Vallanzasca Regia: Michele Placido
Con: Kim Rossi Stuart, Valeria Solarino,
Filippo Timi
Quanto ci piace il crime! Ci piace così tanto che ne seguiamo la scia di sangue fino in parlamento (sangue mestruale, probabilmente, ma pure sempre sangue). "Pane, Politica e Fantasia" sarebbe un titolo azzeccato per lanciare un nuovo neoreoalismo che prende a cuore le vicende dell'Onorevole medio alle prese con la lotta per conservare "il posto" (in poltrona) e farcire il pane quotidiano di scandali, smentite, sproloqui, videolettere. In questo put purries di tutto e niente, il cui unico scòpo sembra quello di omologare l'eccezione, moltiplicare le colpe per sfamare i corruttori, si sente quasi la mancanza del vecchio crimine all'italiana.
Quello "pasta e ceci" della banda del buco di Monicelli, quello con la zeppola di Bombolo, e per ultimo, quello epico e brutalmente tragico di Romanzo Criminale, dove, dal cinema alla tv, ha messo in scena filo rosso che legava la borgata con il palazzo. Michele Placido torna ad affrontare questo hot spot con Vallanzasca: il Romanzo Criminale alla milanese. Accolto bene al festival di Venezia, la storia di Renato Vallanzasca è quella che Barthes chiamerebbe "un mito d'oggi". Il mito del cattivo "umano troppo umano", del fashion villain, del mostro umanizzato. Il rischio, come sempre, è quello di giustificare gli orrori della guerra (in questo caso, guerra contro la polizia) attraverso un ritratto personale e intimistico del soggetto criminale. Il rischio c'è, ma in Italia è stato abbondantemente "aggirato" con la politica del "ma anche".
In queste settimane di "Rubygate", stiamo assistendo a come si può essere "legalmente innocenti" - ma anche - "moralmente colpevoli". Crisi, in greco crisi significa "scelta". La crisi di oggi è una crisi della scelta, perchè scegliendo sappiamo di contribuire a quella formula a "somma zero" che sta contrapponendo il buono dal cattivo, il morale dall'immorale, l'illegale dal legale. Bisognerebbe, e Vallanzasca ne parla a lungo, accantonare la presunzione di credersi super-partes, di accettare l'atteggiamento anti-dysneiano che il "cattivo", il lato oscuro "un pò più pronunciato degli altri" (citando la battuta di Kim Rossi
Stuart) ci piace. Ci piace, ma non per questo dobbiamo farci sopraffare, non per questo dobbiamo giustificare chi sfrutta questa nostra debolezza per fare propaganda e, cosa ben più grave, assolversi dalle proprie resposabilità verso la comunità tutta. Renato Vallanzasca ha ucciso e sta pagando per i suoi reati (e anche per quelli di altri della sua banda).
Ora, Fabrizio Corona è il suo alter-ego incartapecorito: un
villain villano che ha lavorato per consegnare al
mainstream un lato oscuro impomatato per sprecare inchiostro e pomeriggi catodici. Ma l'ombra non si vive in questo modo, non è cosa da esibire, e quando lo si fa, essa svanisce (almeno agli occhi di chi non è un idorcefalo). Vallanzasca per questo è realistico, e non apologetico.
Conclusione per tutti i bboy: andate a vedervi Vallanzasca.