Dopo essermi sparato in vena il recente cult planetario The Walking Dead, l'ammazzazombie che è in me si è spinto oltre, inaugurando la mia nuova postepay con Left 4 Dead. Questo videogame sparatutto prodotto da Valve e distribuito sulla piattaforma online Steam, è ormai il Resident Evil degli anni 2000. La storia è sempre la stessa: "curare gli zombie...una pallottola alla volta." A compiere l'impresa quattro sfigati della middle-class americana: un meccanico, un giornalista, un coach di football...insomma, gente di strada come piace a noi. Personaggi abbastanza bruttini, ma estremamente cool. Perchè in uno sparatutto standard si tende a prendere l'arma più potente e precisa ma in Left 4 Dead il gusto di sterminare gli zombie con una padella da cucina o con la katana di Bruce Willies, o il machete di Danny Trejo, è impareggiabile. Non c'è realismo, salvo quello cinematografico degli slasher e dei grindhouse di tarantiniana rievocazione. Ed è qui il primo indizio ideologico del gioco: se non si colgono questi riferimenti alla cultura cinematografica postmoderna, si è fuori (dal vero gioco, intendo). Ogni campagna è divisa in tempi, come al cinema, ed introdotta da una locandina in stile action movie hollywoodiano con tanto di sottotitolo. C'è Swamp Fever (Febbre di Palude) dove "l'unica cura è morire", oppure il Centro di Morte in cui "Prices aren't the only things getting slashed" (i prezzi non saranno le uniche cose ad essere tagliate). E poi c'è "Director", l'intelligenza artificiale che si occupa di creare un'effetto di "procedural narrative". Si tratta di un nuovo sistema in rapida diffusione nei giochi in cui l'A.I. analizza lo stress dei players (punti vita, equipaggiamento, punteggio ecc.) e aggiunge/diminuisce oggetti e mostri per migliorare la suspance e i colpi di scena della partita. Hitchcock sarebbe un NERD.
Secondo: gli zombie. Sono passati quasi 200 anni da quando Mary Shelley concepì l'idea di Frankenstein dopo una notte nella villa dell'amato Lord Byron a Ginevra. Frankenstein, il morto che cammina. Poi Dracula il morto che si nutre e infine, tocco poetico, "l'orrore" di Kurtz in Cuore di Tenebra, dove gli indigeni della giungla erano...beh, lasciamo parlare direttamente Conrad:
"La terra qui sembrava ultraterrena. Noi siamo abituati a vedere la forma incatenata di un mostro sopraffatto, ma lì - lì potevi vedere qualcosa di mostruoso e di libero. Era terrificante e gli uomoni erano... No, non erano inumani. Bè voi sapete che è proprio questo il lato peggiore della cosa - il sospetto che non fossero inumani si affacciava a poco a poco."
Risiede qui il fascino degli zombie: non tanto il sentimento sublime di scontrarsi con qualcosa di incontrollato e misterioso, quanto il sospetto che fra noi e loro ci sia un'oscuro legame genetico. Come fa notare Zizek nel suo ultimo libro Living in the end of the Times (2010), è forse il caso di pervertire la nostra interpretazione delle storie di zombie seguendo l'indicazione del romanzo originale di Io sono leggenda (Richard Matheson, 1954). Nella versione cinematografica Will Smith "diventa leggenda" poichè sacrifica la sua vita per consegnare l'antidoto dell'epidemia alla colonia di superstiti e rilanciare così un new cursus dell'umanità (come un certo tizio con la barba 2011 anni fà). Lo stesso titolo, nel romanzo originale, acquista un significato completamente diverso: il protagonista Neville, "diventa leggenda" non per gli umani (è l'unico uomo superstite) bensì per la nuova razza di vampiri che hanno preso il posto dell'umanità dopo l'ultimo conflitto mondiale. Per loro, noi umani siamo "la leggenda", esseri straordinari da annientare per garantire la sopravvivenza della specie. Anche in Left 4 Dead la catarsi cinematografica e la parziale identificazione con gli eroi, ci fa scordare che in effetti sono gli zombie la maggioranza etnica.
