo la parzialità di queste idee e proposte, la nostra crew <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Urban_Force" target="_blank">Urban Force</a></b> rilancia il secondo volume di «How to build a scene», in cui il collettivo <b><a href="https://www.facebook.com/CalifostiaUnderground" target="_blank">Califostia Underground</a> </b>presenterà e discuterà il proprio <b>progetto di riappropriazione delle strade</b> <b>attraverso la street dance</b> e sarà un’ulteriore tematica di discussione oltre all’approfondimento di quelle affrontate precedentemente.</div>
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L’incontro si svolgerà presso lo spazio di mutuo soccorso <b>Communia</b> in via dello Scalo San Lorenzo 33, <b>Sabato 29 Novembre 2014</b> alle ore <b>19.30 </b>e sarà<b> </b>all’interno di <b>«Communia State of Mind»</b>, una giornata interamente dedicata al breaking e alla street dance. Il pomeriggio è previsto un battle di breaking 1vs1, e dopo la discussione, una cena sociale e un after-party per ballare fino a tarda notte. Tutte le iniziative dell’evento sono pubbliche e l’ingresso è ad offerta libera per sostenere la riqualificazione dello spazio ospitante.</div>
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<i>Lace your shoes, lace your minds</i>.<br />
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Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-241791900808624342014-11-09T08:24:00.000-08:002014-11-09T08:25:19.644-08:00Interstellar: Umano troppo (post)Umano<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgO5IsVURc7ZXx6b_mi26r7HbmzrxUTyJjqce3trMYT60ciV-6NzELln9DgkChVb6hK8QjIfnb3_CGf19ZUa930LprpE8Z69AqRZfGodHY99KVcgawabCLkk8kGEopeyQ9_hyvGjDGpB3Zr/s1600/Interstellar_McConaughey.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgO5IsVURc7ZXx6b_mi26r7HbmzrxUTyJjqce3trMYT60ciV-6NzELln9DgkChVb6hK8QjIfnb3_CGf19ZUa930LprpE8Z69AqRZfGodHY99KVcgawabCLkk8kGEopeyQ9_hyvGjDGpB3Zr/s1600/Interstellar_McConaughey.jpg" height="220" width="460" /></a></div>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; text-align: justify;"><br /></span>
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<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Ieri ho riesumato un vizio seppellito da tempo: andare al cinema da solo. Galvanizzato da un ciclo anarchico di proiezioni casalinghe composto da<i> <a href="https://www.youtube.com/watch?v=BGW8RZ0X7w0" target="_blank"><b>Evangelion 3.0</b></a></i></span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">, <i><b>Johnny Mnemonic</b></i>, <i><b>Hellsing</b></i>, <i><b>Gravity</b></i> e <i><b>Robocop</b> </i>(quello del 1987) sono salpato in direzione del cinematografo a me più prossimo per visionare <i>Interstellar. </i>In questo film,<i> </i><b>Christopher Nolan</b>, regista cult per aspiranti-tesisti di teoria del cinema, arruola <b>Matthew McConaughey</b>, attore cult per aspiranti-tesisti di fonetica anglo-americana e <i><b>True Detective</b></i>, e lo spara nello spazio per quasi 3 ore. Perché - #sapevatelo - il tempo è relativo. Siamo al cospetto del classico plot alla Nolan: <b>(a)</b> un tizio intraprende una missione per salvare il mondo; <b>(b)</b> il tizio scopre che il mondo non esiste; <b>(c)</b> lo spettatore non ci capisce più una mazza e <b>(d)</b> ah ma l'avevo capito fin dall'inizio! Inoltre, come ogni film-sullo-spazio che si rispetti<i>, Interstellar</i> cade nelle fauci di una categoria di cinefili che da anni lotta contro l'estinzione: i nostalgici di <i style="font-weight: bold;">2001: Odissea nello spazio, </i>che vi spingeranno a raffazzonare acrobatici paragoni col conclamato film di Kubrick. Volente o Nolante. Così, infestato da frotte di cliché e caricato di investimenti libidici collettivi, <i>Interstellar </i>ha tutte le carte in regola per per seguire l'infamoso <b><i>Batman: il ritorno del cavaliere</i> <i>oscuro</i></b> nella tenda del Grande Capo <a href="https://www.youtube.com/watch?v=P6jBk4RtgLw" target="_blank">#Estiqaatsi</a>.<i> </i>E invece no. Questo BigMaConaughey di Nolan l'ho gradito, digerito ed espulso così:</span></span><br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf1elzjCK7u030hRIW_MNRfj7DTFz-L5g7mdhTymlDXWMn3gMcOAZuqtrC_uMOuJV8oZC176xbnewRfyqJcd_DOK7QmsddKqfL7mienw8Pol6kXPqBQt4dDBgmFEDizG0pJ2lZPuhyphenhyphenbQUQ/s1600/Interstellar_WormHole.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf1elzjCK7u030hRIW_MNRfj7DTFz-L5g7mdhTymlDXWMn3gMcOAZuqtrC_uMOuJV8oZC176xbnewRfyqJcd_DOK7QmsddKqfL7mienw8Pol6kXPqBQt4dDBgmFEDizG0pJ2lZPuhyphenhyphenbQUQ/s1600/Interstellar_WormHole.jpg" height="186" width="460" /></span></a></div>
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<b><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><b>1. Il postumano</b> <i> </i> </span></b></div>
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<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Piuttosto che menarcela col noto stereotipo dell'uomo-cyborg o de<i>r</i> <i>Matrix</i>, l'oltreuomo di <i>Interstellar</i> non rinuncia alla vera natura del proprio corpo o della realtà, bensì al tempo. La missione dei protagonisti è quella di esplorare nuovi pianeti su cui trasferire il genere umano, minacciato da un'epidemia che sta rendendo impossibile la produzione di cibo sul vecchio pianeta terra. La spedizione è possibile grazie alla comparsa di un buc(i)o inter-dimensionale che bazzica l'orbita di Saturno e offre una scorciatoia di svariati anni luce verso 12 mondi probabilmente abitabili. <b>Tuttavia, l'imbocco di questa tangenziale interstellare genera gli stessi effetti collaterali dell'ingresso nella Salerno-Reggio Calabria: qui il tempo scorre molto più veloce rispetto alla terra.</b> Ad esempio, se ti fermi 1 ora in autogrill perdi 7 anni di vita sul nostro pianeta. Il viaggio di McConaughey e del suo equipaggio non è semplicemente contro il tempo, ma contro la barriera fra tempo e spazio. Ben presto si instaurano due regimi spazio-temporali (quello terrestre e quello interstellare) per poi moltiplicarsi, coagularsi ed alimentare la summenzionata fase <b>(c)</b>. Mentre nel film di Kubrick l'oltreuomo è visivamente associato dalla purezza di figure geometriche e monolitiche (il parallelepipedo nero, la calotta ovoidale del casco, l'embrione), qui <b>la figura di riferimento è l'incrocio delle linee</b> (le linee del codice morse, le curvi(linee) gravitazionali, la matrice di linee della quinta dimensione). L'esistenza postumana come tessitura cooperativa di spazio-tempo è inscritta anche nel nome del protagonista: Cooper (co-op-er), letteralmente "l'essere cooperativo" (dove in Kubrick invece era "Bow-man", l'uomo arco proiettato senza ritorno). Propinando un pallino che risale ai tempi di <i><a href="https://www.youtube.com/watch?v=-WhKt_CkXD0#t=133" target="_blank">Doodlebug</a></i>, la quinta dimensione post-umana è rappresentata da Nolan come un'infinita matriosca di rispecchiamenti eterotopici (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Eterotopia_(filosofia)" target="_blank">eteroché?</a>). Brillante blingbling computergrafico, sul piano del pensiero visuale è una soluzione deludente: da buon italiano, la Quinta l'avrei vista meglio come una melassa ingarbugliata di pappardelle al cinghiale, ma tant'è.</span><br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMLyzL9smq5uNH0xEsUrsU0_kag-T2XL9GYSxE8QWlawW_xFSTkQaWA8sux2jiLjK3AHfLqcsQkTkOpNirg8YKumlcwdCgHLygnQkO2mOde8gcLoH9YOVYJ-8FXNMHD3nKIweCmgllbmUb/s1600/Interstellar_Murph_Cooper.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMLyzL9smq5uNH0xEsUrsU0_kag-T2XL9GYSxE8QWlawW_xFSTkQaWA8sux2jiLjK3AHfLqcsQkTkOpNirg8YKumlcwdCgHLygnQkO2mOde8gcLoH9YOVYJ-8FXNMHD3nKIweCmgllbmUb/s1600/Interstellar_Murph_Cooper.jpg" height="293" width="460" /></a></div>
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<b><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">2. Il fantasma</span></b><br />
<b><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></b></div>
