venerdì 16 novembre 2012

Stregatto randagio - un racconto di Nexus

Questa estate ho preparato uno show e mi sono messo in viaggio. Avevo scritto due righe qui sul blog, e portato con me un quaderno di appunti. Ritornato stravolto da questo tour di 10 giorni in solitaria, fui obbbligato al riposo coatto e fra settembre e ottobre scrissi *qualcosa*, rielaborando gli appunti del quaderno. Ora, poichè sto scrivendo un'altra cosa e un'altro spettacolo, mi riesce difficile pubblicare nuovi articoli su nexusmoves. Ecco perchè nelle prossime settimane vi sorbirete questo racconto a puntate che narra in stile picaresco (ma non troppo) le mie avventure lungo la riviera adriatica. A farvi compagnia i soliti topic del blog, che sono gli stessi della mia esistenza: breaking, cinema, filosofia, vita di strada, cultura hip hop e nasi rossi.

Prima di iniziare il viaggio, una premessa d'obbligo:
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


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Stregatto Randagio



Quaderni di un b-boy con l'hobby di lavorare

 

 

 


0.




Un giorno qualunque decise di partire. Fare fagotto, rilanciare la sua arte per le strade. Mancava solo l'idea, la traccia musicale, l'apparecchiatura e l'itinerario. Insomma mancava tutto. L'estate s'apprestava al giro di boa e ne dedusse che il tempo fosse dalla sua. Si sentiva in gran forma. Non rimaneva che applicarsi. L'idea precipitò inaspettata o forse s'era accovacciata sotto la coltre dell'inazione, balzando fuori assetata d'effetto sorpresa. Decise di raccontare la storia del cinema attraverso il breaking, o come tutti chiamavan' breakdance, l'antica arte di voltolarsi sul beat.

Per l'imminente performance servivano colonne sonore orecchiate e ballabili, oltre ad una coerenza storico-critica delle citazioni che ne avrebbero composto l'intelaiatura. Seguirono giorni di intenso studio. Mentre scorreva il manuale di cinema nordamericano, cavalcava con la memoria fotografica i capolavori di quello italiano. Sebbene fosse a suo agio coi fornelli, dilapidava primi piatti frugali e spuntini ipocalorici. Trascurò l'allenamento quotidiano per sfarzose elucubrazioni. Prendeva la cosa molto sul serio, come se il fantasma di Roland Barthes lo avesse potuto sbertucciare pubblicamente da un momento all'altro. Una sera si coricò con un dilemma: il pubblico medio avrebbe colto la citazione a Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene? Un'altra notte, domandò a Laura, la sua convivente: “E se mettessi la sigla di Batman degli anni sessanta?”. Laura sapeva che confondere il cinema con la televisione era sintomo di un imminente tracollo. Spense la luce senza rispondere.


La svolta arrivò guardando per la prima volta Singing in the Rain con Gene Kelly e Ginger Rogers, mentre il divenire-colla del suo divano d'accatto blu in similpelle, sanciva la capitolazione di luglio e l'arrivo di un agosto mangiafuoco. La mattina successiva era già all'opera sulla traccia. Farcì la moka di polvere nera, versando poi l'intruglio caldo in una tazzina che si recapitò sullo scrittoio, dove raffreddò lentamente. Rimosse il guscio metallico del pc e vi direzionò i potenti zefiri del Pinguino De Longhi classe '92, regalo del suo amico Ivan, detto Timon. Ingollò la sbobba. Quel giorno avrebbe campionato Luci della città di Chaplin, Puttin on the ritz e Top Hat con Fred Astaire, Casablanca, Per qualche dollaro in più (aggiungendovi The Mexican di Babe Ruth), poi Pulp Fiction, Fantozzi e My heart will goes on di Celine Dion, l'eiaculazione finale. Prima di dar vita a Frankenstein, si concesse una dozzina di giorni per un altro progetto artistico. Si recò a Perugia, tornò dopo uno scontroso weekend, riascoltò l'abominio e si convinse che in fondo fosse cosa buona. Non contento, salvò il tutto in mp3.

Nel frattempo aveva ordinato su internet una cassa amplificata portatile da due chili e mezzo. Si sarebbe spostato in treno, mezzo di trasporto preferito, nonostante disprezzasse con tutto il cuore i pubblici masnadieri che ne gestivano le disfunzioni. Poco più d'una bisaccia avrebbe rappresentato il suo bagaglio, oltre alla cassa dotata di tracolla e un tappeto di linoleum dalle dimensioni ridotte. In suo soccorso giunse lo zaino da montagna appartenuto al padre: schienale imbottito e gancio-dotato, sfoggiava un anti-metropolitano verde militare, particolare su cui si poteva soprassedere. Per il linoleum ci fu da sgobbare. Si ridusse alla notte prima della partenza, quando sgattaiolò in un pianerottolo del quartiere Pigneto per riservarsi un vecchio avanzo di pvc donatogli anche stavolta dall'amico Ivan, detto Timon. Passò i giorni precedenti a recuperare gli ultimi oggetti di scena, sguinzagliando conoscenti e consanguinei. Il fratello trovò un modellino di bimotore in ferro per la scena di Casablanca, e Laura suggerì l'uso di un geranio di plastica per la gag su Via Col Vento e Porta a Porta. Mancavano gli occhiali 3d, quelli con la lente rossa e l'altra blu. Arrivò la cassa. Era priva del filo per collegare il lettore audio. Un giorno, spalancando il portafogli, si accorse che aveva terminato i biglietti da visita. Aprì il cassetto con le scorte: un'ecatombe. Sacrificò un paio di notti, elaborò una nuova grafica e inoltrò l'ordine di stampa presso una ditta di Genova. Un intoppo in meno. Eppure quella notte si addormentò con atroci sensi di colpa. Hitchcock, Kubrick, Woody Allen, Pasolini: tutti rimasti fuori dall'arca di Noè musicale.

Si svegliò col calendario di agosto spuntato al numero tre. Crosticine gialle che non si staccano, dentifricio. Non ricordava l'ultima volta che aveva messo piede in una drogheria. Laura lo aveva assistito nella missione di comprare un elastico per il naso rosso - quel naso rosso che giaceva immobile nella caverna degli oggetti di scena - poi era partita per un laboratorio teatrale a Venezia diretto da Luca Ronconi. Il termometro oziava sopra i 35. Pasta al pesto di mandorle e spinaci: cucina voluttuosa, vade retro! Doveva muoversi.


Prima tappa: Pescara, dove avrebbe alloggiato nell'appartamento vuoto del fratello; poi verso nord, sicuramente Senigallia e Pesaro, dove contava amicizie di sangue. Avrebbe ricevuto con due giorni di ritardo i biglietti da visita, causa irruzione del weekend ed errata indicazione del numero civico nella fattura d'ordinazione. Il cheshire cat di Daniel Tenniel, aka Lo Stregatto, copriva metà facciata della sua personal card. "Bè! Mi è capitato spesso di vedere un gatto senza sorriso", pensò Alice, "ma un sorriso senza gatto! E' la cosa più curiosa che abbia mai visto in vita mia!" Decise di piazzare uno stregatto in ogni luogo o loculo in cui avrebbe pernottato. Un significante senza significato, un sorriso senza gatto.

La partenza si sciolse in un dubbio: dove avrebbe provato la sua performance? Come spesso capitava nel bel-paese delle meraviglie, lo show non fu mai provato integralmente sino al giorno della prima, quando al terzo minuto degli otto che componevano il suo assolo, gocce di sangue e sudore gli sgualcirono a poco a poco la vista. Sino al buio totale.

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