domenica 8 giugno 2014

Un bloody mary per smaltire: domande e commenti su LcomeAlice

Se questo spettacolo vi ha dato alla testa, quel che ci vuole è un bicchierone di bloody mary. Nelle ultime due settimane, ci siamo andati giù pesante: la vostra L è tornata in scena, ha fatto scena. Prima al Teatro Studio Uno, coinvolgendo nuovo pubblico e recensori (Gufetto, Ghigliottina, Persinsala, Kirolandia), poi allo spazio di mutuo soccorso Communia, rendendo "scena" quel che fino a pochi mesi fa era discarica. 

"Scenarizzare", come direbbe Yves Citton, è un'attività che lavora sull'impalcatura della narrazione quanto su quella mentale: vedere e ricordare Communia come la stanza "ad orologeria" della giovane Alice, vale molto di più del semplice immaginare o ipotizzare una tale visione. Lo stesso vale per gli oggetti di artigianato steampunk che Davide del Progetto Steam ha realizzato e scelto per lo spettacolo. Essi sono veri e propri "artefatti cognitivi", oggetti materiali che incarnano indizi scatenanti pratiche e idee divergenti. Non si tratta di arzigogoli scenografici: i manufatti di Davide funzionano e sono unici. Se apri la chassis del telefono, scopri un ingresso audio compatibile per lettori mp3, così come, se guardi da vicino l'avambraccio meccanico di Alice, avverti il ticchettìo dell'orologio, il crocchìo degli ingranaggi.

L con avambraccio e spallotto meccanico + cinturone a cura di Progetto Steam
Tutto questo serve a mostrare e incrociare mondi molteplici, caricare e accumulare resistenze in vista della scena e oltre. Il "teatro resistente di Alice", prolessi del saggio che ci ha dedicato Giuseppe Sofo, analizza questo tipo di conflittualità che critica i modi di produzione, i paradigmi della direzione artistica, i modelli spettatoriali e i limiti psico-culturali dell'oggetto-spettacolo, piuttosto che insistere sul presunto contenuto "socio-politico" della trama. Con L come Alice ci si autoproduce collaborando con altri autoproduttori, non per chiudersi ma per estendere il virus; il rapporto regista/attrice è portato volutamente all'estremo affinché generi una sovversione dello stesso; gli spettatori e le spettatrici vivono miratamente un'esperienza che mischia cinema delle origini (dove le proiezioni erano alternate a spettacoli di vaudeville, intermezzi musicali, presentazioni) e fantasmagoria (retroproiezione di "fantasmi" all'interno di un ambiente semi-illuminato, risalente alla fine del XVIII sec.); ed infine L mette in discussione il feticcio dell'oggetto-spettacolo come momento conchiuso in un'oretta di convivialità silenziosa e "gazzetteria rusticana" nell'arco di tempo atto a consumare una pizza. 

Sì, lo spettacolo è anche quello, ma se non coinvolge la partecipazione dello spettatore prima e dopo la mise-en-scene, è destinato a divenire solamente un rito di passeggio. Per questo disponiamo intorno alla scena, sul web, nei luoghi, tutta una serie di briciole di pane per orientare questa passeggiata prima, dopo e durante lo spettacolo. Un'esempio è la nostra valigia a doppia sacca, una bacheca di contributi plurimediali in continuo aggiornamento. Ma questo non è sufficiente, perché si tratta ancora di una una strada ferrata, mentre ci piacerebbe imbatterci in sentieri nascosti, caverne inesplorate, belvedere aggettanti sull'oceano che voi stessi potreste aver scoperto a nostra insaputa.

Quindi vi offriamo un bloody mary virtuale: immaginando il retrogusto di vodka farsi strada tra il pomodoro speziato, qui potete fare domande, confrontare versioni e ricostruire la storia della serata in cui vi siete sborniati di L.  

Smaltire l'hangover in compagnia, non è parte della festa?    

    

4 commenti:

