sabato 26 dicembre 2009

Lo strappo pt.2

Lo stronzo è quasi alla mia portata. Mi faccio strada fra il puzzo dell'incenso. Poi tutti si siedono: è il momento dell'omelia. Rimaniamo solo io e lui in piedi. Mi pietrifico. "Sia lodato Gesù Cristo" - striscio al suo fianco - "Sempre sia lodato" - gli stritolo un gomito - "Fratelli..." - esordisce il prete - "Fratello..." esclama Paolo agonizzante. Già, Paolo è mio fratello, o meglio, lo è stato fino al momento in cui ha deciso di strapparmi "Le" scarpe. Troppo colpevole per il ruolo di Abele, troppo innocuo per quello di Caino, Paolo subirà semplicemente un fratricidio se non mi dirà la verità.

L'aria è frizzante e c'è un mercatino dell'usato che fa capolino da in fondo alla piazza. Entriamo in un esofago di cianfrusaglie che non servono a niente. Urge un chiarimento. "Perchè hai strappato le mie scarpe?" - sbiascico a denti stretti. "Non ho strappato io le tue scarpe." - risponde. Allora dico:"Chi è stato?" - e lui:"Cosa vuoi?" - e io:"Voglio sapere chi cazzo è stato a strappare le mie scarpe e perchè." - e lui:"Che vuoi che ti dica?" - e ripeto:"Voglio cazzo sapere chi cazzo è stato a strappare le mie scarpe e perchè!" - e lui:"Che vuoi che ti dica che sono stato io?!" - e ripeto:"Voglio cazzo sapere chi cazzo è stato a strappare le mie cazzo di scarpe e perchè!".

"Senti, io ho solo fatto quello che mi avevi chiesto nell'sms: ho preso le scarpe e le ho portate al sicuro. Punto." In apparenza i conti tornano. Paolo, mio fratello, ha ricevuto l'sms in occasione del mio piccolo incidente al ristorante e come al suo solito, ha obbedito all'ordine. "Sono giorni che aspetto che tu venga a riprendertele" - aggiunge. Sono stato ricoverato un paio di giorni - trauma cranico commotivo - poi sotto con le ultime consegne di lavoro - striscie satiriche, slogan, un racconto breve. Paolo continua "Sono passati 6 giorni dal tuo incidente e non hai mai risposto al telefono. Ora ti presenti con due occhiaie alla Steve Buscemi e mi accusi di averti strappato le scarpe!?". Ho ancora l'immagine lacerante dello squarcio sul tessuto. La vivida ferita sintetica. Lo strappo. "Ho ancora l'immagine dello strappo..." e Paolo mi interrompe:"Ma quale strappo? Quello alla mostra di Burri?". Sta facendo leva sul mio amore per le opere di Alberto Burri, ma i suoi "strappi" non centrano nulla con "quello" strappo di cui sto parlando. "Non scherziamo" -sghignazzo - "ti ho visto con i miei occhi che squarciavi le mie scarpe li al ristorante". Un soffio di vento, il "dling-dling" delle anticaglie.

"Aspetta un momento...quale ristorante?" dice. "Quello del trauma cranico ricordi?" dico. "Fratello, forse è stato ben più che un trauma cranico...hai sbattuto la testa, è vero, ma non in un ristorante, bensì alla mostra di Alberto Burri. Mi hai mandato questo sms - sonoinospedalevieniaportareLescarpealsicuro - e così ho fatto, portandole a casa mia prima di partire per Firenze. Alla mostra sei scivolato come una pera cotta sul pavimento umido e hai perso i sensi, scatenando anche una certa ilarità. Non ci vuole un genio della psicanalisi per capire che forse tutti quegli strappi e quelle lacerazioni alle pareti ti hanno fatto lavorare eccessivamente di fantasia durante le tue ore di incoscienza".

Silenzio. Poi ancora silenzio."Ero al ristorante con una ragazza e per salvare le mie scarpe dal vino mi sono ribaltato con la sedia.." - tento di spiegare - "Tranquillo" - dice Paolo - "E' stato solo un sogno, una fantasia, un "Matrix" della tua mente per coprire la figuraccia della mostra. Le tue scarpe sono sane e salve a casa mia".

venerdì 25 dicembre 2009

Lo strappo pt.1

Avevo un paio di scarpe nuove. Erano assolute. Avendo in testa un’immagine campione del concetto di scarpe, ecco io immaginavo quelle scarpe. Ma non erano più quelle scarpe, erano “le” Scarpe. La soddisfazione divenne ossessione. L’ossessione divenne monomania. La monomania divenne legge. Così legiferai. “Al fine di preservare dai fattori ambientali che minacciano la sua perfezione, impongo i seguenti divieti: No al sole: scolorisce la suola; no ai jeans lunghi: stingono e macchiano il tacco; no a lavoro, no in campagna, no se piove, no in presenza di animali, no al primo appuntamento con una donna”. No.

