Ci vollero giorni affinché questa scena primaria tornasse a galla, e alcune ricerche per scoprire che quel cartone animato giapponese l'avevo visto pochi anni prima su Junior Tv, il canale interregionale di tv ragazzi che trasmise la prima parte della serie animata di Dragon Ball senza censure e con la sigla originale nel lontano 1989 (e ancora nel 1991) su iniziativa di una intraprendente società di distribuzione italo-giapponese. Molto prima del flop delle videocassette di Dragon Ball GT (1996) e del grande boom dell'edizione trasmessa in forma completa su Italia 1 dal 2001 in poi.
Così, oltre ad acquistare regolarmente gli albi di Dragon Ball fino all'ultimo numero del 1997, recuperai a singhiozzi quelli precedenti, ricostruendo le vicende che portarono il Goku bambino a crescere, sposarsi, figliare e trasformarsi nel guerriero più invincibile dell'universo. La lettura di Dragon Ball coincise con l'iniziazione al mondo dell'hip-hop, nonché alla trasformazione da bambino con la zazzera ad adolescente coi capelli dritti a la Super Saiyan.
Il manga di Dragon Ball è stato senza dubbio il mio romanzo di formazione. Oltre alla spettacolarità dei disegni, diametralmente opposti a quelli di Erik Larsen per l'Uomo Ragno (che pur leggiucchiavo), il primo, forte scossone me lo diede l'idea che un "cartone" potesse crescere ed evolvere. Di li la curiosità, come in un affresco noir, di ricostruire le tappe di questo mutamento fisiologico e con lui le coordinate del vasto universo di antagonisti che non scomparivano una volta sconfitti, ma diventavano comprimari, alleati e insieme eterni rivali di Goku. Il caso più noto è quello di Vegeta, che senza riuscire mai a battere Goku in uno scontro diretto, riesce sempre a livellarsi al suo antagonista e trainare il resto della banda a superare costantemente i propri limiti. Un vero e proprio stile di vita che si cementifica quando nella saga di Cell Goku e suo figlio Gohan compiono il primo ritiro di allenamento nella famigerata stanza dello spirito e del tempo, un microuniverso a 10G, dove un anno di permanenza al suo interno corrisponde a un'ora sulla Terra. Un'altra tavola di Toryiama che resta indelebile nella mia memoria è quella di padre e figlio che escono dalla stanza in versione Super Saiyan apparentemente calmi e rilassati, ma in realtà irrimediabilmente evoluti, tanto che a salvare la Terra sarà l'ormai adolescente Gohan. Ma quando Goku sembra dover passare il testimone alla nuova generazione, ecco che con un repentino salto temporale Toryiama ci mostra Gohan più interessato agli studi che alle arti marziali, mentre il padre e Vegeta, in piena epoca di pace, continuano ad allenarsi con la cazzimma di due teenager del South Bronx. A loro corredo Toryiama non trascura mai del tutto il nutrito sottobosco di guerrieri decaduti che continuano a esercitarsi, lottare e sacrificarsi (anche letteralmente) per salvare la Terra dalla nuova minaccia di Majin Bu. E quando anche Goku ci rimette le penne, Toryiama lo fa allenare (e tornare) persino dall'aldilà, delineando una grande epopea dove lo scopo dell'esistenza (anche quella ultraterrena) consiste nel mettersi in discussione, lottare dentro/contro i propri limiti, travalicare mondi e orizzonti, anziché accontentarsi di accumulare trofei e abbandonarsi ai nostalgismi.
È indubbio che io abbia riportato gli insegnamenti della saga di Toryiama nella mia vita da b-boy, avviata nel 1998. Il gruppo di "acerrimi amici" di Dragon Ball fu un modello fondamentale per immaginarmi il significato di "crew", giocato proprio sull'equilibrio fra rivalità e fratellanza, stile personale e valori comuni. La cultura dell'automiglioramento di Goku (contrapposta all'ossessione prestazionale di Vegeta) ha guidato come una stella polare questi 25 anni di allenamenti che, non è un caso, si svolgono quasi sempre in luoghi liminali richiamanti la dimensione della "stanza dello spirito e del tempo". Sottovia isolati, sale di palestra insonorizzate e garage disponibili rigorosamente di notte e situati in aree industriali o di periferia. Sebbene anch'io, nei tempi d'oro, abbia avuto la soddisfazione di vincere i miei tornei Tenkaichi, scavallati i 35 lo scopo dell'allenamento non è stato più quello di vincere la gara ma di essere pronto alla sfida: prima contro sé stessi, poi contro il migliore degli avversari possibili. Con l'arrivo dell'adultità e le responsabilità che ne derivano, massimizzare il poco tempo a disposizione per mantenere o evolvere le tecniche ideate e acquisite negli anni passati è un'attività che cerco di compiere almeno settimanalmente, come a voler riunire le sette sfere del drago, realizzare un desiderio e ricominciare tutto daccapo.
Mentre all'inizio della mia carriera l'identificazione andava con Goku, negli anni ho rivalutato i ruoli di personaggi come Piccolo e Tenshinan (forse perché nel frattempo condividevo con loro anche il taglio di capelli!). Entrambi, all'inizio nettamente più forti di Goku, non riescono più ad avvicinarsi al livello del rivale ma continuano a migliorarsi e soprattutto ad essere presenti nel momento del bisogno, ispirando o guidando il comportamento delle nuove generazioni. Come Piccolo, che diventa il mentore di Gohan, o Tenshinhan, sempre con un occhio (dei tre) rivolto al benessere dell'amico Jiaozi. È esattamente così che vedo il mio ruolo di b-boy alla soglia dei 40 anni.
Nella mia attività di insegnante di danza e arteducatore ho avuto il grande privilegio di rielaborare gli insegnamenti di Dragon Ball con i miei allievi. Cercando di abbinare quell'ingenua, spontanea, simpatica gentilezza propria di Goku con la determinazione marziale e ascetica di Piccolo o Vegeta, ho cercato di introdurre i neofiti al breaking attraverso il principio pedagogico e politico che ci si possa rimboccare le maniche anche senza perseguire il mito del Cristo morto sulla croce o dell'American self made man. Pericolose tossine presenti sia nella cultura italiana sia in quella hip-hop, che un mondo iper-tecnologizzato ma non totalmente votato al capitalismo come quello di Dragon Ball può riuscire a mio parere ancora a debellare.