In chiave parapsicologica, entriamo nel campo dell'Altro. Così, nel celebre saggio di Lacan "Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'io", lo psicanalista francese indica che per percepire noi stessi come "io" dobbiamo confrontarci con l'altro-io che vediamo riflesso nello specchio. Solo così possiamo "alienarci in noi stessi", e dare vita all'immaginario, al simbolico, e al reale. Termini un pò astrusi per i non-lacaniani, ma efficaci per interpretare il nostro sparatutto tarantinesco. Cos'è lo zombie se non il nostro doppio specchiato nel riflesso della morte, del non-essere? Una dimensione, quella del non-morto, che è completamente diversa dal "resuscitato": questi non sono morti che tornano in vita (da cui potrebbe scaturire un'interpretazione para-religiosa della storia) ma i così detti morti-viventi, coloro i quali vivono pur conservando il loro status di morti. E non ci vuole un sociologo per capire che i nostri zombie, quelli della vita quotidiana, sono diventati gli immigrati, gli stranieri e perchè no, anche i "fondamentalisti". Non ci vuole nemmeno un politologo per capire quanto il motto del videogame ("kill them all"), ricordi l'appunto finale di Kurtz ("nuke them all" ) in Apocalypse Now (trasposizione cinematografica di Cuore di Tenebra). L'ideologia vigente (di stampo liberal-populista) è che di fronte all'Altro (ormai in maggioranza) l'unica cosa da fare è sopravvivere, barricarsi e sfuggire ad ogni tipo di contatto. Eppure quelli, gli zombi, gli altri, erano come noi o forse, ancora peggio, noi eravamo come loro. La proposta politica di Zizek è quella di abbracciare e accettare l'alterità assoluta e da lì partire per una vera politica multiculturale, che non sfrutti questa definizione per rivendicare il privilegio di chiudersi ognuno nella propria isola felice (isola immaginaria e mai veramente isolata: leggere La mascherata della morte rossa di E. Allan Poe per credere).
In chiave parapsicologica, entriamo nel campo dell'Altro. Così, nel celebre saggio di Lacan "Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'io", lo psicanalista francese indica che per percepire noi stessi come "io" dobbiamo confrontarci con l'altro-io che vediamo riflesso nello specchio. Solo così possiamo "alienarci in noi stessi", e dare vita all'immaginario, al simbolico, e al reale. Termini un pò astrusi per i non-lacaniani, ma efficaci per interpretare il nostro sparatutto tarantinesco. Cos'è lo zombie se non il nostro doppio specchiato nel riflesso della morte, del non-essere? Una dimensione, quella del non-morto, che è completamente diversa dal "resuscitato": questi non sono morti che tornano in vita (da cui potrebbe scaturire un'interpretazione para-religiosa della storia) ma i così detti morti-viventi, coloro i quali vivono pur conservando il loro status di morti. E non ci vuole un sociologo per capire che i nostri zombie, quelli della vita quotidiana, sono diventati gli immigrati, gli stranieri e perchè no, anche i "fondamentalisti". Non ci vuole nemmeno un politologo per capire quanto il motto del videogame ("kill them all"), ricordi l'appunto finale di Kurtz ("nuke them all" ) in Apocalypse Now (trasposizione cinematografica di Cuore di Tenebra). L'ideologia vigente (di stampo liberal-populista) è che di fronte all'Altro (ormai in maggioranza) l'unica cosa da fare è sopravvivere, barricarsi e sfuggire ad ogni tipo di contatto. Eppure quelli, gli zombi, gli altri, erano come noi o forse, ancora peggio, noi eravamo come loro. La proposta politica di Zizek è quella di abbracciare e accettare l'alterità assoluta e da lì partire per una vera politica multiculturale, che non sfrutti questa definizione per rivendicare il privilegio di chiudersi ognuno nella propria isola felice (isola immaginaria e mai veramente isolata: leggere La mascherata della morte rossa di E. Allan Poe per credere).
La provocazione finale del filosofo sloveno è dire "si" al burqua. Tentare di toglierlo, non significa difendere i diritti civili delle donne islamiche coercizzate dall'ideologia maschilista, bensì, in termini psicanalitici, voler spogliare l'Altro della propria diversità, assoggettarlo alla nostra. Il vero incontro con l'altro - dice Zizek - sarà quando inizieremo a raccontarci con lui le barzellette sporche.
Lo so, sto trascurando il blog. Lo so, cambio spesso argomento. Lo so, dovrei parlare più di b-boying e meno di info-media-serial-stronzate. Eppure...
Lo so, sto trascurando il blog. Lo so, cambio spesso argomento. Lo so, dovrei parlare più di b-boying e meno di info-media-serial-stronzate. Eppure...
Ottima la tua sottolineatura sulla chiave psicoanalitica, il cardine della vera sociologia sul morto vivente, secondo me.
RispondiEliminaLo sbilanciamento, fomentato dal virale diffondersi della fascinazione per la tematica dell'assedio, a favore dell'inferno in terra, ha un po' messo in secondo piano la centralità della presenza/assenza dello zombi sul paesaggio già disumanizzato.
"Io sono Leggenda" è un must purtroppo dimenticato, sepolto e mai abbastanza celebrato e analizzato in quel che descrive. Romero sembra ancora essere stato l'unico ad averne tratto ispirazione *vera*.
Oggi prevale l'epica dello scontro e dell'isolamento apocalittico. Lo zombi rischia di trasformarsi, a lungo andare, in una sorta di giustificazione, e semplificazione, occulta ad ogni risposta militar-reazionaria: il contrario di quello che dovrebbe essere.
Questo è il mio timore.
ci vediamo nel futuro anteriore.
mattpumpkin