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<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><b>«Siamo i fantasmi del futuro dei nostri figli</b></span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><b>»</b>.</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> Provate a dire questa frase a vostra figlia di 10 anni prima di partire per un viaggio di 124 anni nello spazio e vedrete se non vi ci manda direttamente lei a quel paese. In </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Interstellar</i><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"> ciò non accade. In un finale alternativo da me ipotizzato, scopriamo infatti che durante le notti di luna piena la genialoide figlia di McConaughey (Murph) legge </span><b style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><i>Aldilà del principio di piacere</i> di Freud</b><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"> e grazie ad esso salva il mondo. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">«</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">È grazie alla presenza fantasmatica dell'Altro che noi possiamo spingerci aldilà dell'orizzonte dato, aldilà persino del piacere</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">», direbbe la mia Murph alternativa</span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Il film invece va a parare da tutt'altra parte e cioè: il compito dei genitori non è vegliare sui propri figli ma guardare oltre la propria esistenza sospinti dall'amore blablabla. Se da un lato vogliono darci a bere che la corrispondenza d'amorosi sensi di Foscolo si basi sulle leggi della fisica quantistica, dall'altro tutto questo amore è sostanziato da una grassa dose di menzogne. Almeno il 10% per l'esattezza, che corrisponde al fattore di sincerità su cui è impostato TARS, l'Intelligenza Artificiale che accompagna Cooper et al. nella missione. <b>A differenza del pluriparagonato Al 9000 di <i>Odissea nella spazio</i>, TARS è un robot e non una specie di entità ubiqua.</b> Composto da una serie di parallelepipedi componibili, è </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">capace di mutare la propria forma per adattarsi all'ambiente e, nonostante l'obbedienza para-militare agli ordini umani, rivelerà un grado di comprensione oltre ogni antropomorfa immaginazione. La corporeità sintetica dei personaggi, tendente all'<i>action figure</i> piuttosto che all'<i>action movie</i>, è in linea con un dato significativo proveniente dagli studi cognitivi: il nostro corpo è una costruzione fantasmatica: può contrarsi, estendersi e molecolarizzarsi a seconda delle situazioni in cui siamo immersi. Durante le prime fasi del lancio, Cooper disabilita i comandi automatici perché "vuole sentire" la gravità attraverso il corpo dell'astronave, o come dicono i motociclisti della domenica, vuole "sentire l'asfalto". La nostra è un'esistenza <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Somatosensory_system" target="_blank">somatosensoriale</a>, non si scappa.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"><br /></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5xRhP9a_8qadyL24O1ZWgKqeyp8U1KeZ0krPxXpMnLYK3iJ61XYr2vmfZ2UF65jkR29FlnW48mIyH2b4Uch2ob_7W4kI_rQaMcgbRDsAasQjVHs7v5j0ul7KqhXD1U9zf0chLf8AsI9dd/s1600/Interstellar_cover_warmhole.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5xRhP9a_8qadyL24O1ZWgKqeyp8U1KeZ0krPxXpMnLYK3iJ61XYr2vmfZ2UF65jkR29FlnW48mIyH2b4Uch2ob_7W4kI_rQaMcgbRDsAasQjVHs7v5j0ul7KqhXD1U9zf0chLf8AsI9dd/s1600/Interstellar_cover_warmhole.jpg" height="220" width="460" /></a></div>
<b><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">3. </span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">È domenica!</span></b></div>
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<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">E invece di lavorare al progetto di ricerca, scrivo recensioni in cui infilo i temi del mio progetto di ricerca. C'è di buono che ho imparato a scrivere "McConaughey" senza fare copia/incolla da Wikipedia. #sosoddisfazioni. <i style="font-weight: bold;"> </i></span></div>
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> </span><br />
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</span> Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-18528227562850663932014-10-22T03:39:00.000-07:002014-10-22T03:39:14.803-07:00La Filosofia di #LcomeAlice: autoproduzione, ecologia del sé ed esistenzialismo steampunk<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgq78l7iKFKWVn6AA5QQSe6BPnukhJ1diCql3a-4suatNx5CdD0SSYWE_l7rn1FWfPZmUKVWUlAkhTi3JtdRUXbXD2CvU7dJJBKD9KBLiRugk2vOfA5zH5uzOmvUzjOo_FhJvMFOODy0I5L/s1600/Diapositiva7.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgq78l7iKFKWVn6AA5QQSe6BPnukhJ1diCql3a-4suatNx5CdD0SSYWE_l7rn1FWfPZmUKVWUlAkhTi3JtdRUXbXD2CvU7dJJBKD9KBLiRugk2vOfA5zH5uzOmvUzjOo_FhJvMFOODy0I5L/s1600/Diapositiva7.JPG" height="250" width="460" /></a></div>
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<b><i>Alice nel paese delle meraviglie</i> può rappresentare un paradigma di autoproduzione conflittuale?</b> A distanza di 2 mesi dalla conferenza che ho svolto allo <b>Steamfest</b> di Roma, mi sembra che questa domanda condensi il succo del discorso. Con <a href="http://www.nexusmoves.blogspot.it/p/l-come-alice.html" target="_blank"><b><i>#LcomeAlice</i></b></a>, il progetto di transmediale che abbiamo inaugurato lo scorso anno, stiamo sperimentando un percorso che leghi mutualmente la ricerca teorico-artistica alle forme di strategia politico-produttiva. In ballo c'è una concezione ecologica della soggettività collettiva e individuale. Invece di una storia, di Alice abbiamo generato un'archeologia che ricostruisse (e immaginasse) gli innumerevoli attraversamenti di cui è composto questo personaggio.<b> Ci siamo accorti che la condizione frammentaria ma "esistenziale" di Alice, rispecchia quella dell'attore/autore e in primis quella della nostra coscienza soggettiva.</b> Se dentro e contro il palcoscenico abbiamo deliberatamente piazzato delle trappole, a livello produttivo ci siamo mossi reticolarmente, co-determinando il lavoro tramite l'incontro creativo e politico con altri soggetti. Inoltre, attraverso l'attraversamento di più piattaforme media, vorremmo promuovere una concezione altrettanto ecologica di spettatore/trice: non più il soggetto cartesiano intabarrato nel buio della sala, ma un agente situato che deve esplorare #LcomeAlice come in un parco giochi, se vuole cavarne il senso dal buco (o un buco dal senso!). </div>
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="259" src="//www.youtube.com/embed/xYEuBDHs5Vc" width="460"></iframe></div>
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Qui sopra <b>la registrazione della prima parte della conferenza</b>, con annesse immagini e un'estratto dello spettacolo. Per una breve panoramica degli argomenti toccati, qui sotto trovate una divisione per capitoli tematici con relativo minutaggio. Buon divertimento e fatemi sapere cosa ne pensate! ;-) </div>
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<b>(02: 40)</b> Intro: <i>Aetheric Mechanics</i> di Warren Ellis; <b>(06:20)</b> Esistenzialismo steampunk e Alice; <b>(06:53)</b> Fredrich Kittler e la macchina da scrivere di Nietzsche; <b>(09:05)</b> La coscienza come lanterna magica/camera oscura feat. <i>Men In Black </i>e robbottoni; <b>(12:26)</b> Carmelo Bene e il divenire-Watson; <b>(14:00)</b> Le trappole esistenziali di #LcomeAlice; <b>(14:30)</b> Lewis Carroll, la fotografia e storytelling transmediale ante-litteram; <b>(18:33)</b> Alice nel cinema feat. Walt Disney, Betty Boop, Alice Madness, Claude Chabrol, Jan Svankmajer; <b>(21:00)</b> La riattualizzazione della Fantasmagoria e del Pepper's Ghost in #LcomeAlice; <b>(25:00)</b> Steampunk, zombie media e materialismo; <b>(26:48)</b> #LcomeAlice: autoproduzione/gestione, hacktivismo e spazi sociali. <i> </i> </div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-2859805956128174672014-09-13T03:26:00.002-07:002014-09-13T03:26:35.375-07:00Conferenza su #LcomeAlice, prossimi eventi e l'infamoso libro sulla Breakdance<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifu2IQ2D3ZX7zptmUwOZj7zwCr9gqVr5ZlOfWvpWIP9bUDBKZhFiFda66Qy7S7co2rJGCs21F-z9nCkyhluIlOOuKq0BWoGxSxozGfB1z0Nng8jK0jr6naGVa_jJhQ2q-vRfuo6fzGbHfc/s1600/LcomeAlice_Street.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifu2IQ2D3ZX7zptmUwOZj7zwCr9gqVr5ZlOfWvpWIP9bUDBKZhFiFda66Qy7S7co2rJGCs21F-z9nCkyhluIlOOuKq0BWoGxSxozGfB1z0Nng8jK0jr6naGVa_jJhQ2q-vRfuo6fzGbHfc/s1600/LcomeAlice_Street.jpg" height="220" width="460" /></a></div>
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Warren Ellis vs Friedrich Nietzsche; Sherlock Holmes vs Carmelo Bene; Alice (quella della Disney) vs Alice (quella del Videogame); Lewis Carroll vs Antonin Artaud; Steampunk vs Teatro & Videoarte. E ancora: cyborg militanza, archeologia dei media, hacktivismo, cognizione incarnata, e tante, tantissime domande. Questa sarà la conferenza su <i style="font-weight: bold;"><a href="http://www.nexusmoves.blogspot.it/p/l-come-alice.html" target="_blank">L come Alice</a></i><b style="font-weight: bold;">, </b>il progetto di transmediale steampunk, che terrò <b>domani 14 Settembre alle 18.00</b> presso lo<b style="font-weight: bold;"> <a href="http://www.steamfest.it/" target="_blank">Steamfest Roma</a></b><b>, all'ex mattatoio di Testaccio.</b></div>