[Una volta una ragazza fa cadere del vino sui miei pantaloni. Rivoli di porpora scivolano sulla gamba, filtrando minacciosi verso i piedi. Mi getto sul fianco destro, prendo a slacciare le scarpe con la fermezza mista a nervosismo, come un killer al primo incarico. Sudo freddo. L’alcol ubriaco riempie ormai il risvolto dei pantaloni. I lacci non collaborano ma non posso fargliene una colpa: sono così delicatamente abbracciati col cuoio dell’asola! I calzini si inzuppano di rosso sino alla caviglia. I piedi sussultano immobilizzati come nel migliore dei bondage. L’otre di stoffa è pronta a traboccare, lo sento. Scivola scivola scivola. Riemergo con la testa sul tavolo. Chiudo gli occhi. Li apro. Il viso di lei è diventato un opera di Alberto Burri. Il ristorante si congela e va fuori fuoco…mi tuffo col cranio all’indietro! Le gambe volano in aria e un liquido cremisi mi schizza in faccia. Le scarpe sono salve. Si, le vedo penzolare all’estremità della sedia ribaltata. Sento la testa sempre più umida e calda. Rosso rosso rosso. Ma non è vino, è sangue. Ho la lucidità per chiedere all’infermiere di pulirsi le mani prima di toccarmi i piedi. Estraggo il cellulare, seleziono Paolo: ”sonoinospedalevieniaportarelescarpealsicuro”. Buio.]

Il punto è, come vi sarete accorti, che ho descritto questi precetti utilizzando il passato. Quelle scarpe, “le” Scarpe, sono morte. Qualcuno le ha strappate.

E’ la notte di Natale. Al centro del gran presepe della mia chiesa Gesù bambino se la ride a piedi scalzi mentre Giuseppe, Maria e tutti i pastorelli si congelano con quella sottospecie di sandali di caucciù. Se la ride perché i neonati non hanno il problema delle scarpe. Se la ride perché anche quando crescerà non avrà il problema delle scarpe. Voglio dire, a che servono le scarpe a uno che cammina sull’acqua? E forse se la ride del sottoscritto: un pastorello senza sandali. Pesco dalla tasca un 1 euro e faccio la mia offerta natalizia. Eccolo là quel figlio di puttana che mi ha strappato “la” Scarpa. Si confonde fra l’assemblea ma presto tornerà in questa stessa chiesa come protagonista del suo funerale. Al piede dovrebbe avere le Geox – scarpe che respirano per un coglione che non repirerà più.

mercoledì 23 dicembre 2009

L'Imperatore

Quando torneremo a casa dopo aver visto L’Imperatore sospenderemo per un attimo la nostra coscienza critica, la nostra idea politica, le nostre credenze. Quel sogno messo in scena è uscito fuori dal quadro e ci ha punto. Ancora non sappiamo perchè, ma riconosciamo con evidenza il suo effetto sul nostro corpo come su quello torturato in scena.


Lo spettacolo si lascia sfogliare come un origami. La scenografia, come l’Italia, è un grande puzzle metamorfico in cui sesso e istituzione giocano un ossessivo nascondino. Si sviluppa la dimensione del triangolo equilatero, della trinità, dell’insopportabile ma necessario rapporto a Tre. Si inizia con un menage a trois fra umanoidi androgini che si tramuta in trinità istituzionale per ribaltarsi in un triangolo sadico fra l’Imperatore e due escort che ricordano tanto le valchirie metropolitane di Sin City.

Ai Ragli piace accumulare: simboli, oggetti, nozioni, fluttuano durante l’intera ora di spettacolo e trovano forse poco tempo per fermentare come dovrebbero. Rimane evidente, e ci colpisce, l’immondezzaio informale (allegoria di quello mediatico) che si viene a creare al centro dello stage su cui prima iconeggiava la sagoma del Bel Paese. Il massimo dell’istinto (il sesso) si mischia col massimo del rigore (la legge). Rosario Mastrota mette in scena il potere come violenza e il sesso come convenzione.

La recitazione è schietta e brillante e non censura nemmeno gli sputi in faccia. Paradossalmente la censura reale giunge dall’esterno ed ecco cosa ci punge! Sto parlando della recente aggressione al premier che come il più potente dei “lodi” ha reso la sua persona intoccabile anche dal punto di vista morale. Rimosso ogni riferimento nominale alla realtà, lo spettacolo subisce il ritorno della realtà stessa e rischia il j’accuse dei neo-liberali che possono vedere nella tortura all’Imperatore un perverso riferimento a Berlusconi. Come per La lettera rubata di Allan Poe, forse il modo migliore per nascondere qualcosa è mostrarla nella sua evidenza.



