domenica 9 febbraio 2014

Deframmentare il Sé: note da New York (Vol.1)


«San Giuseppe da Copertino, guardiano di porci, si faceva le ali frequentando la propria maldestrezza e le notti, in preghiera, si guadagnava gli altari della Vergine, a bocca aperta, volando.»
Nostra Signora dei Turchi 
Carmelo Bene
***

Frequento la maldestrezza da un paio di settimane: qui, nella città che non dorme mai.
Si planava raggianti. La vista lattea, al cospetto di una Costa Est in cui infuriava il bianco. Massicciate di bianco. Pozze di bianco. Grumi. L'atterraggio è questo zoom in avanti sul googlemaps dell'irreale. Fino allo screzio del pneumatico e il rollio verso la misura d'uomo. Il freddo che schianta i polmoni, il fetore ammaliante di glucosio e carne affumicata, i fantasmi, a sciami, dall'atterraggio di sette anni prima. Eccomi capitolare a New York, impreparato.

Quello di Brooklyn, è un risveglio al colesterolo tostato. Una, due, sette fermate: il riflusso di zucchero a velo non ti molla sino a Manhattan: il formicaio. Mi riscopro maldestro nel coordinare l'estrazione del biglietto con la rimozione dei guanti e il varco del tornello, mentre in balia della moltitudine non mi accorgo che la temperatura implode a - 11 gradi. Leggo, ballo, ascolto: maldestramente.

 

Quando si viaggia, bisogna farlo in maniera radicale. La prima cosa da fare è perdersi. E non intendo semplicemente perdere la strada, bensì perderSè-stessi, a partire dal nome. Ad esempio qui non esiste più "Giuseppe", bensì Jussìpi. Io-non-esisto, e non è un eufemismo. Pare che il nostro senso del Sé, la nostra coscienza, sia emersa grazie all'auto-stimolazione vocale che i primi esemplari di Homo Sapiens svolgevano nei momenti di solitudine. Parlando a Sé stessi, i primitivi permisero il collegamento fra aree del cervello non predisposte a comunicare dall'evoluzione biologica. Il linguaggio duqnue non serve solo a creare ragnatele verso l'esterno, ma anche a tessere la nostra mente. Rinnegare un nome o un'intera lingua, significa letteralmente deframmentare il nostro Sé. Ecco perchè quando ballo, passando dal pensiero-parola al pensiero-corpo, il mio Io non è più Io: si degrada.
 

Proporzionalmente a questa perdita ego-centrica, il baricentro mentale si estende, sgasa. L'assimilazione di decine di nuovi concetti, l'esperienza di piani temporali sfasati (jetlag!) e piani spaziali sovrapposti, le strattonate del metabolismo: conseguenze del meteorite New York nell'ecosfera mentale. L'effetto è come (e anche) guardarsi Sé stessi dall'esterno attraverso una tuta disindividuante.

Nel frattempo, il blog registra un picco di visualizzazioni senza precedenti. E' bastato ripubblicare una vecchia letterina nei confronti degli "Amici di Amici di Maria", per scatenare un inaspettato (e fruttuoso) flusso di commenti e discussioni in seno alla scena Hip Hop/Breakdance italiana. Così mi sono ritrovato a moderare maldestramente decine di commenti a 6 ore di fuso orario di distanza, mentre su Facebook scoppiavano i primi flame (aka scazzi) innescati dalla condivisione del mio articolo. Ancora una volta l'ambiente 'user-friendly' dei social media si rivela un'arma a doppio taglio per lo svolgimento di argomenti seri quanto delicati. mentre la struttura del blog, con i suoi script rozzi e l'interfaccia contro-intuitiva, determina un tono, un ragionamento e un mood degli interventi decisamente più ponderato. Puntare sulla qualità dei discorsi rispetto alla quantità delle visualizzazioni è possibile, se la piattaforma è no-profit. Per questo commentare qui, ha un peso molto maggiore rispetto a un "mi piace" o un "retweet".

Senza divagare troppo, ecco la situazione:
un ego in degradazione, una mente in dispersione e una comunità in ricomposizione.


Che ognuno frequenti la propria maldestrezza, giusto un po' il sabato sera.

[to be continued...]                 

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