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In mattinata, sempre domani (!), svolgerò un <b>workshop di breakdance</b> in compagnia del resto della crew, <b><a href="https://www.facebook.com/UrbanForcecrew" target="_blank">Urban Force</a>, </b>presso l'Energy Fitness Club di San Cesareo (Rm). La giornata sarà interamente dedicata alla <i>breaking culture, </i>e nel pomeriggio seguiranno sfide, showbattle e cerchi aperti. D'altronde il nome dell'evento è <i><b><a href="https://www.facebook.com/events/282799865240346/?fref=ts" target="_blank">smoKING</a></b></i>, un'abile gioco di terminologia slang per scovare chi fumerà (cioè batterà) il numero più alto di b-boy/g-girl, affermandosi come King o Queen della giornata. </div>
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Inoltre ho ripreso la lavorazione del mio <b>libro incentrato sulla storia della breakdance</b>. A distanza di due anni dall'apertura dei cantieri, l'edificio narrativo è molto lontano dal suo completamento ma le fondamenta storico-stilistiche sono ben radicate. Probabilmente il titolo non sarà più quello proposto inizilmente (Be-girl), ma la protagonista rimarrà assolutamente una <b>b-girl</b>. Rimane anche la volontà di narrare una storia <b>sotto forma di romanzo</b>, anziché propinare un saggio storico, e dare spago agli araldi del <i>tu-non-c'eri-mica</i>. Anzi, la componente finzionale lambirà terreni molto scoscesi mescolando<b> thriller, fantasy, <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Afrofuturism" target="_blank">afrofuturismo</a></b> e chissà, magari anche un po' di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Wuxia" target="_blank"><b>wuxia</b></a>. Per il resto, rimango assetato di <b>storie riguardanti b-girl italiane attive negli anni 80 e nei primi anni 90</b>: se ne conoscete qualcuna, di storia o di b-girl, inviatemi un piccione viaggiatore a <a href="mailto:nexusmoves@gmail.com">nexusmoves@gmail.com</a>.</div>
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L'assenza dalle pagine di codesto blog, e l'inusuale presenza di contenuti tramite la mia <a href="https://www.facebook.com/nexusmoves" target="_blank">Pagina Facebook</a> e <a href="https://twitter.com/Nexusmoves" target="_blank">Twitter</a> è dovuta alla preparazione di questa e altre iniziative che spero di poter trasferire qui su <u>nexusmoves.com</u> per poterle commentare assieme. </div>
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E ora se volete scusarmi, torno a <i>sturare</i> un po' di appunti. </div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-41911737757210486252014-07-24T02:21:00.001-07:002014-07-24T02:21:55.100-07:00Di come Urban Force si incontrò a Hip Hop Connection<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfRWrSaR-3gtBu7LtlKgxnMFm3qNK8vEXYN0WAuG3-C10IV0Turdf56lUmKOiYh9poOWXCm5hvMi9yf3oB1mL8mzMB06AA2ew1a1skToBu_bZziUQS9HcB4b2-S39oK1_hMOUr1avnAy2S/s1600/UrbanForce_2005.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfRWrSaR-3gtBu7LtlKgxnMFm3qNK8vEXYN0WAuG3-C10IV0Turdf56lUmKOiYh9poOWXCm5hvMi9yf3oB1mL8mzMB06AA2ew1a1skToBu_bZziUQS9HcB4b2-S39oK1_hMOUr1avnAy2S/s1600/UrbanForce_2005.jpg" height="310" width="460" /></a></div>
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Nel gruppo c'era un tipo che tirava qualche Thomas, un ragazzino che saltava sulla mano e una manciata di altri pischelli, più o meno volenterosi. Servivano <i>powermove</i> e <i>clash,</i> ed entrammo in gioco noi. <b>Nacque la seconda generazione Urban Force.</b></div>
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Un passo indietro. Nell'agosto 2004 ero a Pesaro per partecipare ad un contest che avevo scoperto due anni prima: <b>l'Hip Hop Connection</b> (HHC). Un'altro passo indietro. Nell'agosto 2002, incontrai un ometto stempiato intento a provare dei <i>ninetees</i> lungo una traversa del lungomare pesarese. Diceva di avere 28 anni, ma aveva i 'quaranta' nel sangue, ed era un allievo di <b>Carlo Dc Ace</b>, uno storico b-boy della old school che rivaleggiava con personaggi del calibro di <b>Next One</b> e <b>Crash Kid</b>. La sua mossa preferita, che era poi la favorita del suo maestro e sarebbe diventata anche la mia, era la "corona". Conosciuta oltreoceano col nome di <i>halo</i> (aureola), questa mossa prevede la rotazione del corpo attorno alla circonferenza testa, grazie alla spinta coordinata di mani e gambe, giro dopo giro. La corona è una variante sghemba del giro sulla testa, una rotazione su di un asse obliquo quanto precario: dovevo impararla. L'estate 2002 fu l'estate della corona e a settembre ingranai i primi giri. Da quell'anno in poi, frequentai assiduamente HHC e strinsi una solida amicizia con l'omino delle corone e il suo compare più smilzo,<b> Monsa</b> e <b>Ippo (Zinko)</b>, che insieme a <b>Chrystelle</b> organizzavano l'evento.</div>
<a name='more'></a><br />
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="http://www.hiphopconnection.it/hhc/hhc_arena/wp-content/uploads/2012/01/locandina2piccola1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="http://www.hiphopconnection.it/hhc/hhc_arena/wp-content/uploads/2012/01/locandina2piccola1.jpg" height="320" width="226" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Locandina di HHC 2.<br />Sullo sfondo, Dc Ace che fa "corona".</td><td class="tr-caption" style="text-align: center;"></td><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr>
</tbody></table>
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Torniamo al 2004. Era il mio terzo HHC, e "quest'anno" avevo deciso di competere seriamente nonostante non avessi una crew. Avevo partecipato anche nel 2003, con un gruppo composto da allievi degli <b>EAD</b> <b>(Escuela Antigua Disciples)</b>, di cui Monsa e Ippo facevano parte, e con cui perdemmo ai quarti finale. Quello sarebbe stato il miglior piazzamento ottenuto a HHC sino al 2008, quando con Urban Force cademmo sotto i colpi degli americani <b>Mind 180</b>, per poi aspettare il 2013 e <a href="http://nexusmoves.blogspot.it/2013/07/hip-hop-connection-beach-2013-reportage.html" target="_blank">vincere l'edizione "BEACH"</a>.</div>
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Insomma, <b>nel 2004 non avevo idea della ripida scalata che si parava dinanzi alla mia "carriera" di b-boy: volevo spaccare qui e ora, punto</b>. Ma non avevo una crew, e 4 anni di allenamento in solitaria nella stanza dell'oratorio sotto casa, non avevano certo giovato al morale. Un giorno conobbi un altro b-boy mio concittadino, <b>Stefano</b> (conosciuto come "<b>Braccyu</b>" nella capitale), che mi spronò a partecipare a qualche battle con lui e i suoi "amici de Roma". Pischelli interessanti, anche se ballavano relativamente da poco. Dopo un paio di comparsate nella Capitale, iniziammo a farci conoscere e distinguere: Braccyu tirava i primi <i>airtrack</i>, io i primi <i>clash</i>. Entrambi puzzavamo di provincia ma avevamo più anni di breaking alle spalle e un approccio grezzo quanto poco standardizzato. Con i romani, due dei quali scoprimmo essere allievi degli Urban Force, formammo una crew chiamata <b>Patchwork</b>, dove nel settembre dello stesso anno raggiungemmo il 6° posto al <i><b>B-boy Event</b></i> di Bologna (cioè perdemmo ai quarti di finale, ma con uno strano calcolo basato sulla media inglese, ci convincemmo di essere arrivati "sesti" [?!]).</div>
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<b>Sì, ma dove ci incontrammo per la prima volta in assoluto? Non a Roma ma a Pesaro, a Hip Hop Connection.</b> Sul lungomare e poi a Villa Caprile, feci la conoscenza di <b>Timon</b> (il tipo che aveva appena imparato il Thomas), <b>Pumba</b> (suo compare, che provava headspin col caschetto), <b>Spina</b> (il pischelletto dei jump su una mano), <b>Ino</b> (un'altro pischelletto super-promettente) e <b>Trauma</b> (il killer dalla faccia d'angelo). Quell'anno partecipammo con una sorta di "Armata Brancaleone" in connessione con i b-boy di Ostia Lido, un'esperienza rocambolesca che terminò al primo turno ma che ci spinse a formare la "nostra" crew per portare avanti il "nostro" stile. Successivamente, col nome di <b>Urban-Patchwork </b>partecipammo insieme a <b>b-boy Tim</b> e <b>Chiara "Pitty" Ferrazzi</b> degli <b>Urban Force</b> ad un gelido battle a L'Aquila, che ci vide uscire dopo uno scintillante spareggio in semifinale contro i <b>Rapid Soul Moves. Urban Force ci stava mettendo alla prova, ma (almeno io)non lo sapevo.</b> Il corteggiamento si protrasse per tutto l'anno fino a quando<b>, </b><b> durante la veglia di capodanno 2006, Tim ci propose di salire tutti quanti sul carrozzone: non prima di aver superato "la Prova"...</b> </div>