  1. ho visto L come Alice per la prima volta l'altra sera @ communia, il che non mi dispiace affatto (anzi) ma mi mette nella condizione di poter manifestare giusto qualche impressione a caldo, una digestione della superficie quindi, senza poter andare a fondo, per dirla con la provocazione del post un hangover di chi è andato sotto sbrillo tracannando alla goccia e senza distillare ciò che ha buttato giù. Ma lo faccio ugualmente perché sono dovuto andare via dopo lo spettacolo quando mi sarebbe piaciuto fermarmi a scambiare due battute con Nexus o sentire qualche battuta di altri a Nexus. Vengo al dunque: L come Alice mi sembra un contenitore del possibile davvero stimolante, stai lì tutto preso dalla performance e poi, a sprazzi neuronali, ti arrivano degli spunti: uno, due, tre e poi di nuovo fagocitato dalla messinscena. è una dimensione di passività spettatoriale tanto forte da stimolare l'attività di chi guarda a rispondere, a mettersi in conflitto appunto, a carpire qualcosa dal trip in cui è immerso. A proposito di spunti due cose per ora mi sono rimaste a rimbalzare nel teschio come palline gommose: "che memoria misera se funziona solo all'indietro" e il gioco di regia in cui l'attrice corrisponde con la sua immagine fantasmatica; i due momenti combinati assieme mi hanno rimandato alla mente il momento in cui Neo, nell'anticamera della stanza prima di incontrare l'oracolo, è invitato da uno dei tanti potenziali eletti a piegare il cucchiaio con la mente e ci riesce quando giunge alla verità che "il cucchiaio non esiste". Cos'è il cucchiaio? La realtà, lo spazio, il tempo e tutto ciò che trafigge e passa in mezzo a queste dimensioni. Ognuno si fa i suoi viaggi, questo è stato il mio. Spero di riuscire a rincrociare L come Alice, nel frattempo good luck a chi la costruisce e decostruisce, a chi la rende viva. Complimenti al regista tiranno e alla fantasmagorica attrice

    adriano masci

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    1. Il collegamento con 'The Matrix' è più che azzeccato, purché si accetti che dietro l'illusione della realtà e dell'esistenza, non c'è 'la verità' bensì - come suggerisce Zizek riprendendo una frase di Morpheus - "il deserto del reale". Scegliendo la pillola rossa, Neo vede "quant'è profonda la tana del bianconiglio" (altra frase di Morpheus esplicitamente legata al mondo di Alice) e scopre il mondo vero, ossia una landa desolata e grigia dove l'esistenza è ridotta a stato vegetativo e incosciente, ossia a "nulla". Alice non esiste, eppure sussiste, ecco il paradosso espresso dalla Logica del Senso di Deleuze e che ritorna anche in certa letteratura cognitivista a partire dagli anni 90 (es. Daniel Dennett e il suo "eliminativismo materialista").
      ***
      Ritornando ad Alice, la battuta della regina ("Che memoria misera se funziona solo all'indietro") giunge nelle prime pagine di "Attraverso lo specchio" di Lewis Carroll, quando la regina rossa dà una sorta di mandato ad Alice (arrivare all'ultima casella e diventare regina), illustrando le bizzarre regole del mondo dello specchio. Secondo questa logica la regina prima grida dal dolore, e solo successivamente si punge. Nel mondo dello specchio la memoria dunque funziona soprattutto in avanti, è utopica. Come notava Deleuze, in Alice il tempo viene massacrato e dal kronos (tempo lineare e sequenziale) si passa all'Aion (punto aleatorio che genera passato e futuro).
      ***
      In una sintesi quasi funambolica dei due concetti (la vera realtà come "nulla" e il tempo come Aion) la scena della regina in L come Alice, vede l'attrice alle prese con un bendaggio che mano a mano svolge via, fino a tornare al momento in cui Alice si punge con lo spillo del vestito della regina (che intanto scompare) senza rivelare ferita alcuna. Questa allegoria, oltre Carroll, ha un altro precedente illustre: in una scena del MacBeth di Carmelo Bene, in apertura di "4 Momenti su tutto il nulla - Coscienza/Conoscenza (on-line su youtube), Carmelo svolge una benda insanguinata che mano a mano scompare, rivelando un braccio sano.

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  2. Bella l'analisi sensoriale a sensazione di Adriano, credo che il passaggio in cui parli di "una dimensione di passività spettatoriale tanto forte da stimolare l'attività di chi guarda a rispondere, a mettersi in conflitto appunto" sia centrale per la creazione di questa Alice, e soprattutto per il suo viaggio all'esterno, o meglio all'interno di altre menti. Bello viaggiare insieme.

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  3. Esperienza davvero stimolante che viaggia in quel lungo periodo storico attraverso l'amore platonico di Lewis Carrol, dalle lettere di Antonin Artaud fino alla psicologia di Gilles Deleuze. Il contenitore funge alla perfezione e interroga l'inconscio per scoprire la vera identità di aLice ( o di tutti noi ? ). Laura Garofoli è stata brava e sensazionale nell'interpretare tanti ruoli diversi nella singola aLice presente sulla scena. Sincronizzazione perfetta tra lei e i filmati realizzati da Nexus. Studio, ricerca, passione e dedizione hanno creato non solo ad aLice ma in ognuno di noi quella domanda che il nostro inconscio perseguita da sempre.

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