Dopo Train de vie (1998, dove un gruppo di ebrei dell'est organizza un finto treno di deportazione per eludere quella vera) il regista rumeno Radu Mihăileanu rimette sui binari cinematografici la situazione sionista degli slavi contemporanei. Come al termine dei 40 anni di esodo biblico, agli ebrei russi è toccato combattere per la propria "terra promessa" sotto il totalitarismo comunista, che li ha definitivamente umiliati. Ma ad Andrei capita fra le mani una lettera d'invito del Theatre du Chalet di Parigi indirizzata al Bolchoj. L'occasione è unica: spacciarsi per l'attuale orchestra moscovita e terminare in Francia il concerto interrotto trent'anni prima.
Lungi dal presentarci la solita critica "for us by us", il film apre uno spiraglio di armonia mettendo in scena la potenza della musica e dell'arte al suo grado massimo. Lungi dall'essere una colla ideologica che si scioglie sotto l'acqua sporca del quotidiano, il concerto è in grado di unire il collettivo (l'orchestra) e il personale (l'angelica violinista interpretata da Mélanie Laurent, protagonista di Bugiardi senza gloria di Tarantino) sotto il segno dell'emozione. Il direttore è lo sciamano in grado di incanalare l'energia mostruosa dei suoi musicisti-zombie, e senza perdere humor ci trasporta nel fantasmagorico universo musicale. Il meno "linguistico", il più reale.
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