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="345" src="//www.youtube.com/embed/YwJPEMSf3xI" width="460"></iframe> </div>
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<span style="font-size: x-small;">Video-trailer del Check The Style de L'Aquila, dove potete notare il famoso braccio-clash di Nexus, l'airtrack+thomas di Timon (maglia a righe giallo-nere), il footwork di Trauma (canotta bianca). <b>Il 2005 è anche l'anno di nascita di YouTube.</b></span></div>
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<span style="font-size: x-small;"> </span> </div>
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<b>Nel corso degli anni la seconda generazione Urban Force <a href="https://www.youtube.com/playlist?list=PL2CB33E579468164F" target="_blank">ha perso tanto e vinto tanto</a>.</b> A Hip Hop Connection, salvando l'anno scorso, abbiamo sempre perso tanto ma tanto altro abbiamo condiviso. Sugli spalti di Villa Caprile o sul prato intorno alla Palla di Pomodoro, <b>abbiamo visto consumarsi amori, sfide, risse, mosse, sbornie, scazzi e mille altre avventure che ogni anno rinfocoliamo per prepararci degnamente all'anno successivo.</b></div>
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Dunque eccoci: con qualche pezzo in meno ma con la corona ancora ferma sulla testa.</div>
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Quest'anno alcuni di noi andranno a HHC, altri no. Da quest'anno l'organizzazione si è divisa e Monsa si è tirato fuori dai giochi. Non so come sarà questo HHC, e al momento non posso giudicare. Quel che è sicuro è che in Italia c'è bisogno di un vento di freschezza. <b>La "generazione YouTube", come l'ha chiamata Mr. Wigglez, è vecchia di 10 anni ;-) </b></div>
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<br />Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-714462486988689342014-07-07T09:43:00.000-07:002014-07-07T09:43:37.131-07:00True Detective con filosofia: «Listen, Nietzsche, shut tha fuck up!»<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIOYFpZJnDGiwRoI_vduyC1M0W0oGuG41lANNVTU1xbgZQpU0TJLELb9Clz4M5ARPzWOFabQKADEkl4gpTX1CWq_vxc3o36ttr7F6LWiocqpZ0flAFGUw94lHBDDn9CoB6AUoyamwiveRz/s1600/True_Detective_HBO_Street_Face.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIOYFpZJnDGiwRoI_vduyC1M0W0oGuG41lANNVTU1xbgZQpU0TJLELb9Clz4M5ARPzWOFabQKADEkl4gpTX1CWq_vxc3o36ttr7F6LWiocqpZ0flAFGUw94lHBDDn9CoB6AUoyamwiveRz/s1600/True_Detective_HBO_Street_Face.jpeg" height="225" width="460" /></a><b><i>True Detective</i></b> non è fenomenale: è fenomenologica...Se non avete ancora lasciato il sito, siete ben equipaggiati per affrontare un viaggio che ci porterà ai confini della nostra coscienza, dove incontreremo forme d'intelligenza emergenti, fisarmoniche temporali, titillamenti esistenziali, etici, politici e svariati link demenziali attorno a questa miniserie senza precedenti targata HBO.</div>
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<b>Da capo:</b> <i>True Detective</i> non è fenomenale: è fenomenologica<b> (i)</b> in quanto noir (detective-deve-risolvere-delitto-ma-ne-rimane-co-involto); <b>(ii)</b> in quanto riflette sull'Io (cosa si prova ad essere me e perché ne ho coscienza?). Il famoso aforisma di <b>Cartesio</b> <i>cogito ergo sum </i>(o forse si trattava di <a href="http://3.bp.blogspot.com/-0_grlgwYM5w/U0v2QJrb7XI/AAAAAAAAG-c/lIso_XDuOw4/s1600/Cracco+patatine.jpg" target="_blank">Carlo Cracco</a>?), non significa solamente che il pensiero è il fondamento della coscienza, bensì implica che non può esistere coscienza (<i>res cogitans</i>) senza esperienza empirica (<i>res extensa</i>). Corpo e mente hanno rapporti educatissimi: nessuno "trascende". Ma se mi chiedete di interpretare "filosoficamente" i dialoghi vernacolari dello sceneggiatore <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Nic_Pizzolatto" target="_blank"><b>Nic Pizzolato</b></a>, la mia risposta sarà la stessa di <b>Rust Cohle (<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Matthew_McConaughey" title="Matthew McConaughey">Matthew McConaughey</a>)</b>:«Listen, Nietzsche, shut tha fuck up!». Poiché di perle di saggezza ne è pieno il mondo (cioè Facebook), qui la filosofia non la interpretiamo, ma la facciamo succedere attraverso immagini, suoni e, d'accordo, una piccola dose delle suddette perle.</div>
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Ma procediamo per ordine, cioè random.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsZzgKcLFTL5EhCJiULxyXdXUn6yMTobUyBtzOv0uoX3IFjUBs7oJAIa844JIFJGg1vyMv-6-Fkbb1KdLoCCAoC18R0SngdTnQZEnsxcmJ2YqOogwgyz7w0lrxBFlGrD2KrYeZo-Yp1Uql/s1600/True_Detective_Fuck_Nietzsche.gif" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsZzgKcLFTL5EhCJiULxyXdXUn6yMTobUyBtzOv0uoX3IFjUBs7oJAIa844JIFJGg1vyMv-6-Fkbb1KdLoCCAoC18R0SngdTnQZEnsxcmJ2YqOogwgyz7w0lrxBFlGrD2KrYeZo-Yp1Uql/s1600/True_Detective_Fuck_Nietzsche.gif" height="231" width="460" /></a><br />
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La prima cosa che mi ha convinto del giovane regista anglo-nippo-svedese <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Cary_Fukunaga" target="_blank"><b>Cary Fukunaga</b> </a>(oltre la coerenza del nome), è stata questa inquadratura:<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifeTPSw0RtBcOEdb9oUTfvpoBfmRfrMJUEuB6C66CDg2XIZOTyo4bqTStj39ese8lxSBu5feCrt1jG7dlMqBwqk0KU-1ysSrn0INHqXFBxRudYQ40kDUeRIPhbnB1lh35jW_KmvlK6aukF/s1600/True_Detective_Swarm_Spiral.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifeTPSw0RtBcOEdb9oUTfvpoBfmRfrMJUEuB6C66CDg2XIZOTyo4bqTStj39ese8lxSBu5feCrt1jG7dlMqBwqk0KU-1ysSrn0INHqXFBxRudYQ40kDUeRIPhbnB1lh35jW_KmvlK6aukF/s1600/True_Detective_Swarm_Spiral.gif" height="252" width="460" /></a></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBvKFedqzibz8XcFunsl6YFNRi-6GarkI00iCEy7XDQG2SuPBd6WLL8H5VOqtQv0DXwHVqDUblwc-jrZKByStk9DRRPNys51BY0fElZYoeZPPGqM9f_J58JFjHXNxaIATsWgz-yWL0_MmD/s1600/True.Detective.1x01.The.Long.Bright.Dark.720p.HDTV.x264-KILLERS.%5Btvu.org.ru%5D%5B18-09-52%5D.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBvKFedqzibz8XcFunsl6YFNRi-6GarkI00iCEy7XDQG2SuPBd6WLL8H5VOqtQv0DXwHVqDUblwc-jrZKByStk9DRRPNys51BY0fElZYoeZPPGqM9f_J58JFjHXNxaIATsWgz-yWL0_MmD/s1600/True.Detective.1x01.The.Long.Bright.Dark.720p.HDTV.x264-KILLERS.%5Btvu.org.ru%5D%5B18-09-52%5D.JPG" height="250" width="460" /></a></div>
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Durante il secondo episodio, ci imbattiamo in uno stormo di uccelli che per un istante assume la forma del simbolo a spirale che segna le tracce del delitto. Abbinando un cambio di focale ad un leggero carrello laterale, quello che fino a pochi istanti prima era derubricato sotto la voce "sfondo" (cioè oggetto) assume brevemente una valenza significante. Allegoricamente il passaggio di attenzione dalla coppia di detective in primo piano allo stormo, rinvia all'estensione del sistema pensante: da una concezione cervello/umano-centrica ad una ecologica/oltre-umana. Allo stesso tempo, la struttura volatile dello stormo (nella doppia accezione di somma dei voli dei singoli uccelli e di organizzazione imprevedibile) offre un indizio sulla relatività della risoluzione dell'enigma e del senso che (eventualmente) essa potrà assumere. <b>Si stima che il movimento direzionale di uno stormo di uccelli si diffonda nell'ordine di un settantesimo di secondo, mentre il tempo di reazione di un singolo uccello è di molto inferiore. In poche parole, l'organizzazione non-centralizzata e in-cosciente dello stormo, "ragiona" e agisce molto più efficacemente del singolo uccello.</b> </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOuRDIQdSjlPphrN4ujg9uPTZVODENiOdDBl1nDDdpERnLCsT9SuJQlcnirX23mo7Fzsvf4Pw2a3cDAKyBkaR9HlkrzSEFyb9_ge1TXq46jXv4HZINB7o51BuROqTLGA-kmnZhyphenhyphenXYpq4lQ/s1600/True_Detective_HBO_Consciousness.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOuRDIQdSjlPphrN4ujg9uPTZVODENiOdDBl1nDDdpERnLCsT9SuJQlcnirX23mo7Fzsvf4Pw2a3cDAKyBkaR9HlkrzSEFyb9_ge1TXq46jXv4HZINB7o51BuROqTLGA-kmnZhyphenhyphenXYpq4lQ/s1600/True_Detective_HBO_Consciousness.jpg" height="218" width="460" /></a> </div>