L'imperatore

Spettacolo liberamente tratto da "Nuovo Ordine Mondiale" di H. Pinter

con
Mauro Conte
Desirèe Cozzolino
Laura Garofoli
Rosario Mastrota
Nicola Canal

adattamento e regia
Rosario Mastrota

martedì 15 dicembre 2009

USA State of Mind

Pasta al sugo aka "sono a casa". La sua carezza vellutata al basilico è provvidenziale. La cucina è di nuovo mia schiava. I fornelli i miei sudditi. La pasta la mia rinnovata concubina. Eppure manca qualcosa: ma cosa? Occorre un rewind al minuto zero della nostra storia...e invece preferisco linkare qualche pensiero sparso, analogico, come il gusto che sto provando nel mangiare questi tortiglioni fiammeggianti.

Orlando aka "seconda stella a destra". Colori pastello e umidità crescente. La notte qui ha una silouette al neon che ci affascina nonostante sette pesanti ore di viaggio. L'indomani siamo già alla mercè dell'aria condizionata, delle mastercard, di quell'imperativo ormai inconscio che ci sussurra: "spendi!". E spendiamo.

Di nuovo in viaggio. Ino ha la tragica caratteristica di addormentarsi all'istante. Ovunque, comunque. Noi abbiamo quella di approfittarcene. Ovunque, comunque. Scattano gli scherzi al dormiente inscenando finti incidenti automobilistici e infilando pezzi di carta nei suoi orifizi facciali. Occhi pulsanti, ventricoli dilatati. Ma Ino continua a riaddormentarsi.

Il Prime Outlet aka il Non-Luogo par exellance. Dopo la sfuriata dei giorni prima, arriviamo 1 ora in anticipo rispetto all'apertura dei negozi. Siamo oltre Sin City, siamo sul suo set in allestimento. Ecco il vero orrore: voler peccare e non esserne capaci. Sbrocchiamo decisamente. Aspettiamo.

Atlanta aka "deposito per non-morti". Grigio latte e vento secco. Navigando i lunghi fiumi d'asfalto fra grattacieli robotici e barber shop, notiamo la disposizione sociale a scacchiera: neri coi neri, bianchi coi bianchi. In compenso c'è Hooters e scrivere "viva la fica" sul foglio delle ordinazioni ci scioglie un pò in vista della calda Orlando.

Outbreak aka "crazy in the cypher". Sudo, bevo, ballo e non me ne frega più di niente. Dei corsi in palestra, dei libri da leggere, della mia macchina a Roma in balia della Melandri's Gang. Parafrasando Fight Club:"Sono nel centro caldo del mondo". E questo mondo si chiama cypher. L'onore più grande è una pacca sulla spalla da dj Skeme Richards che dice di vedermi ovunque ultimamente, che gli piace il mio stile, che devo continuare a spingere. Mi chiede il nome e ogni volta che entro nel main cypher "Nexus rapresenting Italy" passa sugli altoparlanti.

Miami BITCH aka "il 13 Dicembre a fare il bagno". Dopo New York, ho capito La 25^ Ora di Spike Lee. Adesso, dopo Miami, ho capio Dexter, la serie tv. Palme, cocktail, sole, belle donne: ma questo lo immaginavate già. Lo choc è vedere il dietro le quinte della realtà. La desolazione, l'abisso umido alle 2 del pomeriggio di un giovedì qualunque. Cogliere l'attimo di riposo prima del passage a l'acte, prima della movida serale. Appunto mentale: devi tornare a Miami per esperire come va a finire...

Ancora in viaggio. Cappello e sigaro. Lo spumeggiare delle auto e la Florida che si allontana in sordina. Che notte. Stretti nel nostro minivan bordeaux, deambuliamo in fine, di nuovo, fra i grigi serpenti d'Atlanta. Grigio latte e vento secco. L'indomani abbiamo il volo per l'Italia e tutto, proprio tutto, sembra aver perso di sapore. Insipido. L'ufficio dell'hotel (lo stesso) è chiuso e i mostri ci aspettano dall'altra parte della strada. Incappiamo in un vecchio della security che dopo svariati indovinelli e prese per il culo ci consegna la tanto agoniata chiave. E dormiamo. Non lo farò per le prossime 24 ore.

Evolution
aka "mannaggia a noi". Il clima è teso. Le crew nascondono bene le skills sotto al cilindro dei cerchi. Noi ci presentiamo in camicia e durag: siamo fighi ma non basta. Contro i giapponesi è come ballare contro le sabbie mobili: più ci si agita, più si affonda. Toppiamo anche le coreografie, il pubblico è dalla loro. Di mio non sbaglio e qualche colpo ben assesstato lo sferriamo tutti. Ma non basta. In questi casi, dove nessuno ti conosce, non basta mai. "We have to be exagerated!" parafrasando Ken Swift.

La Melandri's Gang aka "3 idioti alle 3 di notte". Dopo un avvincente viaggio transoceanico, segue un pomeriggio di lavoro, poi a casa con Loro. Cuciniamo la prima cena. E' la festa della conciliazione, del ritorno dalla guerra. Blinky si affetta un orecchio con un ago. Osvy cucina la seconda cena. Sono a casa eppure non ci sono. Il mio metabolismo dice che sono le 9 di sera. Il problema è che io ho la giustificazione del jetlag ma gli altri due?!


Non-sono
a non-casa.
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