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Questa magia è anche alla base del funzionamento della nostra coscienza: la multimodalità dell'esperienza genera una moltitudine di processi neuronali paralleli che - come nel caso dello stormo - producono un movimento omogeneo e più efficace della somma delle loro parti. Questo movimento è generalmente chiamato "flusso di coscienza", ma a ben vedere, non è un vero e proprio flusso unitario ma una sorta di baricentro fluttuante della lotta cognitiva che investe cervello, corpo e ambiente (tié!). <b>Il dilemma di Rust sulla natura del delitto non è mentale, bensì ecologico.</b> Le sue sparate darwiniano-nichiliste (sbeffeggiate a tempo di record da<b> <a href="https://www.youtube.com/watch?v=xbO61Nd0Jlk" target="_blank">At&T</a></b> e <b><a href="https://www.youtube.com/watch?v=d35uzpO3Al4" target="_blank"><span style="font-family: inherit;"><span style="font-size: small;"><span class="watch-title yt-uix-expander-head" dir="ltr" id="eow-title" title="Jimmy Kimmel and Seth Rogen in True Detective 2">Jimmy Kimmel & Seth Rogen</span></span></span></a></b>), si svolgono in macchina, dispositivo di visione più che di locomozione, richiamandoMi la teoria di <b>Jean-Paul Sartre</b> per cui un'immagine non è un oggetto all'interno della coscienza, ma è la coscienza stessa. Analogamente, durante queste lezioni di filosofia senza cintura di sicurezza, zio Rusty svarionerà non poco, e noi spettatori con lui (v. immagine).</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTNvCIO0psJcBB5a8z5oP2400g-w3eiwFPupbJDAKCjJze944JWNkYchQ6FeZoT3v0UHwZT4W5BY1o78pBnClEo0Yic9Jk14IRE4RShjRzk9vEZjzudJue-Hh6hyphenhyphenD_RL6VePt3cUsBtI4h/s1600/True_Detective_HBO_Hallucination.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTNvCIO0psJcBB5a8z5oP2400g-w3eiwFPupbJDAKCjJze944JWNkYchQ6FeZoT3v0UHwZT4W5BY1o78pBnClEo0Yic9Jk14IRE4RShjRzk9vEZjzudJue-Hh6hyphenhyphenD_RL6VePt3cUsBtI4h/s1600/True_Detective_HBO_Hallucination.jpg" height="235" width="460" /></a></div>
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I paesaggi padani della Louisiana infatti si appiccicano ai corpi-mente dei personaggi, a partire <b>dalla sigla che detronizza in un sol colpo quella di <i>Dexter</i> e </b><i><b>American Horror Story. </b></i>Lavorando con una tecnica d'animazione ispirata alla <a href="http://www.artofthetitle.com/title/true-detective/" target="_blank">doppia esposizione fotografica</a><i>, </i>i paesaggi vengono incastonati nella silhouette dei personaggi (e viceversa) mentre le note di <b><i>Far from any road</i></b> (un nome, un programma) potenzia l'effetto di armageddon esistenziale che pervade tutta la serie. Dal momento che il nostro stato di coscienza è generato da un pandemonio di micro-eventi singolarmente stupidi (come gli uccelli dello stormo), la centralità della figura e del volto della persona perde consistenza e si immerge in un sistema cognitivo distribuito nello spazio-tempo. O, per dirla in accademichese: la viseità si fa paesaggio; il Sé, il petrolchimico della mente.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="259" src="//www.youtube.com/embed/Xyu_MdKBXic" width="460"></iframe><br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUq5Ka8vzFrY5lPKBIXHnvObc-8szJecC9t0Ft5fSZkAX4PTBO6Gso8E-wvdDsWPzMiXZJS1tVR8s4T-osBBwN_PZ5p75VMsKf00sqZtt_bQJZ7lRQFnf-OtZkagAMJdihLZur4Cpt7GfI/s1600/deep_and_dark.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUq5Ka8vzFrY5lPKBIXHnvObc-8szJecC9t0Ft5fSZkAX4PTBO6Gso8E-wvdDsWPzMiXZJS1tVR8s4T-osBBwN_PZ5p75VMsKf00sqZtt_bQJZ7lRQFnf-OtZkagAMJdihLZur4Cpt7GfI/s1600/deep_and_dark.gif" height="150" width="200" /></a></div>
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<b>Se a parole si insiste sino ai limiti del didascalico sul concetto di eterno ritorno di Nietzsche, ma sul piano delle audio-immagini, la serie ci racconta tutt'altra filosofia.</b> I personaggi cambiano fisicamente, le storie vengono riscritte e i tempi continuamente contratti, allungati, plissettati. Come sappiamo, la vicenda si articola fra il 1995 e il 2012, quando i due poliziotti vengono interrogati riguardo al vecchio caso del "Pietro Pacciani" della Louisiana. Come nella tradizione del cinema noir degli anni 40, salpiamo per un lungo flashback. Tuttavia il ricordo è co-narrato da più personaggi e rivela (come ci si aspetta) una certa dose di discrepanze, punti ciechi e faccende in sospeso che alimentano il ragionamento e il piacere del fan, o del <i>follower</i>. <b>Il ricorso all'<i>embedded narrative</i>, ovvero il racconto nel racconto, non illumina il passato dei personaggi, bensì lo crea.</b> L'inquadratura dei detective si raddoppia nel monitor della telecamera dell'FBI che registra le loro testimonianza, così come i segni del Male si incasellano nell'ambiente, fino quasi a risucchiarlo in un buco nero. La memoria personale, quella che contribuisce a creare l'illusione di Sé, non è "di sola lettura": essa è continuamente modificata e rinegoziata nell'atto stesso dell'accesso. La voce over del personaggio narrante spesso stride con il flusso delle immagini che a loro volta spesso fluttuano disancorate da qualsiasi sguardo soggettivo o dimensione narrativa.</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPqTcmI-Pj1YkvdvJYFIKf3VXHMd-QbDtJtZP2n-GlWdsh2rsrSlmer7JUvOae-cLYTZcjnNWqfcZsPTluIvW2Q01_N91eD87XArEhplZ4sKSRTP3oVqY26VNwpH7rsYY0y-3hQTpnlT2N/s1600/True_Detective_HBO_Monster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPqTcmI-Pj1YkvdvJYFIKf3VXHMd-QbDtJtZP2n-GlWdsh2rsrSlmer7JUvOae-cLYTZcjnNWqfcZsPTluIvW2Q01_N91eD87XArEhplZ4sKSRTP3oVqY26VNwpH7rsYY0y-3hQTpnlT2N/s1600/True_Detective_HBO_Monster.jpg" height="225" width="460" /></a></div>
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Questo, come dicevamo, si riflette sulla sfera temporale. <b>L'arco narrativo di <i>True Detective</i> è imbevuto di temporalità molteplici</b>: quella del monologo in prima persona attraverso inquadratura fissa, quella dei lenti movimenti di macchina abbinati a lunghi silenzi, quella degli spazi apertissimi, delle focali lunghissime (v. immagine) e quella dell'ormai celebre piano sequenza di 6 minuti, che ci fa rimpiangere di non avere un joypad sotto mano e manovrare "l'avatar" di Rust.<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggLnAV4PUssXOSfOpierNjqhvh4CDEh3elAh_jQQ7ttgdYAf8SoVCV_HXKlbYrUApeUUiKt2927NRxbkjDCEFclbjKLrM7G7oUbuvrHd7OUP78kTmXygKG1NVxGNUKKRfcA8z5MZkg9gkR/s1600/True.Detective.1x05.The.Secret.Fate.Of.All.Life.720p.HDTV.x264-KILLERS.%5Btvu.org.ru%5D%5B17-44-15%5D.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggLnAV4PUssXOSfOpierNjqhvh4CDEh3elAh_jQQ7ttgdYAf8SoVCV_HXKlbYrUApeUUiKt2927NRxbkjDCEFclbjKLrM7G7oUbuvrHd7OUP78kTmXygKG1NVxGNUKKRfcA8z5MZkg9gkR/s1600/True.Detective.1x05.The.Secret.Fate.Of.All.Life.720p.HDTV.x264-KILLERS.%5Btvu.org.ru%5D%5B17-44-15%5D.JPG" height="250" width="460" /></a></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz3_oyVdZwz0RtJb82BTm4dJ3UTK-uyH1fUVlfsZ0IXjmhh5q7E8Ne7W5eyvK4lRqv7F0riNBBNV1P-z4X5BHfQDYkSxQzACoud8vR-qbUGJQ5ockG2-EHysfXq-szKCNyGNDInGia_YN5/s1600/True.Detective.1x02.Seeing.Things.HDTV.x264-2HD%5B17-34-53%5D.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz3_oyVdZwz0RtJb82BTm4dJ3UTK-uyH1fUVlfsZ0IXjmhh5q7E8Ne7W5eyvK4lRqv7F0riNBBNV1P-z4X5BHfQDYkSxQzACoud8vR-qbUGJQ5ockG2-EHysfXq-szKCNyGNDInGia_YN5/s1600/True.Detective.1x02.Seeing.Things.HDTV.x264-2HD%5B17-34-53%5D.JPG" height="250" width="460" /></a></div>
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<b>Quest'ultimo espediente riflette la tendenza nei contemporanei videogame <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/MMORPG" target="_blank">mmorpg</a> a mischiare il <i>gaming</i> al </b><i><b>watching</b> </i>attraverso punti in cui l'interazione del giocatore determina il ritmo degli eventi "narrativi". In gergo: <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Ludonarrative" target="_blank"><i>ludonarrativa</i></a>. <b>L'interpretazione e il modellamento della mente umana si è storicamente basata su metafore legate ai media ottici</b> (dalla lanterna magica alla realtà virtuale) <b>e l'innervazione simbiotica fra organismi biologici e artificiali, come tra forme narrative e interattive, ci porta a pensare che la nostra coscienza sia un dispositivo ludonarrativo piuttosto che una camera oscura</b> dove si manifestano cose o un videogame di cui manovriamo gli esiti. La potenza di sistemi come <i>True Detective</i> sta nel fatto che sia sul piano della rappresentazione, sia sul piano cognitivo, protendano per un ribaltamento ecologico del Sé, quale esistenza continuamente negoziabile e mai sovradeterminata, innestata in un network biotecnologico d'intenzionalità a-centrata e distribuita.<br />
E poi dicono che a Roma d'estate ci si annoia. </div>
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<br />Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-74856302791057765132014-06-22T07:15:00.001-07:002014-06-23T02:14:16.814-07:00Negoziare il lutto: in memoria di Alessio Spitfire, Magnimel Crew e Crash Kid<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilKGGODqHxpjirOI2mD0v5TQWS9h4iyD4xMcQJ_Kyw9TOfsHC_lj1fVNpoPX-QCSBTABNgqWjamp_-JEm-B40ytbX3QEMSPLKhmMMqyhutXwjmNPFCQQu_KP0CGHCoEPzPMuF-MQvEYkVF/s1600/Alessio_Spitfire_-_Senigallia_2012.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEilKGGODqHxpjirOI2mD0v5TQWS9h4iyD4xMcQJ_Kyw9TOfsHC_lj1fVNpoPX-QCSBTABNgqWjamp_-JEm-B40ytbX3QEMSPLKhmMMqyhutXwjmNPFCQQu_KP0CGHCoEPzPMuF-MQvEYkVF/s1600/Alessio_Spitfire_-_Senigallia_2012.jpg" height="220" width="460" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>
Si dice che l'elaborazione di un lutto segua cinque fasi: negazione, rabbia, depressione, negoziazione, ed infine, accettazione</b>. Ma si può davvero "elaborare" un lutto? Del tipo: elaboro un impasto di farina e sforno una pizza, elaboro un calcolo e visualizzo il risultato? Purtroppo no. Quando spartisci con la morte, torni sempre a casa con gli spicci. Il resto è endemico, la consolazione è nomade. Per chi vive, la morte è inevitabile: per chi muore, la morte uccide la morte. E allora sì, e solo in quel caso, l'elaborazione è un gioco a somma zero. zero = zero.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per noialtri che restiamo, si tratta di gestire questi spicci affinché non si accumulino e diventino schiaccianti macigni. Qualcheduno li raccoglie nel salvadanaio della fede, pensando che un giorno essi saranno il cambiavalute della vita eterna, mentre qualcun altro li scioglie e li spalma su tutto il corpo come olio abbronzante, pensando di raggiungere l'equilibrio terreno. Purtroppo no, sta roba non regge. <b>Dio non esiste e tutti videogame prima o poi <i>crashano</i>.</b><br />
<a name='more'></a></div>
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<br /></div>
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E' possibile accettare tutto questo? No, non lo è. La conclusione è che non c'è conclusione. <b>Le cinque fasi del lutto sono le cinque caselle del gioco dell'oca: la quinta casella deve essere raggiunta con un lancio esatto, altrimenti si retrocede dei numeri in eccesso, <i>ad infinitum</i></b>. Una volta, nei pressi di Times Square, provai sulla mia pelle l'etimologia del termine <i>junk food</i>. Ero disgraziatamente affamato e la manciata di quarti di dollaro che avevo in tasca mi guidò inesorabilmente da Burger King. Sfoderai le monetine, addentai l'ovaloide, deglutii: avevo barattato i miei spiccioli per della merda. Sbobba, brodaglia, sciacquatura bovina: nonostante la fame quella roba lì mi aveva disgustato. Quella-lì-era-merda, non ci pioveva.</div>
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<br /></div>
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Da quando ho iniziato a ballare, quella del piccolo <b>Alessio "Spitfire" Lunardini</b> (11 anni) è la terza <a href="http://www.ilrestodelcarlino.it/ravenna/cronaca/2014/05/29/1072063-alessio-lunardini-funerale-aeroporto.shtml#1" target="_blank">tragedia</a> che colpisce il mondo della breakdance italiano. Prima di lui, di ritorno dalla sensazionale vittoria della sua <b>Magnimel Crew</b> all'Hip Hop Connection nell'estate 2004, aveva perso la vita in un altro incidente stradale <span class="text_exposed_show"><b>Alex "Alvin" Lorenzi</b> (15 anni), giovane promessa del breaking italiano. A spezzarsi in quella circostanza furono anche le vite di </span><span class="text_exposed_show"><b>Mauro "Ciu Ciu" Giugovaz </b>(27 anni), la sua fidanzata <b>Ileana Cavressi</b> (17 anni) e il b-boy croato (nonché giudice dell'evento) <b>Goran Kolarek</b> (25 anni).</span> Se ne salvò soltanto uno, Davide (all'epoca 21enne). Sei anni prima, toglieva le tende <b>Massimiliano "Crash Kid" Colonna</b> all'età di 27 anni, coinvolto (o coinvoltosi) in un incidente sui cavi dell'alta tensione nel metrò di Milano. A lasciarci non era una promessa ma una vera e propria leggenda del breaking italiano, punto di riferimento della scena nazionale e della crew di cui faccio parte, <b>Urban Force</b>.<br />
<br /></div>
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="345" src="//www.youtube.com/embed/SOCHJ2yByAw" width="460"></iframe><br />
<br /></div>
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Ma le leggende, sì sa, rimangono tali finché vengono raccontate. Al contrario, una leggenda che smette di circolare o che circola a senso unico, diventa diceria e poi scompare. Dei Magnimel Crew rimane una sguarnita <a href="https://www.facebook.com/pages/MAGNIMEL-CREW-TRIESTE-CIUCIU-ALVIN-GORAN-ILE-/190681944306484?fref=ts" target="_blank">pagina su Facebook</a>, mentre di Crash Kid nemmeno quella. Dopo esserci tracciati le vesti durante i primi mesi di lutto, queste morti sono state progressivamente rimosse dalla storia della nostra scena. Con la scomparsa dei diretti amici e parenti delle vittime (in un futuro più lontano possibile), la rimozione colpirà la vita stessa. Nel 2008 cercai di riportare l'attenzione su Crash Kid con un <a href="https://www.youtube.com/watch?v=EkEB9I0dMko" target="_blank">cortometraggio</a>, senza risultati rilevanti. L'idea di organizzare un "Crash Kid day" è un fantasma che ha infestato la scena per circa un decennio, prima di dissolversi in una nuvola di arrendevolezza.</div>
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<br /></div>
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<a href="http://www.bombhiphop.com/newbomb/bombpages/articles/Bboy/crashkid.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.bombhiphop.com/newbomb/bombpages/articles/Bboy/crashkid.gif" height="320" width="208" /></a></div>
<b>Questo è un appello a tutti i b-boy e le b-girl italiane, affinché si abbia il coraggio di negoziare collettivamente le nostre perdite, moltiplicare i racconti e i punti di vista, e confrontare "gli spiccioli", per quanto fastidioso possa sembrare</b>. Questo è anche un appello alla famiglia, agli amici e alle amiche, ai compagni e alle compagne di Alessio, affinché si tenga viva la sua memoria attraverso il <a href="https://www.facebook.com/alessio.lunardini" target="_blank">profilo Facebook</a>, la circolazione di video e l'organizzazione di eventi hip hop che ci rendano consapevoli dell'enorme perdita che tutti noi abbiamo subito e della necessità di condividere esperienze, saperi, pratiche e "mosse" <b>affinché il peso della morte possa servire da baricentro per qualche giro di <i>corona</i> esistenziale</b>.<br />
<br />
<br />
<br /></div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-69896965390538941442014-06-08T03:25:00.001-07:002014-06-08T03:25:42.528-07:00Un bloody mary per smaltire: domande e commenti su LcomeAlice<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpFHhcUyBPqKQEfn8LcdbBfMPvie1kr7Y19QuGIZla5CLdcCVxhCAKjbV4Zgku9Vk_f_zU07u8mPnO7ldV5ka-mKNbfKLxneC-940MNzvb7c_kOhlly9QCr1LWiY28EuPeCOJa9RKFXq0s/s1600/LcomeAlice_Communia_2014-01.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpFHhcUyBPqKQEfn8LcdbBfMPvie1kr7Y19QuGIZla5CLdcCVxhCAKjbV4Zgku9Vk_f_zU07u8mPnO7ldV5ka-mKNbfKLxneC-940MNzvb7c_kOhlly9QCr1LWiY28EuPeCOJa9RKFXq0s/s1600/LcomeAlice_Communia_2014-01.jpg" height="220" width="460" /></a></div>
Se questo spettacolo vi ha dato alla testa, quel che ci vuole è un bicchierone di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bloody_Mary" target="_blank"><b><i>bloody mary</i></b></a>. Nelle ultime due settimane, ci siamo andati giù pesante: la vostra <i>L </i>è tornata in scena, ha fatto scena. Prima al <b>Teatro Studio Uno</b>, coinvolgendo nuovo pubblico e recensori (<a href="http://www.gufetto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=38627:l-come-alice-teatro-studio-uno-i-difficili-giochi-linguistici-dell%E2%80%99inconscio&catid=61&Itemid=150&print=1&layout=default" target="_blank">Gufetto</a>, <a href="http://ghigliottinapuntoit.wordpress.com/2014/06/02/l-come-alice-sperimentazione-a-teatro/" target="_blank">Ghigliottina</a>, <a href="http://teatro.persinsala.it/l-come-alice/10978" target="_blank">Persinsala</a>, <a href="https://www.blogger.com/null" target="_blank">Kirolandia</a>), poi allo spazio di mutuo soccorso <b>Communia</b>, rendendo "scena" quel che fino a pochi mesi fa era discarica. </div>
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"Scenarizzare", come direbbe <b>Yves Citton</b>, è un'attività che lavora sull'impalcatura della narrazione quanto su quella mentale: vedere e ricordare Communia come la stanza "ad orologeria" della giovane Alice, vale molto di più del semplice immaginare o ipotizzare una tale visione. Lo stesso vale per gli oggetti di artigianato steampunk che <b>Davide</b> del <a href="https://www.facebook.com/progettosteam" target="_blank"><b>Progetto Steam</b></a> ha realizzato e scelto per lo spettacolo. Essi sono veri e propri "<b>artefatti cognitivi</b>", oggetti materiali che incarnano indizi scatenanti pratiche e idee divergenti. Non si tratta di arzigogoli scenografici: i manufatti di Davide funzionano e sono unici. Se apri la <i>chassis</i> del telefono, scopri un ingresso audio compatibile per lettori mp3, così come, se guardi da vicino l'avambraccio meccanico di Alice, avverti il ticchettìo dell'orologio, il crocchìo degli ingranaggi.</div>
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<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh87UN-O_ex1Ord9DrBW_FIqsImYaPydUzEYMLH4a0_Qxv-J5Jo4fL8Y2eY961CZVQgrDS9BJIITpdj9Se-QvaGC5DqJrLTizJxyjVxG4xx7uum3iIMDNTcqIVYMQ9_Pj619HtNtFsSj0Th/s1600/IMG_7860.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh87UN-O_ex1Ord9DrBW_FIqsImYaPydUzEYMLH4a0_Qxv-J5Jo4fL8Y2eY961CZVQgrDS9BJIITpdj9Se-QvaGC5DqJrLTizJxyjVxG4xx7uum3iIMDNTcqIVYMQ9_Pj619HtNtFsSj0Th/s1600/IMG_7860.jpg" height="305" width="460" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i>L</i> con avambraccio e spallotto meccanico + cinturone a cura di <b>Progetto Steam</b></td></tr>
</tbody></table>
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Tutto questo serve a mostrare e incrociare mondi molteplici, caricare e accumulare resistenze in vista della scena e oltre. Il "teatro resistente di Alice", prolessi del saggio che ci ha dedicato <b>Giuseppe Sofo</b>, analizza questo tipo di conflittualità che critica i modi di produzione, i paradigmi della direzione artistica, i modelli spettatoriali e i limiti psico-culturali dell'oggetto-spettacolo, piuttosto che insistere sul presunto contenuto "socio-politico" della trama. Con <i>L come Alice</i> ci si autoproduce collaborando con altri autoproduttori, non per chiudersi ma per estendere il virus; il rapporto regista/attrice è portato volutamente all'estremo affinché generi una sovversione dello stesso; gli spettatori e le spettatrici vivono miratamente un'esperienza che mischia <b>cinema delle origini</b> (dove le proiezioni erano alternate a spettacoli di <i>vaudeville</i>, intermezzi musicali, presentazioni) e <b>fantasmagoria</b> (retroproiezione di "fantasmi" all'interno di un ambiente semi-illuminato, risalente alla fine del XVIII sec.); ed infine <i>L</i> mette in discussione il feticcio dell'oggetto-spettacolo come momento conchiuso in un'oretta di convivialità silenziosa e "gazzetteria rusticana" nell'arco di tempo atto a consumare una pizza. </div>
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<br /></div>
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Sì, lo spettacolo è anche quello, ma <b>se non coinvolge la partecipazione dello spettatore prima e dopo la <i>mise-en-scene</i>, è destinato a divenire solamente un rito di </b><i><b>passeggio</b>. </i>Per questo disponiamo intorno alla scena, sul web, nei luoghi, tutta una serie di briciole di pane per orientare questa passeggiata prima, dopo e durante lo spettacolo. Un'esempio è la nostra <a href="http://www.pinterest.com/giuseppenexus/l-come-alice-la-cassetta-degli-attrezzi/" target="_blank"><b>valigia a doppia sacca</b></a>, una bacheca di contributi plurimediali in continuo aggiornamento. Ma questo non è sufficiente, perché si tratta ancora di una una strada ferrata, mentre <b>ci piacerebbe imbatterci in sentieri nascosti, caverne inesplorate, belvedere aggettanti sull'oceano che voi stessi potreste aver scoperto a nostra insaputa</b>.</div>
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<br /></div>
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Quindi vi offriamo un <i>bloody mary virtuale</i>: immaginando il retrogusto di vodka farsi strada tra il pomodoro speziato, qui <b>potete fare domande, confrontare versioni e ricostruire la storia</b> della serata in cui vi siete sborniati di <i>L. </i> </div>
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<br /></div>
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Smaltire l'<i>hangover</i> in compagnia, non è parte della festa? </div>
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<i> </i> Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-45602784552155446232014-06-02T04:04:00.000-07:002014-06-02T04:07:25.485-07:00LcomeAlice insiste! 7/06 @CommuniaRoma<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisXAHbPaKyNgL80EFD45R3tpmnt-AVMawyzkAx12PY9jxMq-JOwyrs5Ytu451NG_sBO7BWfhZBEqCtbJRslIohWF7NtrB-m6oaE4sh-lHQUfagCDi6kPNejKn8TU-4AH-DU3QGL6yEYoxp/s1600/LcomeAlice-BannerFacebook_Communia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisXAHbPaKyNgL80EFD45R3tpmnt-AVMawyzkAx12PY9jxMq-JOwyrs5Ytu451NG_sBO7BWfhZBEqCtbJRslIohWF7NtrB-m6oaE4sh-lHQUfagCDi6kPNejKn8TU-4AH-DU3QGL6yEYoxp/s1600/LcomeAlice-BannerFacebook_Communia.jpg" height="200" width="460" /></a></div>
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<br /></div>
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<span class="st">«</span>De-programmare tutto, teatralizzare la lotta, occupare nuove spettatorialità<span class="st">»: di ritorno dall tre giorni al Teatro Studio Uno, <a href="http://www.nexusmoves.blogspot.it/p/l-come-alice.html#.U4xa1XYVdy0" target="_blank"><b><i>L come Alice</i></b></a> apparirà in veste apertamente "conflittuale" in una giornata interamente dedicata alle forme di teatralità resistente all'interno di <b>Letteraria, </b>il<b> festival di letteratura sociale</b> promosso da <b>Edizioni Alegre</b> e il progetto di muto soccorso <b>Communia</b>. Qui sotto potete leggere il programma, che si aprirà con la presentazione del libro <i>Lotta di classe sul palcoscenico</i> di Lidia Cirillo e una tavola rotonda che vedrà presenti <b>Rialto</b>, <b>Cinema Palazzo</b> e <b>Teatro Valle.</b></span></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiK1mRNe7B5Fz4HkwooRewKJcOmspY0usOFL7qAZmr_M989osr0tjftQjzsgwRZgCG-3ykOTag-bOLDqVmvumz6GY5TITnFMCow3xtlPg2rrKzdiOD_LX80NaO6WIZT_FtHgVrsXYzJSlaz/s1600/letterariaOK.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiK1mRNe7B5Fz4HkwooRewKJcOmspY0usOFL7qAZmr_M989osr0tjftQjzsgwRZgCG-3ykOTag-bOLDqVmvumz6GY5TITnFMCow3xtlPg2rrKzdiOD_LX80NaO6WIZT_FtHgVrsXYzJSlaz/s1600/letterariaOK.jpg" height="644" width="460" /></a></div>
<span class="st">
</span>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Se avete già visto <i>L come Alice</i> e vi state domandando che c'azzecca <i>L</i> con la resistenza, questa è l'occasione giusta approfondire la questione. <b>Giuseppe Sofo</b>, che è anche il nostro aiutoregista, si è scervellato molto su questo argomento, dando alla luce un articolo dal titolo (provvisorio?) di <b>"Il fantasma reistente di Alice: un nuovo teatro per nuove pratiche di resistenza"</b> in fase di pubblicazione su una rivista scientifica. Per districarsi tra i fili viscosi del progetto Alice, Giuseppe ha realizzato anche <b>un'intervista a Laura Garofoli e il sottoscritto</b>, intimando entrambi di non sbirciare le risposte dell'altro/a. Il testo è esilarante, quanto prezioso, e a breve verrà messo on-line (vero Sofo?).<br />
<br />
Stiamo escogitando ulteriori trappole culturali, ma preferiamo di gran lunga incappare nelle vostre:<br />
ergo: <b><i>partecipate!</i></b> ;-)</div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><a href="mailto:nexusmoves@gmail.com" target="_blank">♕ </a><a href="https://www.facebook.com/events/478624332284344/?fref=ts" target="_blank">L come Alice</a> (Facebook) | </span><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">♞ <a href="https://twitter.com/search?f=realtime&q=%23LcomeAlice&src=typd" target="_blank">#LcomeAlice</a> (Twitter)</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">♔ <a href="http://www.pinterest.com/giuseppenexus/l-come-alice-la-cassetta-degli-attrezzi/" target="_blank">L come Alice: la valigia a doppia sacca</a> (Pinterest)</span></span></span><span style="font-size: small;"> </span><br />
<span style="font-size: small;">✉ <span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><a href="mailto:LcomeAlice@gmail.com">LcomeAlice@gmail.com</a></span></span></span><br />
<br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"> </span></span></span><br />
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</div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-3966823248660752162014-05-12T04:25:00.002-07:002014-05-16T09:11:29.157-07:00Torna #LcomeAlice! 30-31/05 e 1/06 2014, Roma<div style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi99ii8PBiXoIj85HjlnAGWlPbDRd9GFkI0BlQbpHUxNsUba-yHsNg8Mj39z9D0owH2uoNkgJMP2y_UJvrG3gKvEhcJp6Lw9X2qpQdzrd-CCH6CCQvXCRNkNSUX_YO86INlsQjziDAEueO/s1600/L+come+Alice+-+FRONTE.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi99ii8PBiXoIj85HjlnAGWlPbDRd9GFkI0BlQbpHUxNsUba-yHsNg8Mj39z9D0owH2uoNkgJMP2y_UJvrG3gKvEhcJp6Lw9X2qpQdzrd-CCH6CCQvXCRNkNSUX_YO86INlsQjziDAEueO/s1600/L+come+Alice+-+FRONTE.jpg" height="350" width="460" /></a><span style="font-family: inherit;"></span></div>
</div>
<span style="font-family: inherit;"><b><i>
</i></b></span> <br />
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;">Venerdì & Sabato <b>30-31 Maggio e 1 Giugno </b>presso il<b> Teatro Studio Uno </b>(Via Carlo della Rocca 6, Roma) torniamo in scena con<b><i><b> L come Alice.</b></i></b> <br /> </span><br />
<span style="font-family: inherit;">Per chi ne fosse ignaro, "L"<i> </i>è uno spettacolo di teatro e videoarte in stile<i> steampunk</i>, ispirato alle avventure di <i>Alice attraverso lo specchio, </i>autoprodotto da<b><i> </i>Nexus </b>(regia)<b> e Laura Garofoli</b> (mente-corpo).<br />
<br />
Come al solito lo "spettacolo" è già iniziato...<br />
<br />
***</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: inherit;"><br />
</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;"><a href="mailto:nexusmoves@gmail.com" target="_blank">♕ </a><a href="https://www.facebook.com/events/731021630275697/" target="_blank">L come Alice</a> (Facebook) <br />
</span></span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span style="font-size: small;">♞ <a href="https://twitter.com/search?f=realtime&q=%23LcomeAlice&src=typd" target="_blank">#LcomeAlice</a> (Twitter)<br />
</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana,sans-serif; font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">♔ <a href="http://www.pinterest.com/giuseppenexus/l-come-alice-la-cassetta-degli-attrezzi/" target="_blank">L come Alice: la valigia a doppia sacca</a> (Pinterest) </span></span></span><br />
<a href="mailto:LcomeAlice@gmail.com"><br />
</a></div>
<div style="text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="258" scrolling="no" src="http://slide.ly/gallery/embed/f8882f0f2c114968c23eb9a7169ea87b" width="460"></iframe>L come Alice by <a href="http://slide.ly/gallery?utm_source=embed_link" target="_blank">Slidely Photo Gallery</a><br />
<br />
<b><i>See you everywhere!</i></b><br />
<br />
<b> </b></div>
Nexushttp://www.blogger.com/profile/00176346406183566945noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4909439015004404344.post-32173974976684936822014-04-24T04:39:00.001-07:002014-04-24T04:39:44.706-07:00Attack on Titan: resistere è un'esplorazione<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjUWWPzCm7_MH79kDDdFwV3Acd553Mm8AnHwxAD_IbPPVykoCBQ_II1FSAMQ2tgl7GWW27gDa1bRZDkh81SOTw9EV4KWs2Mg-EqwRqAXCtQOqxChY11QJd0PYxVG-f3M4WF4nTB-IEAhk7/s1600/Attack_on_Titans.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjUWWPzCm7_MH79kDDdFwV3Acd553Mm8AnHwxAD_IbPPVykoCBQ_II1FSAMQ2tgl7GWW27gDa1bRZDkh81SOTw9EV4KWs2Mg-EqwRqAXCtQOqxChY11QJd0PYxVG-f3M4WF4nTB-IEAhk7/s1600/Attack_on_Titans.jpg" height="225" width="460" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
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Appiccicarsi coi Giganti non è cosa da nulla. Sono terrificanti, essi. Infatti i "titani" partoriti dalla matita di <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Hajime_Isayama" title="Hajime Isayama">Hajime Isayama</a> e trasposti in video dal <a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Wit_Studio" target="_blank">Wit Studio</a>, ci mangiano. Appaiono all'improvviso: occhi d'una innocenza ebete, nudità evirate del proprio sesso: corrono, ti afferrano e <i>gnam! - </i>sai già dal primo episodio come andrà a finire. I tuoi compagni verranno divorati, uno dopo l'altro, senza ragione (tranne quella della pulsione a divorare, smembrare e godere del dolore altrui). Nel <b>medioevo steampunk</b> di <i><b>Attack on Titan</b></i>, l'umanità si è cinta all'interno di 3 muraglie concentriche (Maria, Rosa e Sina), ma dopo un secolo di protezione coatta, un enorme gigante apparso dal nulla penetra all'interno di Maria, ed è il caos. La popolazione è decimata, le milizie umane massacrate e occorre addestrarne al più presto di nuove, a partire dai ragazzini sopravvissuti, o sarà la fine.</div>
<a href="http://fc00.deviantart.net/fs70/i/2013/193/2/5/attack_on_titan_by_brendanpark-d6aw31w.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a><a href="http://fc00.deviantart.net/fs70/i/2013/193/2/5/attack_on_titan_by_brendanpark-d6aw31w.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://fc00.deviantart.net/fs70/i/2013/193/2/5/attack_on_titan_by_brendanpark-d6aw31w.jpg" height="147" width="200" /></a></div>
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Fra di loro c'è il rivoltoso <b>Eren</b> e la gelida <b>Mikasa</b>, due giovani uniti da un'infanzia a dir poco sanguinaria. Il loro addestramento li porta a far parte del corpo degli esploratori, il ramo militare che rischia le chiappe all'esterno delle mura cercando di raccogliere informazioni sulla natura dei titani. I due diventano maestri del <i><span class="t_nihongo_romaji"><b>Rittai Kidō Sōchi</b>, </span></i><span class="t_nihongo_romaji" style="font-weight: normal;">un marchingegno alimentato a gas</span> che permette di volteggiare agilmente sfruttando un sistema di corde e rampini. Solo indossando questo <b>"dispositivo per le manovre in 3D"</b>, gli esploratori possono sperare di colpire l'unico punto debole dei giganti: un lembo di carne posizionato poco al di sotto della nuca, la cui evirazione decreta l'immediata polverizzazione del mostro.<br />
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<a href="http://samuraibeatradio.files.wordpress.com/2013/10/attack-on-titan-3d-maneuver-gear.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://samuraibeatradio.files.wordpress.com/2013/10/attack-on-titan-3d-maneuver-gear.gif" height="223" width="460" /></a></div>
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Si tratta dunque della solita solfa Noi vs Loro? Nemmeno per sogno. Difatti fra gli umani serpeggia il germe del tradimento e dell'insurrezione. Oltre a sussistere un sistema monarchico e centralizzato mirato prettamente alla difesa della roccaforte regia (vi ricorda qualcosa?), anche fra i tre corpi militari (<b>la guarnigione di difesa</b>, la gendarmeria aka <b>gli sbirri</b>, e <b>gli </b><i><b>esploratori</b> </i>di cui fanno parte Eren e Mikasa) non c'è unione. In particolare, le milizie che operano all'interno delle mura sono quasi del tutto inconsapevoli della terribile crudeltà dei giganti e <b>tendono a "resistere" in maniera passiva e non-progettuale</b>. Per gli esploratori è tutto il contrario: vedere i propri compagni inghiottiti nelle fauci dei mostri è un'esperienza ricorrente che ha generato un desiderio di vendetta mescolato ad un sentimento di empatia e sostegno collettivo.<br />
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Se da un lato <i>Attack on Titan</i> può rivelare tutta una retorica del sacrificio e del cameratismo, <b>l'immaginario e la narrazione che sviluppa si apre ad interpretazioni più complesse e interessanti</b>. Come accennato, il conflitto non è semplicemente fra due blocchi (Giganti vs Umani). C'è uno scontro fra generazioni sociali, fra corpi militari e gerarchie, fra abitanti delle diverse cinte murarie poiché non c'è accordo su quale <i><b>strategia di resistenza</b> </i>da seguire. Il mondo prima dell'arrivo dei giganti (siamo in un utopico IX sec.) non è idealizzato: Eren e Mikasa subiscono e praticano la violenza già in età infantile. <b>L'innocenza quindi non è mai esistita, perché il trauma è endemico</b>. Gli stessi giganti hanno fattezze e volti umanamente familiari, benché il loro sguardo assente e la pulsione assassina li rendano apparentemente privi di coscienza e sentimenti. Non si tratta dell'ormai onnipervasiva "allegoria dello <i>zombie" </i>per cui<i> </i>l'ordine sociale è minacciato da una massa di ex-uomini che attacca <i>sine ratio</i>. In <i>Attack on Titan</i> <b>ogni gigante è un monolite contro il quale una moltitudine di guerrieri e guerriere si scontra nel tentativo di difendersi, ma anche di decriptarne il segreto</b>. E ben presto il dubbio che fra gli umani vi sia qualche gigante "in incognito" diventa palese. La "morte rossa", parafrasando il celebre racconto di Allan Poe, è in mezzo a noi, s'insinua dall'interno. Non rimane dunque che uscire alla scoperta, combattere collettivamente ma continuando a coltivare le proprie <i>skills</i>, manovrando un'esplorazione "in 3D" per capire che <b>forse "il gigante che è in noi" è l'arma più potente per salvare l'umanità</b>.<br />
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Insomma: <b>#davedere</b>. <br />
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